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Paletto tedesco sul cabotaggio: un autista straniero non può guidare in Germania per meno di 8,5 euro l’ora

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Il salario minimo garantito, in Italia oggetto di discussioni ancora fumose a livello politico, in altri paesi è già realtà. In Germania, per esempio, esiste da tempo e periodicamente viene ritoccato in alto. All’inizio del 2015 gaggiungerà la soglia degli 8,50 euro all’ora, che di per sé non è una grande cifra, ma in ogni caso è valida sempre, in ogni settore di mercato e a prescindere da ciò che pattuiscano le parti. La cosa veramente nuova, però, è il fatto che tale soglia debba valere anche rispetto alle aziende straniere che operano in Germania. Espressione ambigua da contestualizzare nel settore dell’autotrasporto. Perché per un autista dipendente di una ditta straniera, cosa significa, in concreto, operare in Germania? Fino a qualche settimana fa la maggior parte degli esperti di diritto chiarivano che significa svolgere le proprie mansioni con regolarità e continuità. Di conseguenza l’autista in transito non svolge mansioni continuative, al contrario di uno che effettua attività di cabotaggio.
Proprio ieri, però, una società di Amburgo (la DD) ha espresso sul punto un proprio parere legale, giungendo a una interpretazione quanto mai allargata della normativa, tale da includere al suo interno anche l’ipotesi del semplice transito sul territorio tedesco. E sulla stessa linea si è espressa anche il ministero Federale del Lavoro. In pratica, quindi, è sufficiente lavorare sul suolo tedesco per rientrare nell’ambito di applicazione della normativa.

A questo punto, quindi, è apparso chiaro che la misura in questione non ha tanto intenti sociali, quanto protettivi. Si tratta cioè dell’ennesima iniziativa europea, presa però singolarmente da uno Stato membro, per combattere il cabotaggio e in particolare il dumping sociale. Non a caso la settimana scorsa, a Danzica, 300 imprenditori del trasporto nell’apprendere il parere legale della DD e quello del ministero hanno espresso massimo stupore e disappunto. Anche perché il salario minimo polacco è di 2,31 euro all’ora, in pratica un quarto rispetto a quello tedesco.

Ma analoga diffidenza si è sollevata anche in Francia, dove Nicolas Paulissen, delegato generale della FNTR (Fédération Nationale des Transports Routiers), si è detto sorpreso dell’iniziativa tedesca, aggiungendo che sarebbe opportuna a questo punto «un’iniziativa europea per risolvere il problema, perché se ogni paese pensa solo a se stesso, allora è la fine della libera circolazione di persone e merci in Europa».

D’altro canto sono anche molte le posizioni di chi fa notare che la norma espone a potenziali lungaggini legali, ma anche a trattamenti differenziati tra impresa e impresa. Perché è ovvio che controllare tutti i camion in transito in Germania è impossibile, ma i pochi che saranno eventualmente sottoposti a controllo rischiano di essere rovinati, perché se l’autista porta con sé una busta paga da cui emerge che lavora in cambio di una retribuzione inferiore a 8,50 euro l’ora, è come se lavorasse in nero. E a quel punto la possibile sanzione può arrivare fino a 500.000 euro.

Da ultima è arrivata anche una comunicazione dell’IRU che spiega che, prima di un trasporto che prevede arrivo o transito in Germania, per ogni azienda scatta l’obbligo di comunicare (in lingua tedesca) alla Bundesfinanzdirektion West di Colonia i seguenti dati: nome, cognome e data di nascita dell’autista, inizio e durata presunta delle attività di autotrasporto in Germania, indirizzo dove è reperibile la documentazione, una certificazione – magari anche una busta paga – da cui si evinca che l’autista riceve una retribuzione superiore al salario minimo tedesco.
In più esistono alcuni oneri che riguardano direttamente l‘autista, chiamato a registrare inizio, durata e termine delle ore in chi ha lavorato in territorio tedesco entro sette giorni dalla fine del trasporto. Il documento va anche conservato due anni renderlo disponibile a eventuali controlli della Dogana.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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