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Amazon, meno controllo sui driver dopo l’inchiesta della Procura di Milano

Il colosso americano dell’eCommerce versa al fisco italiano 180 milioni di euro per continuare a fare pubblicità e cambia l’algoritmo che assegna le consegne: da gennaio 2026 il controllo sarà limitato alle attività e non alle pause o fermate. Sono questi i primi risultati dell’inchiesta aperta dalla Procura di Milano nel 2024 che aveva portato al sequestro di 121 milioni con l’accusa di etero-direzione e “serbatoi di manodopera”. Un sistema contestato ad altri nomi della logistica italiana che ha portato finora oltre 1 miliardo nelle casse dello Stato e alla stabilizzazione di 50mila lavoratori

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Meno controllo per i driver attraverso il software e 180 milioni al fisco per continuare a fare pubblicità. Sono questi i primi risultati ottenuti a seguito dell’inchiesta della Procura di Milano sui cosiddetti “serbatoi di manodopera” che nel 2024 aveva sequestrato al colosso americano dell’eCommerce 121 milioni di euro e messo sotto la lente l’algoritmo che monitora i driver, assegnando le consegne e controllando percorsi e pause. Un sistema che la Procura di Milano ha contestato anche a molti altri nomi della logistica nazionale e internazionale, tra cui tra cui ad esempio Dhl, Gls, Schenker, Esselunga, Brt, Geodis, Sicuritalia, Ups, Rhenus, Kuene+Nagel e Fedex, con versamenti in sede fiscale da parte delle aziende di oltre un miliardo di euro e la stabilizzazione di circa 50mila lavoratori. 

Algoritmo solo per tragitti: oscurate le pause

Il versamento da parte dell’azienda e la modifica del software, in mano alla filiale italiana del colosso statunitense, hanno portato i pm Paolo Storari e Valentina Mondovì a chiedere al gip Luca Milani la revoca della richiesta di interdittiva di stop alla pubblicità. Amazon Italia Transport, aveva scritto il gip, “ha ottenuto benefici di natura economica e non, dovuti alla estrema flessibilità della forza lavoro a propria disposizione e alla imposizione di tariffe assolutamente inadeguate rispetto ai ritmi lavorativi richiesti”. Un provvedimento in cui venivano riportati anche i racconti dei corrieri: “puntini rossi su un monitor”, a loro dire, “controllati e sanzionati”. Nell’inchiesta del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano era emerso che quei corrieri, formalmente dipendenti di cooperative o società “filtro” con presunti contratti d’appalto irregolari, erano monitorati nelle consegne attraverso un software-algoritmo creato da Amazon.

In questo anno e mezzo passato dal sequestro per frode fiscale, la filiale italiana del gruppo statunitense, in sostanza, ha lavorato per adeguare i suoi modelli organizzativi, mettendo mano al software, tanto che dal 31 gennaio prossimo il sistema verrà cambiato con un algoritmo che non visualizzerà più la mappa che indica in tempo reale la posizione del driver e non avrà più le notifiche delle soste e delle pause. Le informazioni visibile e condivise tra il colosso e i fornitori di trasporto per l’ultimo miglio saranno solo quelle relative ai punti di consegna e la posizione del driver in tempo reale per dare la possibilità di inviare info utili ad ottimizzare l’attività.

La posizione di Amazon: “Lavoro regolare”

Amazon si difende. “Abbiamo chiarito – si legge in una nota – la nostra posizione con le autorità competenti che hanno riconosciuto gli elevati standard del nostro modello di collaborazione con i partner di consegna. Non utilizziamo cooperative e non consentiamo il subappalto. Tutti gli autisti che lavorano per Amazon sono assunti direttamente dai partner di consegna con inquadramento al livello G1 del CCNL Trasporto e Logistica“. “Cerchiamo – prosegue – continuamente di migliorare gli standard operativi anche attraverso le nostre tecnologie avanzate e abbiamo utilizzato questo processo per rafforzare ulteriormente i nostri sistemi di controllo della supply chain e di governance. Siamo orgogliosi di aver investito oltre 25 miliardi di euro in Italia negli ultimi 15 anni e di essere tra i primi 50 contribuenti del Paese. Abbiamo oltre 19.000 dipendenti diretti in Italia”. 

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