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Recupero accise: indicare la targa del veicolo in fattura è obbligatorio

In mancanza di targa del veicolo riportata sulla fattura dell’impianto di distribuzione, il trasportatore non potrà beneficiare – secondo la Corte di Cassazione – del credito derivante dalla riduzione degli oneri

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Parliamo oggi di un tema sempre molto spinoso, ovvero il recupero delle accise. La domanda è se sia possibile questa operazione in mancanza di un requisito espressamente previsto dal legislatore, nel caso in questione la targa del veicolo. Orbene, la V sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito (sentenza n. 5994 del 28 febbraio 2023) che la mancata indicazione della targa del mezzo rifornito con il gasolio nella fattura emessa dal gestore dell’impianto di distribuzione, impedisce al trasportatore di ottenere il recupero delle accise sul predetto carburante.

IL FATTO

La vicenda prende il via dal ricorso di un’azienda di trasporto contro un avviso di pagamento, con relativo atto di contestazione, dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. L’impresa aveva infatti emesso l’autodichiarazione necessaria a recuperare le accise sul gasolio acquistato per autotrazione nel 2012, ma nelle fatture, prodotte a corredo della stessa, non era stato indicato il numero della targa dei veicoli riforniti, come prescritto dall’art. 3, comma 3, del d.P.R. n. 277 del 2000 (Disciplina all’agevolazione fiscale a favore degli esercenti le attività di trasporto merci). Da qui la sanzione dell’Agenzia e il ricorso della società alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Salerno che dava ragione al ricorrente. Secondo la CTP, la documentazione prodotta (dichiarazione resa dalla stazione di servizio, che attestava la targa del veicolo sul quale vi era stato il rifornimento) era considerata integrativa delle fatture richiamate per il riconoscimento del credito di imposta e comunque sufficiente a dimostrare l’effettiva erogazione di gasolio ai veicoli aziendali.
L’Agenzia delle Entrate però ricorreva a sua volta in Cassazione con due motivazioni. La prima basata sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.P.R. n. 277/2000: per ottenere il credito ex art. 1 del d.P.R. è imprescindibile dichiarare anche la targa del veicolo rifornito e non valgono nulla le dichiarazioni postume di terzi, prodotte in giudizio. La seconda che denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. Proc. Civ: la Commissione non avrebbe cioè considerato che nel rito tributario la dichiarazione di terzi rappresenta un mero indizio, non sufficiente a integrare la prova del fatto dichiarato.

LA DECISIONE

Ebbene, la Corte di Cassazione ha giudicato entrambi questi motivi fondati. Esaminando l’art. 3 – dice la Corte – l’indicazione in fattura della targa dell’automezzo rifornito ai fini della fruizione del beneficio della riduzione dell’imposta «non prevede espressamente la decadenza in caso di mancanza di tale indicazione, ma pone pur sempre uno specifico requisito formale». E per chi intende avvalersi del beneficio fiscale questo requisito non è facoltativo, come spiega la norma: «Nella dichiarazione sono riportati i seguenti ulteriori elementi: il numero di autoveicoli … in ordine ai quali compete il beneficio e, con riferimento ai dati delle fatture di acquisto contenenti anche gli estremi della targa dell’autoveicolo rifornito, il numero totale dei litri di gasolio consumati per i quali si richiede il rimborso, nonché l’importo dello stesso espresso in lire italiane e in euro». Se in fattura la targa manca, quindi, l’Ufficio può «disconoscerne il relativo importo ai fini della fruizione del beneficio». Un principio già ribadito da precedenti sentenze della Corte Suprema (n. 18361 del 9.7.2019 e n.18575 del 30.6.2021).
In altre parole, il legislatore non vuole consentire al contribuente che non abbia osservato tutte le prescrizioni imposte di godere dei benefici previsti dalla legge in relazione al carburante acquistato, quando «manca la certezza sull’identità del veicolo effettivamente rifornito e, dunque, l’effettiva riferibilità del costo all’attività d’impresa». Questo a prescindere dalla contabilizzazione dell’operazione nelle scritture contabili, in quanto l’adempimento imposto dalla norma, proprio perché di carattere eccezionale, non ammette equipollenti (altra sentenza della Cassazione: n. 7072 del 12.03.2020). E poiché si tratta di un beneficio agevolativo, l’onere della prova dei fatti costitutivi del relativo diritto spetta al soggetto contribuente che tale diritto vanta o fa valere in giudizio, con l’unico ed esclusivo mezzo di prova costituito dalla fattura di acquisto del carburante, completa di tutti i dati necessari per identificare il veicolo, tra cui gli estremi della targa.
E la dichiarazione sostitutiva resa dalla stazione di servizio? Per il giudice purtroppo non vale nulla. Oltre a non essere specificatamente contemplata dalla norma agevolatrice, avrebbe in ogni caso un valore indiziario limitato: nel processo tributario, infatti, le dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale non costituiscono prove della verità del loro contenuto, bensì semplicemente indizi, che sono valutabili in relazione agli altri elementi acquisiti, ma non possono costituire da sole il fondamento della decisione. La CTP ha dunque sbagliato a ritenere che le comunicazioni redatte dal gestore del distributore fossero equivalenti all’indicazione in fattura delle targhe dei veicoli riforniti.

LE CONSEGUENZE

Da queste argomentazioni se ne deduce che la mancata indicazione della targa del mezzo rifornito impedisce il recupero delle accise. È un difetto che non può essere sanato in un momento successivo all’emissione della fattura, né tramite una dichiarazione sostitutiva emessa dalla stazione di servizio dove è stato effettuato il rifornimento, né tantomeno dalla contabilizzazione dell’operazione nelle scritture contabili dell’impresa di autotrasporto. Inoltre, va ricordato che la targa del veicolo rifornito va riportata anche nella fattura elettronica emessa dal gestore dell’impianto di rifornimento stradale, come ha chiarito l’Agenzia delle Dogane nella nota n. 64837/RU del 7 giugno 2018.
Il ricorso è stato quindi accolto e la sentenza della CTP cassata, con l’azienda di trasporto condannata anche alla rifusione delle spese sostenute dalla controparte per il giudizio di legittimità.

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