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Comunicazione dati conducente: se giustificata, l’omissione non è sanzionabile

Il giudice di pace di Cosenza sottolinea la differenza tra chi ignora del tutto l’invito a fornire i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione (atteggiamento meritevole di sanzione), da quello di chi indica l’esistenza di motivi idonei a giustificare la mancata trasmissione dei dati

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Ritorniamo ad occuparci dell’art. 126-bis comma 2 del Codice della strada, esaminando una recentissima sentenza del Giudice di pace di Cosenza, Francesco Claudio Messina. Per i più distratti ricordiamo che l’articolo in esame riguarda l’obbligo di comunicazione dei dati del conducente in caso di violazione che comporti la decurtazione di punti dalla patente. In pratica, se il proprietario del veicolo non era alla guida al momento dell’infrazione, deve comunicare all’organo accertatore, entro 60 giorni dalla notifica del verbale, i dati anagrafici e della patente del conducente effettivo. La mancata comunicazione, senza giustificato motivo, comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da 291 a 1.166 euro. Inoltre la comunicazione deve essere fatta anche se il proprietario del veicolo è anche il conducente, nel qual caso sarà «nulla», ma eviterà ulteriori sanzioni.

Va però fatta un’ulteriore premessa. La sentenza della Cassazione n. 24012/2022 aveva da tempo stabilito che la violazione ex art. 126-bis comma 2 CdS si può configurare soltanto «quando siano definiti i procedimenti giurisdizionali o amministrativi avverso il verbale di accertamento dell’infrazione presupposta». In caso di esito di questi procedimenti sfavorevole al ricorrente, allora l’organo di polizia è tenuto ad emettere una nuova richiesta, dalla cui comunicazione decorre il termine di sessanta giorni citato. Un orientamento poi confermato da una serie di ordinanze della Corte Suprema.

IL FATTO

Proprio per questa linea giurisprudenziale il verbale della Polizia Stradale di Cosenza di violazione dell’obbligo di comunicazione era stato impugnato dall’azienda sanzionata, in quanto da essa ritenuto illegittimo.

La motivazione dell’avvocato difensore Maurizio Via, che sostituiva il collega Roberto Iacovacci, era che il documento era stato emesso nonostante pendesse ancora il ricorso al verbale prima notificato, nel quale era contenuto l’ordine di comunicazione dei dati del conducente del veicolo trasgressore del CDS.

LA DECISIONE

Questa argomentazione non convinceva però il GdP calabrese che aderiva a una diversa interpretazione giurisprudenziale del momento da cui decorre il termine di 60 giorni, ovvero «non dalla definizione dell’opposizione contro il verbale di accertamento dell’infrazione presupposta, ma dalla richiesta rivolta al proprietario dall’autorità». Tuttavia questo contrasto giurisprudenziale interpretativo su quando scada il termine di obbligo di comunicazione dei dati del responsabile della violazione, secondo il giudice Messina, può ingenerare confusione nel ricorrente. La società non può essere considerata responsabile in quanto «caduta in palese errore sul fatto», ritenendo cioè che, avendo proposto ricorso al primo verbale, aveva ottemperato anche al successivo obbligo di comunicazione, ed essendo quindi in sostanza in buona fede.

Ma c’è un elemento che ha fatto girare il giudizio a favore dell’azienda. Questa infatti aveva inviato una raccomandata con ricevuta di ritorno alla Polstrada di Cosenza, esponendo i motivi per cui non avrebbe potuto indicare i dati del responsabile della prima trasgressione, poiché il veicolo utilizzato era condotto da diversi dipendenti. In questo senso – spiega il giudice – «non può affermarsi che la ricorrente abbia del tutto omesso di rispondere all’autorità procedente». Bisogna infatti distinguere – come hanno stabilito gli Ermellini – tra la condotta di chi ignora del tutto l’invito a fornire i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione (atteggiamento meritevole di sanzione) da quella di chi, presentandosi o scrivendo, indichi l’esistenza di motivi idonei a giustificare la mancata trasmissione dei dati. Il giudice comune dovrà poi valutare se quei motivi siano giustificati o meno, ma anche «le ragioni di diritto per cui quei motivi configurino una condotta omissiva sanzionabile».

LE CONSEGUENZE

Questa necessità di valutare il comportamento del cittadino che intende comunque spiegare e giustificare i motivi per cui non ha provveduto all’invio dei dati fa parte – dice il GdP – di un nuovo modo di concepire i rapporti tra cittadini e PA, «dove al sistema autoritario e della separazione dei ruoli si è venuto sostituendo un rapporto paritario di democrazia procedimentale, in cui l’apporto del privato è visto non come un ostacolo, ma come un arricchimento della bontà dell’azione dei pubblici poteri». E in questo senso la raccomandata inviata dalla società va considerata come una risposta adeguata, seppure contestante, all’obbligo in esame.

Pertanto il Giudice di Pace di Cosenza ha accolto il ricorso e annullato il verbale di violazione all’art. 126 comma 2, compensando spese e competenze di lite tra le parti.

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