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Tempi di attesa e viaggi a vuoto? Per la Corte non contano come orario effettivo di lavoro

La Corte di Appello de L’Aquila ha dato torto ad un autista che chiedeva il riconoscimento dello straordinario dal 2016 al 2021, facendo ricadere il suo lavoro nell’art. 11 bis CCNL Trasporti e non calcolando nel «lavoro effettivo» attività perimetrali alla movimentazione vera e propria del carico

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La questione di cui ci occupiamo oggi potrebbe essere sintetizzata così: i tempi di attesa, di carico/scarico delle merci trasportate e il viaggio di ritorno a vuoto possono essere considerati come orario effettivo di lavoro per un autista che fa trasporto extraurbano?

Come vedremo, una recente sentenza – la n. 146/2025 della Corte d’Appello de L’Aquila, depositata il 12 maggio 2025 – si è espressa in senso negativo, confermando il giudizio di rigetto del Tribunale di Pescara in primo grado. Ma veniamo ai fatti.

IL FATTO

Un conducente ex dipendente di una società di spedizioni aveva richiesto in tribunale il riconoscimento di lavoro straordinario (ordinario e notturno), svolto e non retribuito, tra il 2016 e il 2021. Secondo il ricorrente, la società avrebbe dovuto pagargli oltre 117 mila euro a titolo di differenze retributive, ferie non godute, 13ª/14ª mensilità, rivalutazione monetaria e interessi. Questo perché l’autista sosteneva che il suo rapporto di lavoro era continuativo, con orario di 12 ore giornaliere (anziché le 39 ore settimanali previste dal CCNL).

Tuttavia il Tribunale di Pescara aveva rigettato tutte le domande del lavoratore. Questo perché il ricorrente non aveva innanzitutto provato l’orario effettivo di lavoro. Poi secondo il giudice di primo grado era applicabile in questo caso l’art. 11-bis CCNL trasporto merci, che fissa a 47 ore settimanali l’orario ordinario per i lavoratori discontinui (come appunto vengono considerati gli autisti di trasporto extraurbano). Infine non era ammissibile conteggiare come orario effettivo i tempi di attesa, carico/scarico o viaggio di ritorno.

LA DECISIONE

L’autista decide così di ricorrere in appello presso la Corte aquilana, sostenendo innanzitutto di non essere un lavoratore discontinuo e che quindi non gli si poteva applicare l’art. 11 bis. Poi trovava errato che i tempi di carico/scarico venissero esclusi dal computo dell’orario di lavoro. Da terzo riteneva non adeguatamente considerati i dati emersi in istruttoria attraverso le testimonianze riportate.

La Corte d’Appello ha però confermato la sentenza del Tribunale abruzzese. Prima domanda che si è posta è quella sulla discontinuità del lavoro. La Corte ha ritenuto infatti che il lavoratore fosse un autista di trasporti extraurbani, attività che comporta tempi di guida alternati a pause, attese e inattività (es. durante carico/scarico merci) e non implica un impiego continuativo o «a catena». Perciò – deduce l’organo giudicante – il conducente rientra nella categoria dei lavoratori discontinui e di conseguenza è legittima l’applicazione dell’art. 11-bis del CCNL, che fissa l’orario ordinario a 47 ore settimanali e non 39. Del resto in busta paga era stata riconosciuta un’indennità di trasferta.

Manca poi – afferma il giudice – la prova dell’orario straordinario. Il lavoratore aveva sostenuto di aver lavorato 12 ore al giorno, ma non aveva provato in modo adeguato quale fosse l’orario ordinario effettivamente osservato, quando e quanto avesse superato tale orario (cioè quante ore di straordinario e in quali giornate) e neppure la durata esatta delle pause, dei tempi di disponibilità e del carico/scarico. E come ben sappiamo, secondo la legge e la giurisprudenza (Cass. n. 16150/2018, ecc.), è il lavoratore a dover dimostrare in modo preciso lo svolgimento del lavoro straordinario, non basta una stima o un generico racconto.

La Corte ha poi sottolineato che i tempi di carico e scarico non sono automaticamente computabili come «lavoro effettivo». I testimoni e lo stesso lavoratore avevano infatti confermato che durante queste fasi egli poteva disporre del proprio tempo (andava al bar, dormiva, tornava in treno a casa). E anche in questo caso, in base alla legge e alla giurisprudenza (Cass. 5023/2009), se un lavoratore può disporre liberamente del proprio tempo, quel periodo non è orario di lavoro effettivo.

Terza ragione del rigetto: l’insufficienza dei documenti prodotti. L’autista aveva infatti chiesto di portare in aula cronotachigrafi e fogli di viaggio e anche aveva invocato un ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. per i documenti aziendali. Ma – dice la Corte – «i cronotachigrafi da soli non dimostrano il lavoro straordinario: servono anche dati su pause, attività effettive e orario contrattuale» e «l’ordine di esibizione non può servire a supplire la mancanza di allegazioni specifiche nel ricorso iniziale (che resta un vizio non sanabile in appello)».

Da ultimo il lavoratore aveva sostenuto che gli accordi aziendali non gli erano opponibili. Ma egli non risultava iscritto a un sindacato diverso da quello firmatario e non aveva mai espresso dissenso formale verso gli accordi stessi. Ricordiamo che i contratti aziendali valgono per tutti i dipendenti, salvo dissenso formale e documentato (non presente in questo caso).

LE CONSEGUENZE

L’appello dunque è stato rigettato – non c’è stata alcuna violazione di norme da parte del datore di lavoro – con la conferma integrale della sentenza di primo grado. L’appellante ha dovuto pagare quasi 5.000 euro di spese legali.

Da questa decisione – va però detto che non c’è giurisprudenza unanime al riguardo – ne vengono fuori alcuni principi che possono orientare le scelte di chi decida di fare causa in materia. In particolare, il lavoratore dovrà provare in modo concreto e documentato il lavoro straordinario e dovrà dimostrare la continuità del lavoro. Questa è sicuramente la prova più complicata e occorrerà quantomeno avere dei testi a favore.

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