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Trasporto agroalimentare: flussi saltati, redditività minata

I consumi alimentari sono aumentati? In realtà, si sono impennati inizialmente per la corsa all’accaparramento. Un fuoco di paglia destinato a rientrare in fretta e che soprattutto non compensa la chiusura del canale Horeca e la mancanza di bilanciamenti su molte tratte. Così spesso i conti non tornano. Ma alzare le tariffe non sempre è facile

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Quello agroalimentare è uno dei settori più vivaci, anche se costretto a rincorrere una domanda con scarti improvvisi e con canali di sbocco per buona parte concentrati sulla GDO

È vero: il trasporto agroalimentare è stato uno dei pilastri di questa emergenza sanitaria, colonna portante della resistenza nelle mura domestiche, pilastro indispensabile per riempire gli scaffali dei supermercati. Ciò non vuol dire che non abbia affrontato una dura prova sul fronte organizzativo ed economico. Sbilanciamento dei flussi, camion semivuoti, scomparsa quasi totale dell’internazionale, allungamento dei tempi di attesa e volumi comunque in calo. Infatti, dopo un primo boom delle vendite al dettaglio registrato a febbraio (e anche a marzo) quando l’alimentare ha segnato un + 8,2% (ultimo dato Istat disponibile) dovuto all’onda emotiva di acquisti nei supermercati a seguito del diffondersi dei casi iniziali di coronavirus, secondo molti osservatori i consumi dovrebbero rientrare e quindi contrarsi. Inoltre, fin dall’inizio del lockdown, manca all’appello l’intero comparto dell’Horeca (hotel, ristoranti, catering), completamente fermato dall’emergenza ed espressione di un terzo del fatturato del settore agroalimentare. «Sui 250 miliardi di consumi alimentari nel 2019 – precisa Ivano Vacondio, Presidente di Federalimentare – un terzo, pari a circa 83 miliardi, sono dovuti al “fuori casa”. In particolare, sono oltre 18 miliardi le spese in ristorazione, bar e caffè legate specificamente al turismo nazionale ed estero. Sono consumi attualmente fermi che non sono recuperabili attraverso la crescita delle consegne alimentari a domicilio e nemmeno dal boom degli acquisti legato all’effetto scorte. In gran parte, le scorte non rappresentano un reale aumento dei consumi, ma un trasferimento dagli scaffali alle dispense, che sarà ridimensionato appena superata l’emergenza, innescando una nuova discesa dei consumi domestici».

Il calo dei consumi si tradurrà in una riduzione dei volumi da trasportare, andando a incidere su un sistema, come quello della supply chain alimentare, già impegnato a far fronte a una serie di criticità. Oltre a un forte calo del fatturato, le aziende del settore denunciano costi aggiuntivi per lo sbilanciamento dei flussi di traffico, percorsi a vuoto, lunghi tempi di attesa presso gli stabilimenti aziendali e le frontiere. La chiusura a macchia di leopardo di molte realtà, anche nell’ambito della distribuzione alimentare, sta portando alla riorganizzazione dei flussi e non sempre si riesce a rendere remunerativi i servizi. «Il Paese è di fronte alla necessità di mantenere operative solo quelle industrie che hanno un core nella produzione di beni di prima necessità e industrie a esse connesse – spiega Umberto Torello, Presidente di Anita-Transfrigoroute Italia –  Ciò significa che le aziende devono fronteggiare, da un lato, le necessità distributive delle industrie che assicurano la produzione e, dall’altro, le perdite dovute alla mancata distribuzione delle industrie che decidono di chiudere per scelta propria, che hanno chiuso per obbligo o che non esportano più i loro prodotti in Italia. Ci troviamo nella condizione di dover assicurare la continuità nonostante tutto, a non poter richiedere il costo totale del trasporto alle sole industrie in produzione (il rapporto fiduciario con la committenza è delicato ed è stato costruito nel tempo) e così ci ritroviamo stretti in una morsa di responsabilità e doveri verso la committenza, verso i dipendenti e verso la collettività. Di fatto stiamo lavorando a più velocità, abbiamo veicoli fermi e soprattutto veicoli che viaggiano semi-vuoti gravando più di quelli stazionati».

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