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Non sempre l’abito fa il camionista: come coniugare efficienza e creatività

Si sale su un camion quando si è in grado di guidare. Capacità attestata dal possesso di una patente. Ma non è tutto. Occorre relazionarsi con le persone e farsi trovare sempre pronti ad affrontare le differenti situazioni che si presentano. Questo significa disporre dei cosiddetti DPI, ma anche di quell’abbigliamento che ti consente di essere a proprio agio in ogni situazione. Non per essere obbligatoriamente omologati in una sorta di divisa ma, con un po’ di fantasia e qualche giusto consiglio, poter esprimere la propria personalità coniugando creatività ed efficienza. E scoprire che i colleghi camionisti si stanno allontanando sempre più dallo stereotipo di una volta, dando pareri su quale indumento sia meglio indossare e quale invece sarà sempre inadeguato. Un percorso evolutivo o se volete una progressiva presa di coscienza scritta direttamente da una neo-autista dalla penna facile (è entrata nell’autotrasporto nel 2020). Risponde al nome di Marta Bertazzo, anche se tutti la chiamano «Lola»

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Ma come ti vesti?

Diventare camionista ha portato un cambiamento nel mio look per andare al lavoro. Canottiera con macchie di candeggina e pantaloni della tuta che hai conservato dalle scuole superiori?
No. Quasi.
Ho iniziato questo lavoro indossando outfit che Enzo Miccio avrebbe squadrato da testa a piedi per l’incompatibilità con la mansione preposta e che solo grazie ai camionari ho perfezionato rendendoli efficienti e, al contempo, stilosi.
Mai avrei immaginato che i fautori della mia evoluzione nel work wear sarebbero stati proprio loro: i camionisti.

Il prima

Il mio mentore, Big Rock, mi aveva già raccontato di come l’autista frigo sia tutto sommato un tipo di lavoro pulito: nessun polveroso cantiere da affrontare come chi fa vasca e nessuna evidente macchia di bitume o carburante sui vestiti, come chi fa trasporto ADR. 
In altre parole, se sei un camionista che guida un rimorchio frigo, puoi vestirti pure in camicia e pantaloni con piega, se questo outfit ti fa sentire a tuo agio tra multietnici magazzini e uso del transpallet in aziende agricole, circondato da scarti di cipolla.

In scia al suo «Vai tranquilla che non ti sporchi granché!», ho preso quelle parole alla lettera segnando così la fine di decine di t-shirt e di pantaloni a cui ero affezionata: contrariamente a ogni mia convinzione, ho capito solo dopo diversi aloni che essere autista non significa essere esclusivamente addetta alla guida del camion. Significa anche gestire altre attività, come il carico/scarico della merce in svariate condizioni meteo e di contesto. 
E ho imparato che la cabina è pulita. Il resto del camion un po’ meno.

In barba alla realtà dei fatti, dunque, le prime settimane mi sono presentata al lavoro dopo un’accuratissima mattutina scelta dei capi: indossavo cose come top pellicciosi completati da accessori da shopping addicted
Una volta ero talmente mal assortita nel vestiario da buscarmi un mega raffreddore (che ho dignitosamente camuffato), ignorando le previsioni meteo di un marzo pazzerello con pioggia di stravento, convinta di essere al riparo in abitacolo per tutto il turno.
Con quale risultato? Tra un ritiro e l’altro, stendevo i guanti, la felpa e i calzini sui bocchettoni di aria calda presenti nella cabina del mio Volvo come neanche a Napoli sanno fare. 

Il dopo

Mese dopo mese, ho recepito gli insegnamenti del mestiere su come prevedere i cambiamenti del meteo ed evitarmi dispiaceri derivati come per esempio andare in officina e occuparmi dello sgancio del semirimorchio, con qualsiasi cosa io avessi addosso in quel momento, senza preavviso.
Ho imparato che durante i ritiri giornalieri, posso azzardare uno stile sporty ma che è meglio non entrare nei magazzini così sporty: meglio indossare una giacca coprente per non ritrovarmi con personale distratto che mi scarica le pedane dal rimorchio mentre io invece le sto caricando.
E ho appreso che durante i viaggi di media percorrenza, se mi va’, posso permettermi qualcosa di più femminile e ricercato, sempre e comunque di seconda scelta e a mali estremi sacrificabile. Tipo «Oggi scelgo questa camicetta che tanto non indosso mai… Oppure questa maglia con i brillantini: sbrilluccicherà al tramonto in Arca… E se ho freddo, questo blazer che neanche ricordavo di avere…». 

Il merito va a…

Questa progressiva crescita della skill «Avere un aspetto adeguato nei luoghi di lavoro» non è tutta merito mio. I colleghi sono i miei veri consulenti di immagine. E non sto esagerando.
Camionisti che si complimentano quando indosso determinati colori piuttosto che altri, notano se i jeans vestono bene, apprezzano outfit da lavoro particolarmente creativi come camicia scozzese e salopette. 
Il loro coinvolgimento è davvero speciale: sono una donna in un mondo di uomini ma riesco a mantenere alcuni argomenti prettamente in rosa. 
Ho persino trovato chi nota se ho appena fatto la manicure o se ho cambiato acconciatura. Lo chignon semi-raccolto e la treccia alla Elsa vanno per la maggiore.
Come nel discorso conclusivo di un Premio Award, vorrei quindi menzionare, senza fare nomi ma con gratitudine, chi mi ha convinto a usare meno make-up perché «Sei gradevole anche acqua e sapone»: per essere una che ha fatto il salto dagli “enta” agli “anta” in un covo di uomini, è un bel segnale di prolungata giovinezza. 
O stigmatismo.

E vorrei anche ricordare con affetto tutti coloro che, davanti alla macchina del caffè o al banco bolle, hanno chiesto lumi su come si fanno i dreadlocks, come si lavano e come si mantengono. 
Nemmeno la mia migliore amica si era interessata tanto. 
Solo un aspetto risulta tutt’oggi ancora mal coordinato con l’autista di prodotti deperibili: riuscire a non sproloquiare per essersi macchiato nonostante le facilitazioni della tipologia di trasporto. 
Se l’abbigliamento è un problema risolto, sull’attitudine Miccio ci sta ancora lavorando. 
Non sempre l’abito fa il camionista.
E viceversa.

di Marta Bertazzo

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La redazione di Uomini e Trasporti

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