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EDITORIALE | Eroi a chi?

Diffidate di chi vi chiama eroi. L’eroismo è la pretesa, rivolta agli altri, da parte di chi ha consapevolezza di avere mancanze.

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Diffidate di chi vi chiama eroi. L’eroismo è la pretesa, rivolta agli altri, da parte di chi ha consapevolezza di avere mancanze. Bertold Brecht lo scriveva chiaramente quando definiva «sventurata la terra che ha bisogno di eroi», perché quel luogo in cui tutto funziona, in cui appunto non manca nulla, difficilmente salgono alla ribalta figure eroiche chiamate a divenire, senza volerlo e senza saperlo, lo strumento con cui le lacune si colmano. D’altra parte, se il sistema sanitario non avesse subìto i tagli di spesa degli ultimi anni, i medici e gli infermieri che si sono trovati a fronteggiare l’emergenza Covid-19 sarebbero rimasti soltanto persone impegnate a svolgere il proprio lavoro. Allo stesso modo, i camionisti non hanno mai effettuato qualcosa di diverso rispetto al trasportare merci da un punto all’altro del territorio. Che lo facciano perché qualcuno si sollazzi in vacanza o perché sia costretto a casa dalle aggressioni di un virus contagioso, per loro non cambia molto. Ciò che cambia, ciò che ha indotto qualcuno a volerli trasformare in eroi è il trovarsi a fronteggiare carenze, scarsità e assenze. Quella di bagni, innanzi tutto, lasciati spesso chiusi senza una ragione su autostrade o nei luoghi di carico. E le prove dell’eroe queste sono: rimanere privato dell’elemento che simbolicamente garantisce la sopravvivenza e riuscire ugualmente ad andare avanti. Affrontare il quotidiano durante un’emergenza sanitaria, in cui lo strumento di resistenza primario, oltre al distanziamento sociale, è il lavaggio delle mani, senza poter utilizzare servizi igienici, è un po’ come, in un film d’azione, lasciare l’invincibile protagonista privo di acqua in mezzo al deserto sotto al solleone.
In più, oltre ai bagni, gli autisti chiamati dalla normativa a garantire il trasporto dei beni essenziali, sono stati privati del cibo. Con la chiusura delle trattorie, prima dalle 18.30 e poi definitivamente, seppure con la possibilità di consegnare pasti a domicilio, gli uomini del trasporto sono stati mutilati di quello squarcio di normalità che si apre loro a fine giornata, quando possono soddisfare le richieste dello stomaco, ma anche stabilire quelle relazioni di cui il loro lavoro solitario ha bisogno come l’aria e l’acqua. E questo è un ulteriore profilo ritenuto eroico: vedersi sfilata una parvenza di normalità proprio quando si è chiamati, per non dire costretti, a garantire agli altri una normalità. Poi, anche grazie alla nostra iniziativa di creare sul web una guida di trattorie disponibili a servire il pasto in cabina, si è profilata un’alternativa, frutto di quella capacità adattiva di cui come gente non difettiamo. L’antagonista della creatività italica, però, è da sempre la burocrazia irrazionale, che anche stavolta ha sferrato l’attacco sotto forma di un’interpretazione rigorosa delle norme, tale per cui se le trattorie possono garantire un servizio a domicilio e la cabina di un camion non può essere ritenuta tale, il servizio in cabina non è lecito. Ragionamento già di per sé difficile da accettare, ma che diventa sconfortante quando procede per conseguenze, perché una cosa non lecita merita a cascata una sanzione. E tanto è stato: qualche piccolo esercizio, che a malapena mette da parte pochi euro, s’è trovato a sborsarne 400 di multa perché aveva consegnato pasti a un camionista. Il rischio che altre trattorie, di fronte a tale prospettiva, potessero tirarsi indietro ci ha indotto, lo scorso 17 aprile, a scrivere al ministero dei Trasporti (e per conoscenza a quelli di Interno e Salute) insieme al presidente della Fai, Paolo Uggè. Un’iniziativa che serve a chiedere un’interpretazione estensiva delle norme o magari una deroga, ma serve pure come viatico per entrare nella fantomatica Fase 2, in cui le trattorie magari riapriranno, ma dovranno tenere comunque distanti tra loro gli avventori. E quale miglior contributo si può richiedere alla causa del distanziamento se non quello di poterne tenere qualcuno fuori dal locale, nella cabina del proprio camion in parcheggio? Ma serve pure a poter costruire uno sgangherato lieto fine a una triste storia. Perché in ogni film di genere che si rispetti l’eroe può subire ogni sorta di privazione, ma alla fine si salva. Riusciranno a fare altrettanto i nostri camionisti, seppure privi di qualsiasi velleità di trasformarsi in eroi? Aggiungere la possibilità di svolgere servizio da asporto anche a chi fino a ieri effettuava servizio a domicilio – come consentito dal Dcpm del 26 aprile a partire dal 4 e fino al 17 maggio – potrebbe essere sufficiente. Però, stavolta, cari ministeri, diciamolo chiaramente.

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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