Uno dei maggiori problemi del diritto tributario è l’elusione fiscale, perché succede spesso che operazioni formalmente lecite vengono utilizzate per ottenere vantaggi fiscali indebiti.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione, (n.14947/2024) ha analizzato il caso di una serie di operazioni commerciali tra società collegate ritenute abusive, fornendo una chiave di lettura per distinguere tra legittima pianificazione fiscale e abuso del diritto.
IL FATTO
La vicenda nasce da una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti di una società a responsabilità limitata operante nel settore del trasporto merci. I finanzieri avevano scoperto una serie di operazioni negoziali che consistevano nella stipula di contratti di sub-trasporto con altre società, che venivano considerate elusive. Infatti, sebbene le società fossero formalmente distinte, gli organi di controllo avevano accertato che facevano capo a un solo centro decisionale, gestito da un’unica persona. Questa ipotesi era confermata – secondo la GdF – dall’uso promiscuo di locali e attrezzature e persino da uno scambio di personale tra le varie entità.
Secondo l’Amministrazione Finanziaria, queste operazioni erano prive di una reale giustificazione economica e miravano esclusivamente a ottenere un risparmio d’imposta attraverso «aggiustamenti» contabili tra costi e ricavi o la creazione di crediti IVA a favore di una o dell’altra società del gruppo.
A questo punto l’Agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento per recuperare maggiori imposte (IRES, IRAP e IVA) per l’anno 2008. In primo grado la società di trasporto vinceva la causa, ma soccombeva in appello, per cui decideva di portare la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.
LA DECISIONE
Cosa hanno quindi sentenziato gli Ermellini? La Suprema Corte ha decisamente rigettato il ricorso della società, confermando la legittimità dell’avviso di accertamento. Tutti e sei i motivi di ricorso presentati dal contribuente sono stati respinti dal giudice, sia quelli per vizi procedurali che quelli di merito.
Sono in sostanza due i temi che hanno rilevanza pratica: la motivazione della sentenza e l’implicito respingimento delle eccezioni. Per quanto riguarda il primo argomento, l’azienda lamentava la nullità della sentenza d’appello perché sarebbe stata una trascrizione quasi integrale dell’atto di appello dell’Agenzia delle Entrate. La Cassazione ha però rifiutato questa tesi, ribadendo un principio consolidato: la sentenza non è nulla se il giudice, pur riproducendo il contenuto di un atto di parte, dimostra di aver fatto proprio il percorso argomentativo e se le ragioni della decisione risultano chiare e attribuibili all’organo giudicante. Per il secondo, il contribuente sosteneva che i giudici d’appello avessero omesso di pronunciarsi su specifiche eccezioni di nullità dell’accertamento. La Corte ha invece chiarito che la decisione sul merito della pretesa fiscale, se incompatibile con l’accoglimento di un’eccezione, ne comporta l’implicito rigetto.
Ma quali sono dunque le motivazioni del rigetto? In sostanza, la Corte ha analizzato la condotta della società contribuente, qualificandola come elusione fiscale o abuso del diritto. Confermando la valutazione dei giudici di merito, la Cassazione ha spiegato che le operazioni di subvezione tra le società collegate erano prive di una valida ragione economica extrafiscale. Nonostante la reale esecuzione dei trasporti, l’intera architettura societaria era stata costruita al solo scopo di conseguire un indebito vantaggio fiscale.
I giudici hanno insomma sottolineato come la presenza di un unico centro gestionale, la commistione di mezzi e personale e l’assenza di una logica di mercato nelle transazioni fossero elementi probatori sufficienti a dimostrare l’intento abusivo. Le giustificazioni fornite dalla società sono state ritenute inadeguate a dimostrare l’esistenza di valide ragioni extrafiscali che potessero spiegare l’affidamento di servizi a società così strettamente collegate.
Irrilevante dunque la difesa della società basata sulla reale esecuzione delle prestazioni, poiché l’abuso non risiede nella falsità dell’operazione, ma nell’uso distorto di strumenti giuridici per un fine contrario alla ratio delle norme fiscali. In sostanza, il vantaggio fiscale ottenuto non era il naturale risultato di una scelta economica, ma l’obiettivo principale dell’intera costruzione negoziale.
LE CONSEGUENZE
Questa sentenza consolida l’orientamento della giurisprudenza in materia di abuso del diritto. Si ribadisce che per valutare l’esistenza di una elusione fiscale, l’analisi non deve fermarsi alla legittimità formale delle singole operazioni, ma deve indagare la loro sostanza economica e la loro finalità complessiva. La creazione di strutture societarie artificiose, che coinvolgono entità collegate e gestite unitariamente, al solo scopo di manipolare i risultati fiscali, configura una condotta abusiva sanzionabile.
Ogni operazione economica, specialmente se posta in essere all’interno di un gruppo, deve essere supportata da solide e dimostrabili ragioni extrafiscali, per non incorrere nel rischio di contestazioni da parte del Fisco.


