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Anche per contestare l’uso del cellulare alla guida è necessaria la querela di falso

Dopo la sentenza che lo prevedeva per contestare l’omologazione dell’autovelox, una seconda decisione della Cassazione estende la necessità della querela di falso nei confronti del pubblico ufficiale che accerta l’infrazione anche nel caso della opposizione ad una multa per l’uso del cellulare al volante

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La famosa scrittrice di romanzi gialli Agatha Christie affermava che «un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Ebbene, sul fatto che per chiedere l’annullamento di una multa per certe infrazioni del Codice della Strada sia necessaria la querela di falso siamo già al secondo indizio e questo indica indubbiamente una tendenza.

Infatti, dopo la sentenza sull’annullamento delle multe di autovelox che abbiamo visto la scorsa settimana, una nuova decisione della Cassazione – la n. 12925 del 14 maggio 2025 – ha ribadito che i verbali degli agenti fanno piena prova salvo querela di falso, che costituisce l’unico strumento per contestare fatti attestati direttamente dal pubblico ufficiale. In questo caso, però, il riferimento è ad una multa per uso di cellulare al volante. Vediamo di cosa si tratta, ringraziando il sito Brocardi.it per la segnalazione della sentenza.

IL FATTO

Nell’ordinanza di cui ci occupiamo la Corte Suprema, discutendo appunto di un verbale in cui l’agente accertatore aveva dichiarato di aver assistito personalmente all’utilizzo dello smartphone durante la guida, aveva precisato come il verbale redatto da un pubblico ufficiale in merito a fatti accaduti in sua presenza gode di «fede privilegiata». In soldoni: le sue dichiarazioni sono una sorta di «superprova», che non è possibile contestare con una semplice testimonianza. Ma se il cittadino che ha subito la multa ritiene che ci sia stato un errore o che il pubblico ufficiale non stia dicendo la verità? Ecco che può ricorrere alla querela di falso.

Ricapitolando: ogni verbale redatto da un agente di Polizia Stradale, Carabinieri o Polizia Locale, nell’esercizio delle proprie funzioni, è considerato un atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 del c.c. e quindi possiede una forza probatoria superiore, ossia la «pubblica fede», ai sensi dell’art. 2700 del c.c.. In altre parole, l’atto pubblico fa piena prova fino a quando non viene accertata la sua falsità tramite la querela di falso. Ma non basta. Questo «valore probatorio privilegiato» si estende anche alla provenienza del documento (confermando che il verbale è stato effettivamente redatto dall’agente indicato) e alle dichiarazioni delle parti e ai fatti constatati (cioè convalida ciò che il pubblico ufficiale attesta di aver visto o sentito direttamente).

In conclusione e senza tediarvi ulteriormente, se un agente dichiara di aver personalmente assistito a una certa condotta (come l’utilizzo del telefono durante la guida), la sua attestazione non può essere contrastata con una semplice contestazione in sede di impugnazione della sanzione. La «parola» del soggetto sanzionato non è insomma sufficiente a smentire un’attestazione dotata di fede privilegiata.

LA DECISIONE

Nella pronuncia n. 12925/2025 la Cassazione evidenzia anche i limiti della contestazione in sede di opposizione al verbale. Secondo gli Ermellini possono essere impugnate con un ricorso ordinario solo le circostanze non attestate direttamente dal pubblico ufficiale o i vizi di forma manifesti, mentre qualsiasi obiezione che intenda confutare fatti accertati direttamente e contestualmente dall’agente (anche per semplici errori di percezione della scena od omissioni involontarie) rientra esclusivamente nell’ambito della querela di falso.

Ad esempio, se un agente verbalizza di aver visto il conducente al telefono mentre guidava e quest’ultimo affermi invece che si stava semplicemente grattando la testa, per «smontare» l’ipotesi del pubblico ufficiale non c’è scampo: è necessario avviare la procedura di querela di falso.

LE CONSEGUENZE

Come avevamo già accennato la scorsa settimana, la querela di falso è un procedimento giudiziario lungo e complesso. Solo con esso ci si può opporre a qualsiasi alterazione della realtà dei fatti riportati nel verbale dall’ufficiale oppure ad omissioni o errori di percezione, anche se involontari o accidentali. Come accennato, la querela di falso non è sempre necessaria. In particolare non serve in presenza di vizi di forma dell’atto (l’agente non era competente, mancano requisiti essenziali che rendono l’atto nullo, ecc.); di un falso grossolano, ossia riconoscibile a prima vista; di errori materiali o di calcolo palesi (tipo una data inesistente, come il 30 febbraio o un numero di targa con caratteri errati). In questi casi – ma solo in questi – un semplice ricorso al Giudice di Pace o al Prefetto può essere sufficiente.

Altra complicazione è che la querela di falso è di competenza esclusiva del Tribunale civile in composizione collegiale e quindi non può essere decisa dal Giudice di Pace o da altri giudici. Se la questione emerge incidentalmente nel corso di un altro processo, la parte che intende contestare la falsità deve dimostrare di aver già proposto la querela di falso al Tribunale civile o chiedere al giudice del processo principale di fissare un termine perentorio per farlo.

La querela di falso può essere proposta sia in via principale (con un ricorso autonomo), sia in corso di causa (in via incidentale). In quest’ultimo caso, il giudice del processo principale valuterà la rilevanza del documento contestato. Se il documento non è rilevante ai fini della decisione, il processo principale prosegue; se il documento è rilevante e la querela di falso non è «manifestamente infondata o dilatoria», il giudice sospende la causa principale in attesa della sentenza del Tribunale civile sulla falsità.

Infine il problema più difficile da risolvere per il ricorrente: l’onere della prova. Questo infatti ricade interamente sulla parte che ha proposto la querela. Non ci sono limiti specifici ai mezzi di prova ammessi, per cui il ricorrente può avvalersi di documenti (fotografie, filmati, dashcam, perizie di parte); testimonianze, come le dichiarazioni di persone presenti ai fatti; consulenze tecniche d’ufficio (CTU) e ispezioni dei luoghi disposte dal giudice.

CONSIDERAZIONI FINALI

Partendo dunque dalla necessità della querela di falso per contestare certi tipi di multe e prescindendo dall’aumento preoccupante della complessità della contestazione in termini di tempo e denaro, è evidente come nel caso dell’uso del cellulare al volante la dimostrazione dell’errata percezione dell’agente sia molto più complicata rispetto a quella vista sette giorni fa dell’eccesso di velocità per non omologazione dell’autovelox. In quel caso infatti andava contestata l’affermazione scritta sul verbale dall’agente che il dispositivo era stato omologato – palesemente falsa in quanto in Italia non ci sono autovelox omologati – e comunque l’accertatore poteva essere in qualche modo riluttante a scrivere un qualcosa che poteva causargli conseguenze penali di una certa portata. Qui invece la prova è più macchinosa, occorrono una documentazione video, foto o dei testimoni e, in ogni caso, il pubblico ufficiale potrebbe sempre appellarsi alla sua buona fede – «avevo visto male» – nel caso di sentenza sfavorevole, con conseguenze per lui presumibilmente più lievi.

In ogni caso attendiamo il terzo indizio per decretare una tendenza giurisprudenziale volta a mettere i bastoni tra le ruote ai ricorsi «facili» degli ultimi tempi.

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