Sarda di cuore e lodigiana d’adozione, con un passato da manager nell’hotellerie e una vita trascorsa a coordinare squadre, gestire il pubblico e affrontare emergenze. Poi il Covid, la crisi del settore alberghiero e la necessità – ma anche il desiderio – di rimettersi in gioco. È così che Roberta Bullegas ha ritrovato una passione che l’accompagnava fin da bambina: quella per i camion.
Oggi guida un bilico per la Sti Trasporti e ci racconta senza filtri come sia rinata in cabina. E, per chi la incontra sulla strada, ha anche un nome d’arte: «Zulema», come la protagonista della serie televisiva Vis a Vis, a cui tutti dicono assomigli parecchio.

Roberta, partiamo dall’inizio: da dove nasce la tua passione per il camion?
Credo sia innata. Da bambina riempivo i quaderni di scuola di disegni di camion. Era un mondo che mi affascinava, anche se poi la vita mi ha portata altrove, nel settore alberghiero, e così quella passione l’ho accantonata per anni, finché non è riemersa all’improvviso.
Quale è stata la scintilla che ha riacceso la fiamma per l’autotrasporto?
Dopo il Covid, il lavoro in hotel è diventato complicato. Poco personale, tante responsabilità e stipendi che non rispecchiavano più i ruoli che ricoprivo. Così ho lasciato quel mondo e mi sono rimessa in gioco, prima come cameriera in un’osteria, poi in ufficio. Io mi adeguo a fare tutto. Eppure, non ero soddisfatta, così ho provato a ritornare sui miei passi. Il caso ha voluto che mi trovassi a lavorare alla nuova apertura di un grosso hotel a Milano, ancora in fase di cantiere. Vedevo i camion e piano piano quella passione che avevo sotterrato per quasi venticinque anni è riemersa.
Venticinque anni nell’hotellerie: che percorso è stato?
Intenso, bellissimo, ma impegnativo. Ho iniziato come cameriera di copertura al Diana Majestic, poi piano piano ho fatto carriera, sono diventata seconda governate e infine prima governate, con un ruolo importante nella gestione dei piani dell’hotel. Ho avuto anche l’onore di seguire l’apertura dell’NH Concordia e di occuparmi della formazione del personale in altre strutture, in diverse città, della stessa catena. Con la nascita del mio primogenito ho preso una pausa del mondo alberghiero e ho lavorato in ufficio, ma successivamente sono tornata nel settore con l’apertura del Ramada Plaza Milano a cui tutt’oggi sono molto affezionata, è il mio successo più grande. Ho lavorato poi nel prestigioso hotel Gallia di Milano, dove ero responsabile della gestione di oltre sessanta persone. Era un lavoro stimolante, ma che mi inghiottiva. Dovevo essere sempre reperibile. Mi è capitato di tornare a casa, togliere la giacca, e subito dopo ricevere una telefonata in cui mi chiedevano di tornare in hotel. È stato un mestiere durissimo che mi ha portata a trascurare i miei due figli. Non bisogna mai sottovalutare nessuna professione.


A un certo punto, però, hai deciso di cambiare radicalmente.
Sì, come ho detto, ho provato a darmi un’altra possibilità nel settore, ma è durata poco, non c’erano più le condizioni. Ho lasciato definitivamente quella vita e sono entrata in logistica, lavorando come magazziniera per un grosso marketplace eCommerce nel settore della moda. Avevo un contratto indeterminato e fiducia da parte dei miei responsabili, ma sentivo che non era quello il mio posto e già pianificavo un futuro diverso per me.
In cabina hai trovato il tuo posto?
Penso proprio che andrò in pensione facendo questo mestiere.
Come sei arrivata alla consapevolezza che volevi fare questo nella vita?
Il mio vicino di casa, che è anche un caro amico, lavorava come autista per quella che oggi è anche la mia azienda. Mi raccontava spesso del suo lavoro ed è così che la mia passione per questo mestiere è risbocciata. Un giorno mi sono detta: «Non voglio ritrovarmi da anziana, seduta in poltrona, a ripensare alla mia vita e avere il rimpianto di non averci provato». Così mi sono iscritta alla patente. Da ragazza avevo già rinunciato a un sogno, non volevo doverlo fare di nuovo.

Qual era quel sogno?
Volevo entrare nelle forze dell’ordine. Mio nonno era Carabiniere e sognavo di seguirne le orme. All’epoca però le donne non erano ammesse nell’Arma, così tentai con la Polizia di Stato. Anzi, per la precisione puntavo alla Stradale. Al concorso presi un ottimo voto allo scritto, ma la chiamata per la visita successiva non arrivò mai. Oggi sul mio camion ho un modellino dell’auto della Polizia come ricordo di quell’opportunità mancata. Ma questo sogno, almeno, dipendeva da me, e non potevo lasciarlo scappare.
La tua famiglia come ha reagito alla tua decisione?
I miei due figli, Raphael Leon di 16 anni e Raul Domink di 12, mi hanno sempre supportata. Ogni tanto sentono la mia mancanza, ma onestamente riesco a essere più presente per loro oggi rispetto a quando lavoravo in hotel. All’epoca arrivavo spesso in ritardo al doposcuola, li vedevo poco. Adesso invece, anche grazie all’aiuto del mio ex marito, riesco a dedicarmi di più a loro. Viaggiando prevalentemente di notte ne approfitto per dormire la mattina mentre loro sono a scuola, e quando tornano trovano la casa che profuma di cibo, come quella della mia infanzia.
Una curiosità: perché entrambi i tuoi figli hanno un doppio nome?

È un omaggio ad altre due mie grandi passioni. Una è il cinema, quindi Leon è un omaggio al celebre film di Luc Besson. E poi sono appassionata di motori, quindi Dominik è un omaggio a Dominic Toretto della saga Fast & Furious.
Il primo viaggio non si scorda mai: come è andato e come lo hai vissuto?
Devo ammettere che lo switch da un lavoro costantemente a contatto con il pubblico ad un lavoro nel quale sono da sola per la maggior parte del tempo è stato abbastanza traumatico. Mi piace definirmi «un animale da branco», per cui non è facile trascorrere tanto tempo da sola in cabina. I primi viaggi però li ho fatti in affiancamento. Ho iniziato il 20 febbraio 2025 e dieci giorni dopo ho iniziato a viaggiare da sola.
Tu non avevi alcuna esperienza di guida. Quanto ha influito questo sul tuo inizio?
Il mio amico e vicino di casa mi ha presentata alla Sti Trasporti, ma il mio inserimento non è stato scontato. Erano titubanti all’inizio, non è facile dare fiducia ad una principiante di 52 anni. Però si impara. I colleghi e le colleghe sono stati preziosi e mi hanno sempre aiutata, soprattutto agli inizi con le manovre.
Ci sono altre donne autista in azienda?
Sì, quelle che vedo più spesso sono Rossana e Floriana, ma ce ne sono anche delle altre che però non vedo praticamente mai perché facciamo linee diverse. È una sorta di staffetta: partiamo dal Nord e arriviamo fino ad Agrigento, e ognuno ha la sua tratta.
Da «animale da branco» ad autista in solitaria: come hai gestito la solitudine?
Non è sempre facile, a volte ci si annoia durante le pause. Ora porto come me un tablet e approfitto dei tempi morti per guardare un film, oppure esco a mangiare e scambio due chiacchiere con altri autisti o con chi lavora nei ristoranti dove mi fermo spesso. Non sono una burbera taciturna, mi piace parlare con la gente, ma dopo anni di caos ho imparato anche ad apprezzare il silenzio.


C’è qualcosa di questo lavoro che ti pesa di più?
Ci sono sicuramente degli aspetti che vanno migliorati per chi fa questo mestiere. Un punto critico, per esempio, è la sosta. Al di là della mancanza di servizi adeguati, soprattutto per le donne, il vero problema è trovare un posto dove poter sostare quando scattano le tassative quattro ore e mezza di guida e ti devi fermare. Non posso lavorare con l’ansia di non trovare un posto in cui fermarmi. Forse si dovrebbe iniziare a pensare un po’ meno ai divieti e un po’ di più a creare zone dove farci dormire puliti e tranquilli.
Dopo anni in un lavoro frenetico e totalizzante, come vivi oggi i ritmi della strada?
La strada ha i suoi tempi e le sue pressioni, abbiamo orari e consegne da rispettare, ma bisogna anche avere rispetto delle esigenze del singolo. Io, per esempio, se sono troppo stanca mi fermo. Il mio lavoro è consegnare, non mettere a rischio me stessa, gli altri utenti della strada, il camion o la merce.



Cosa ami di più di questo lavoro?
Mi piace guidare, altrimenti ovviamente non farei questo mestiere. Mi dà un senso di libertà. E mi piace la possibilità di poter godere di un’alba o un tramonto dalla mia cabina, quelle piccole cose che in una vita sempre di fretta si danno troppo spesso per scontate.
Ti resta ancora sogno da realizzare, per non avere rimpianti?
Sì, guidare un aereo. Mi piacerebbe prendere il brevetto per un ultraleggero. Alla fine, tutto ciò che ha un motore mi conquista.




