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EDITORIALE | Quanto costa trasportare l’attesa

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Guardatevi per un attimo attorno. Tutto quanto ha intercettato il vostro sguardo costa qualcosa di più di quanto dovrebbe. E non soltanto per effetto dell’incremento folle del prezzo dei carburanti. Il problema è che ogni oggetto coltivato o prodotto nel nostro paese, così come ogni materia prima o componente che, seppure proveniente da oltre frontiera, va ad alimentare locali stabilimenti produttivi, si muove a singhiozzo. Anzi, per tanto tempo non si muove proprio: aspetta. I dati prodotti dal database Federtrasporti, analizzando 83 mila giornate lavorative, quantifica questa attesa in 4 ore e 35 minuti. Proviamo a valutare una parte dei sovraccosti che genera.

Parto con quello umano, con il peso psicologico che l’attesa produce sulle persone. Non ci giro intorno: se qualcuno vi dà un appuntamento e non vi riceve prima di 4,35 ore, quale considerazione pensate abbia di voi? E quel qualcosa – più pesante di un dubbio – che vi ronza sempre di più nella testa man mano che girano le lancette dell’orologio, quanto diventa insopportabile per la vostra autostima, se nel frattempo vi è negato persino l’uso dei servizi basilari? Conviene rispondere a queste domande dopo aver aperto, con l’aiuto di quanto scrive Laura Broglio a pagina 20, tutte le pieghe dell’inconscio di un autista in attesa. E soprattutto conviene tenere da parte le risposte per tirarle fuori quando si discetta di carenza di autisti e si muove alla ricerca delle sue possibili cause. Un trattamento così non ha prezzo: nessuno lo concilierebbe con il proprio benessere, anche se percepisse cinquemila euro al mese. Nessuno accetterebbe di avvicinarsi a una professione se non fosse in qualche modo rimosso.

Gli altri sovraccosti gravano su ogni azienda di autotrasporto che paga in media 25 euro l’ora per un dipendente che, malgrado sia qualificato come conducente di veicoli, in realtà trascorre la parte maggioritaria del suo tempo lavorativo (il 55%) a fare qualcosa di diverso dalla guida. Ciò equivale a dire che a fine anno l’investimento in capitale umano rimasto improduttivo si aggira sui 23.925 euro (4,35 ore moltiplicate per 25 euro l’ora e per 220 giorni lavorativi annui). Si potrebbero recuperare in parte pretendendo l’indennizzo di 40 euro l’ora previsto dalla legge. Ma pochi trasportatori lo richiedono e diversi faticano a calcolarlo. Senza considerare che restano comunque fuori dall’indennizzo due ore di franchigia e quelle successive costano più di 40 euro. Per la semplice ragione che, durante quelle 4,35 ore, resta improduttivo anche il camion, un bene strumentale per il quale si spendono circa 150 mila euro: tra i 100 e i 125 mila per la parte trainante e sui 40-50 mila per quella trainata. E siccome, oltre a pagare l’autista per guidarlo, l’azienda deve manutenere il veicolo, pagare bolli e revisioni, assicurazioni, pedaggi, pneumatici e gasolio, per riuscire a generare profitto con il suo fatturato bisogna fargli percorrere due o tre viaggi al giorno. Ma togliendo 4,35 ore da una giornata lavorativa diventa praticamente impossibile. Per quale motivo?

Le risposte sono tante e tutte dettagliate in questo numero. Uno però ve lo voglio spiegare in questa pagina citando un’inchiesta che realizzammo quasi 15 anni fa: metteva in parallelo due carichi di arance, uno in partenza da Agrigento, l’altro da Murcia in Spagna. Il primo richiedeva 36 ore di tutto-strada e una tariffa di 1.500 euro per giungere a Milano e 48 ore e 3.000 euro per salire fino a Bruxelles. Il secondo in poco più di 8 ore e 900 euro arrivava a Barcellona, in 36 ore e 2.350 euro si recava nella capitale belga. A garantire all’arancia iberica questo imbattibile vantaggio competitivo era il Mercabarna, grande centro di distribuzione sito a Barcellona che, disponendo di un’area di 90 ettari con 550 mila m2 di magazzini refrigerati, riesce a caricare 14 mila veicoli ogni giorno, per 24 ore al giorno. In Italia, per stabilire un parallelismo impietoso, soltanto il 21% dei centri di distribuzione della GDO è aperto dopo le 13. Ma vale lo stesso per i depositi chimici, per quelli portuali, per quasi tutti i centri di carico.

Il presidente di Federtrasporti, Claudio Villa, di fronte a una situazione di questo tipo ha lanciato una provocazione che suona un po’ come una sfida: «Io sarei disposto a rinunciare a qualche punto percentuale della tariffa di trasporto in cambio di un allungamento delle finestre temporali di apertura di depositi e magazzini». Chi è pronto a raccoglierla per il bene del Paese?

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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