L’attesa è un problema. Lo denunciammo anni fa quando, dopo aver vivisezionato 80 mila carte tachigrafiche di altrettanti autisti, appurammo che in media aspettavano al carico per quasi 5 ore e mezza producendo un danno al settore di circa 3 miliardi di euro.
Oggi, tramite l’aggiornamento di una legge esistente, si cerca di mitigare quel danno innalzando l’entità dell’indennizzo rispetto al passato (100 euro invece di 40) e rendendolo maturabile dopo un tempo di franchigia più breve (1,5 ore invece di 2). L’intento – di certo nobile – è apparso traballare quando ci si è posti il quesito se quella legge fosse o meno derogabile. Ne è scaturito un dibattito tra due opposte fazioni in cui si sono perse di vista due evidenze: la prima è che il diritto (per fortuna) non contempla verità assolute; la seconda è che nell’autotrasporto le norme, da sole, non hanno mai rappresentato una difesa impenetrabile. Tant’è che esistono decine di leggi che, seppure concepite per tutelare la parte più debole di un contratto di trasporto (tariffe a forcella, costi minimi, pallet, ecc.), sono rimaste lettera morta. E non perché fossero di difficile interpretazione, ma perché nella realtà la parte debole costituita dall’autotrasportatore fatica a farle valere, in quanto se il suo committente al posto della tariffa imposta per legge gliene offre un’altra più bassa, lui l’accetta perché teme che se, così non facesse, qualcun altro gli prenderebbe il posto. Un po’ come fanno gli autisti che disattivano i sistemi di sicurezza salvavita soltanto perché temono di perdere autonomia alla guida.
Con i tempi di attesa accadrà la stessa cosa: se il committente non versa l’indennizzo, il trasportatore chiuderà un occhio fintanto che intrattiene con lui buoni rapporti. Poi, se le relazioni mutano e l’anno di prescrizione glielo consente, magari lo porterà in tribunale. E lì finalmente si appurerà se quella normativa fosse o meno derogabile. Per questo serve affiancare alla difesa giuridica una strategia diversa: innanzitutto, bisognerebbe rimettere a fuoco il committente, mitigandone i tratti che lo rappresentano come figura da cui difendersi, per ribadire un’affermazione scontata: senza di lui il settore non avrebbe ragione d’essere e ciò lo rende insostituibile. Quindi, fin quando l’autotrasportatore avrà timore di essere sostituibile per forza di cose resterà parte debole.

Il punto, allora, è di rendersi altrettanto indispensabili: non un fornitore rimpiazzabile al primo ribasso, ma un partner che il committente non vuol perdere perché migliora la sua filiera e alza la sua efficienza. Ma come si diventa indispensabili? Di fatto entrando nelle logiche del cliente, capendo cosa gli serve, come funzionano i suoi processi, dove perde tempo e risorse. Insomma, rendendosi parte del suo risultato.
Ma anche qui: in che modo? Una risposta la suggerisce l’elettromobilità. Quando un trasportatore ha bisogno di un camion con motore termico entra in una concessionaria e lo prende. Per acquistare un camion elettrico non basta volerlo acquistare, serve un progetto condiviso e pianificato. Bisogna valutare cicli di lavoro, infrastruttura di ricarica, impatti sulla logistica del cliente e tanto altro. E siccome questa progettazione porta benefici anche al committente, migliorando – per esempio – il prezzo con cui paga il denaro, sarà suo interesse concepirla insieme, coinvolgendo anche il costruttore del veicolo in veste di consulente e fornitore.
Chi oggi impara a lavorare così, domani probabilmente non avrà bisogno di appellarsi a una norma per pretendere rispetto. Anche perché se la forza prodotta da una legge può risultare «disattivabile», quella costruita tramite collaborazione costruttiva si sprigiona in modo continuativo, alimentata da reciproca convenienza. Infine, per chi teme il confronto diretto con il committente, esiste una palestra: ripensare le relazioni con i propri pari, con quelli che minano la propria indispensabilità, per riuscire a cooperare, a costruire reti o consorzi, a gesti re insieme uno o più clienti . È una logica collaborativa utile per prepararsi ad affrontare la relazione principale, ma è anche il viatico necessario per conservarne traccia, visto che tra qualche anno chi non sarà in grado di sommare con gli altri le proprie forze con ogni probabilità non dovrà nemmeno preoccuparsi dei rapporti con il committente. Semplicemente perché non ne avrà più.
Questo editoriale fa parte del numero di novembre/dicembre 2025 di Uomini e Trasporti: un numero che contiene un’ampia inchiesta sul percorso che conduce alla CQC: cosa serve davvero per diventare autisti professionisti, le contraddizioni del sistema europeo, le strategie «oltre confine» e molto altro…
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