Il lavoro di mondina era duro: richiedeva di stare intere giornate, a piedi nudi e con la schiena curva, a strappare erbacce infestanti capaci di bloccare la crescita di giovani piantine di riso. Non a caso chi faceva questa professione non la sceglieva, ma era costretto dalle contingenze. Ecco perché è durata fino a quando non sono stati inventati i diserbanti. A quel punto di questo tipo di lavoro non c’è più stato bisogno con buona pace di tutti.
Cosa c’entra tutto questo con l’autotrasporto? C’entra perché noi oggi stiamo cancellando la professione di autista di camion, senza aver già trovato un diserbante. Romina Mura, presidente della Commissione Lavoro della Camera intenta da mesi ad analizzare il problema della carenza di conducenti, è giunta a tale conclusione: «Sempre più spesso si arriva a fare questa professione quando si è obbligati. Quasi nessuno, cioè, la sceglie. Eppure, dietro a tale scarsa attrattività, c’è un settore necessario come l’autotrasporto, che muove la quasi totalità delle merci circolanti in Italia». Il nocciolo della questione è tutto qui: lo stesso lavoro che nessuno vuol fare è paradossalmente necessario per la collettività.
Alle origini della carenza
Primo problema: perché nessuno intende salire su un camion?Le risposte possono essere tante. Ma più che cercarle all’interno dell’autotrasporto bisogna scegliere, come punto di osservazione quello di chi, sistemato sull’uscio del settore, si pone il problema se accedervi o meno. Perché visto da fuori – sottolinea la deputata PD – «passa la rappresentazione che in questo mondo si venga sfruttati, che le condizioni logistiche e infrastrutturali rendano il lavoro faticoso, poco remunerato e addirittura causa di problemi fisici, che spesso si ha difficoltà a farsi riconoscere come malattia professionale. A tutto ciò, poi, si è aggiunta la concorrenza europea, per cui ogni paese segue proprie regole e gioca al ribasso sul costo del lavoro». Niente di più normale, quindi, che quella persona sull’uscio non soltanto percepisca scarsa appetibilità, ma provi anche una sorta di rigetto.
Il contributo di tutti
Secondo problema: come si affronta la carenza? Qui la risposta cela anche un’evidenza: i problemi collettivi si risolvono raccogliendo contributi di tutti. Il problema cioè – per dirla con la presidente della Commissione Lavoro – «non è soltanto della politica; è necessario che lo percepisca come tale anche la scuola, chi impartisce formazione professionale, chi nelle aziende muove gli investimenti». Invece, constata un po’ sconsolata, «mi capita spesso quando posto sui social un pensiero sulla necessità di valorizzare questa professione, di sentirmi rispondere: “Macché! La soluzione è di far salire le merci sui treni”. E lì mi rendo conto che è difficile comprendere non soltanto quanto sia complicato fare questa professione, ma anche quanto sia fondamentale per il benessere e per la vita quotidiana di tutti». Senza nulla togliere alla ferrovia, ovviamente, che può fare tanto per il trasporto merci, se integrata con la strada. Anche perché difficilmente un pacchetto acquistato online arriverà con un treno dietro alla porta di casa.
Problemi retributivi
Terzo problema: una retribuzione migliore cambierebbe le cose? La risposta, almeno nell’ottica di chi attualmente lavora come autista, non può che essere positiva. Il problema è che spesso questi stessi autisti non sempre riescono a migliorare la loro retribuzione, quasi che, malgrado la carenza professionale, in questo ambito non valesse la legge della domanda e dell’offerta. Mura prova a ipotizzare un possibile perché: «Il parametro su cui si basa il valore di una professione dipende tutto da quante competenze ci si costruisce per poterla svolgere. Ma chi non la sceglie, difficilmente avrà fatto in modo di acquisirle tramite un apposito percorso formativo e di istruzione». Meccanismo analogo è presente anche «nel mondo della ristorazione – fa notare la presidente – in cui spesso chi lavora non ha né formazione, né titolo di studio. E tutto ciò rende precaria la condizione lavorativa e retributiva».
Creare spazi per giovani e donne
Quarto problema: dove si va ad attingere per colmare la lacuna? E qui Mura risponde con una logica di compensazione: «In Italia sono donne e giovani a lavorare meno. Il tasso di occupazione femminile è vicino al 33% al Sud e nelle isole e, in generale, meno di una donna su due lavora, mentre la disoccupazione giovanile sfiora il 30%. Quindi, per prima cosa costruirei percorsi formativi per attrarre e appassionare i giovani al trasporto merci e tenterei di rimuovere alcuni problemi, anche di natura logistica, per consentire alle donne di esercitare la professione». Guai però a definire questa azione come un modo per conciliare il tempo di vita con quello del lavoro, perché la presidente subito sottolinea come sia arrivato «il momento di superare la logica delle misure di conciliazione, concepite e tarate soltanto sulle donne lavoratrici, per spiccare quel salto di qualità che porta alle politiche di condivisione. Perché fin quando il lavoro di cura sarà rimesso solamente sulle spalle delle donne, questo paese non andrà avanti. Prova ne sia che in molti paesi tanto più cresce il tasso di occupazione femminile, tanto più aumenta quello di natalità».
Gli isolani sono più isolati
Fin qui i problemi in generale. Ovvio che poi, nei vari contesti territoriali, questi possono assumere connotati più o meno persistenti. E qui, il quinto problema: per quale motivo il vento della protesta nell’autotrasporto quasi sempre comincia a soffiare dalle isole? Romina Mura, da autentica sarda di Sàdali (Sud Sardegna), la risposta la conosce bene: «Vivere, lavorare, soffrire su un’isola è diverso. Perché su un’isola si è isolati oltre che isolani. E i problemi diventano più forti rispetto al resto della terraferma. Applicato all’autotrasporto questo concetto è evidente: mentre tutti fanno i conti con il prezzo in crescita del carburante, chi fa autotrasporto in Sardegna deve misurarsi in più con quello dei traghetti che – mi hanno detto – sulla tratta Cagliari-Livorno è aumentato di circa 100 euro».
È un dato preciso: la fonte che lo ha “elaborato” (e che sta dietro a quel «mi hanno detto») sono i tanti autotrasportatori che la presidente ha incontrato a metà marzo sul porto di Cagliari, mentre mettevano in scena una delle proteste più durature – sei giorni complessivi – di quelle spuntate, come funghi dopo un temporale, in questo tormentato 2022. «Mi sono presentata dicendo che volevo capire e magari aiutare», dice Mura, anche se, subito dopo, ammette come a volte non sia facile presentarsi in vesti istituzionali di fronte a qualcuno che protesta, «perché le categorie sociali che hanno pagato il prezzo più forte alla pandemia non sono ben disposte ad ascoltarci». Ciò malgrado ha cercato di capire se ci fosse un modo per fornire una mano. Quella che – aggiunge con nota polemica – non concede, invece, «una Regione troppo spesso distratta».
A tal proposito le ricordo che la Sicilia, l’11 marzo, ha concesso un contributo a fondo perduto agli autotrasportatori che attraversano lo Stretto di Messina e mi chiedo se per la Sardegna sarebbe stato troppo caro fare altrettanto. Lei annuisce: «Ritengo che si possa fare di più per tutte le categorie che soffrono al cubo rispetto alle altre parti del territorio. D’altronde, essere Regione a statuto speciale consente alcune prerogative che, se non utilizzate, vanificano lo stesso sistema di autonomia differenziata».