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Silvia Compagno: «Ai più giovani bisogna spiegare che quello che trovano nei supermercati arriva grazie agli autisti»

Un’infanzia passata nella campagna veneta, tra trattori e mezzi da lavoro. Silvia Compagno è solo una bambina quando si innamora per la prima volta dei camion: suo papà sta facendo dei lavori in casa e l’iconico Lupetto fa capolinea nel cortile dell’abitazione per portare i materiali. Non è un bestione della strada come quelli che guida oggi, ma è sufficiente per far nascere in lei l’interesse. Quando decide, per gioco, di salire su quel Lupetto qualcosa scatta: è quello l’inizio della sua storia con l’autotrasporto

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All’inizio Silvia si limita a guardare i camion da lontano: «Dalla camera da letto dei mei genitori si vedeva il posteggio di un concessionario Volvo. All’epoca insieme ai detersivi regalavano delle macchinette fotografiche, quelle con il rullino. Mi nascondevo in camera dei miei e usavo l’obiettivo della macchina fotografica come binocolo, per vedere meglio i camion posteggiati». Oggi Silvia Compagno ha 49 anni, è diventata Volvo Trucks Ambassador e il prossimo 6 ottobre festeggerà la maturità al volante: autista da 18 anni. Nel mezzo, tanti viaggi, tanti sacrifici e soprattutto tanti cambiamenti. Il primo, il più importante di tutti, a 31 anni, quando si trova di fronte a una scelta: cambiare vita e inseguire il suo sogno, o proseguire con il lavoro in fabbrica. «Mia mamma era morta da poco – ricorda Silvia – e io mi dovevo prendere cura di mio papà. Non sapevo cosa fare, ma dovevo decidere nel giro di breve tempo. Ricordo che un giorno mi fermai in un piazzale vicino all’autostrada e lì, in lacrime, decisi di provarci».

Silvia supera in poco tempo tutti gli esami delle patenti con la speranza di trovare facilmente lavoro. Di donne al volante se ne vedevano ancora poche e il successo non era affatto scontato. «Io, tra l’altro, sono sempre stata piccolina, per questo mi chiamavano affettuosamente “Silvietta”, non sembravo certo adatta a un lavoro come questo. Inizialmente trovai lavoro solo come autista di bus: prima per una cooperativa per la quale guidavo i pulmini per i ragazzi disabili, poi per l’ACTV di Venezia, l’azienda di trasporto pubblico. Per tre anni e mezzo mi sono accontentata di fare un po’ da jolly, mi chiamavano quando mancava un altro autista, ma sentivo che non era quella la mia strada, anche se sicuramente è stata un’esperienza utile». La svolta arriva nel 2004. «Mi fu data una possibilità come autista di un portacontainer. Fu grazie a quell’esperienza che capii che davvero era il lavoro che faceva per me. Ogni giorno imparavo cose nuove e conoscevo nuove persone».

Oggi Silvia ha cambiato azienda e alla guida del suo Volvo trasporta un po’ di tutto: stoffe, vino, mobili, talvolta anche merci pericolose. Da Ballò di Mirano, in provincia di Venezia, dove vive, parte per le altre province del Veneto, per il Trentino e per la Liguria. Viaggi giornalieri che però l’hanno spesso portata a togliere tempo alla famiglia e ai tre nipoti di cui è zia orgogliosa. «Anni fa mia nipote Linda, allora adolescente, mi fece notare che il mio non era un bel lavoro, almeno dal suo punto di vista. Non avevo orari, non c’ero per loro tutte le volte che ne avevano bisogno. Ci rimasi molto male, ma cercai di spiegarle che è grazie a chi fa questo mestiere se tutti i giorni al supermercato trova il cibo che mangia. Le cose non arrivano per caso, qualcuno le deve portare, anche se costa qualche sacrificio. Certo che finché questo non lo si spiega ai più giovani, giustamente è difficile che lo capiscano. Inoltre, oggi la nostra professione non gode più del rispetto di un tempo, per colpa della mancanza di educazione di pochi ci abbiamo rimesso tutti. Dal mio punto di vista il progresso ha portato anche a tanto regresso. Oggi abbiamo camion più belli, più comodi e più sicuri, ma mancano i servizi che ci permettono di svolgere questo lavoro con dignità».

«oggi la nostra professione non gode più del rispetto di un tempo, per colpa della mancanza di educazione di pochi ci abbiamo rimesso tutti»

Silvia insieme a Elda

La rabbia, però, lascia presto il posto ai bei ricordi che la legano a questo mestiere. «Negli anni ho avuto modo di conoscere persone straordinarie con cui ho costruito rapporti bellissimi, perché se ti presenti con il sorriso e con educazione, penso che il rispetto venga da sé». Una delle persone a cui Silvia è più legata è l’amica storica Elda Guarise, anche lei una veterana del settore. «Conobbi Elda in concessionaria Volvo a Dolo all’inizio della mia carriera. All’epoca lei già guidava la motrice, io ancora il furgone e la prima cosa che pensai fu che era bello vedere una donna alla guida di un camion. Elda aprì una speranza in me. Vedere lei farcela dava a me la forza di provarci». La loro amicizia che dura ormai da 18 anni è immortalata anche sui profili social di Silvia dove spesso e volentieri condivide le sue esperienze, come quella vissuta proprio con Elda qualche mese fa alla guida di un camion elettrico. Le chiediamo quindi se, dal suo punto di vista, sia questa la strada giusta da seguire per la decarbonizzazione del settore. «Penso si debba trovare una soluzione ibrida: i mezzi elettrici per trasporti più brevi e i mezzi diesel per i trasporti più lunghi e pesanti, perché oggi i costi sono ancora molto elevati, si è limitati nel kilometraggio e soprattutto mancano i punti di ricarica. Credo che la valutazione debba essere fatta in base alla tipologia di lavoro».

Prima di salutare Silvia, diretta all’Interporto di Padova per uno scarico, le chiediamo come festeggerà i suoi 18 anni in cabina. «Penso che non ci sia cosa migliore da fare che fermarsi per cinque minuti, tirare il freno a mano e ringraziare per quello che si ha. La vita non è fatta di cose materiali ma di sentimenti e il camion, per me, è un pezzo di cuore».

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