Una sentenza – n. 27335/2025 – che farà discutere quella emessa ieri dalla Prima Sezione Civile della Cassazione su una controversia per il riconoscimento all’autotrasportatore di un compenso pari al costo minimo del viaggio (periodo 2008-2014). La Corte Suprema ha infatti stabilito che un lodo arbitrale sui costi minimi non è impugnabile, perché la norma al riguardo (DL 112 2008, articolo 83 bis. commi 6 e 7) non può essere considerata di ordine pubblico – come richiesto dall’art. 829, comma 3, del Codice di Procedura Civile – ma va invece valutata come «norma imperativa di diritto interno». Al riguardo, ci si riferisce ai contratti di autotrasporto merci stipulati in forma non scritta, il cui compenso da riconoscere al vettore non deve essere inferiore alla somma tra il costo del carburante e gli altri costi di esercizio fissati periodicamente dal Ministero delle Infrastrutture.
La decisione fissa un paletto fondamentale e definitivo – almeno per il momento – sulla questione controversa dell’impugnazione del lodo arbitrale per contrarietà all’ordine pubblico, in risposta alla domanda di quando la violazione di una norma imperativa possa essere considerata contraria all’ordine pubblico, giustificando così l’annullamento del lodo.
La vicenda aveva avuto origine da una controversia tra due imprese operanti nel settore dell’autotrasporto. Una delle due società aveva avviato una procedura arbitrale per l’accertamento di un credito derivante da servizi di trasporto svolti tra il 2009 e il 2012. La controparte, costituendosi in giudizio, non solo contestava la pretesa, ma chiedeva in via riconvenzionale la condanna al pagamento di una somma molto più alta, derivata dalla differenza tra i corrispettivi pattuiti e quelli minimi previsti da una norma all’epoca vigente (art. 83-bis del DL n. 112/2008) e considerata inderogabile.
Il Collegio arbitrale, con lodo del 2015, accoglieva parzialmente la domanda principale, ma respingeva la richiesta riconvenzionale, stabilendo che nulla era dovuto a titolo di adeguamento ai minimi tariffari. La società soccombente sulla questione dei minimi aveva quindi proceduto con l’impugnazione del lodo dinanzi alla Corte d’Appello che però aveva respinto il ricorso. Tra le motivazioni quella che ci interessa riguardava appunto la presunta erronea applicazione della norma sui minimi tariffari, che secondo il tribunale non integrava una violazione dell’ordine pubblico, unico motivo che avrebbe consentito l’impugnazione a prescindere da quanto previsto dalla clausola arbitrale.
La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, con il ricorrente che aveva insistito sul fatto che la norma sui minimi tariffari, avendo natura inderogabile (anche alla luce della giurisprudenza dell’Unione Europea), fosse parte integrante dell’ordine pubblico economico, una sorta di ordine pubblico «attenuato». Di conseguenza, la sua violazione da parte degli arbitri avrebbe dovuto consentire l’impugnazione del lodo, anche in assenza di una specifica previsione delle parti. La Terza Sezione Civile della Cassazione aveva rimandato per competenza la questione alla Prima Sezione Civile che ieri ha ribadito la non impugnabilità del lodo.
La sentenza assume grande importanza proprio perché farà da guida in futuri casi analoghi, ma non mancherà di suscitare forti polemiche. Se infatti l’art. 829 c.p.c. recita che un lodo è sempre impugnabile se contrario all’ordine pubblico, anche se le parti non hanno previsto l’impugnazione per violazione di legge, poi non definisce i confini esatti dell’ordine pubblico stesso, lasciando l’interpretazione alla giurisprudenza, giurisprudenza che, in Europa, ha preso un orientamento opposto a quello della sentenza di ieri. Quindi una materia estremamente delicata che, in futuro, potrebbe anche aprirsi a nuove interpretazioni.