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Carburanti, nuova stangata: le ragioni dietro l’aumento dei prezzi

L'embargo al petrolio russo, le raffinerie in affanno, l'allentamento delle misure di lockdown in Cina e le fluttuazioni fuori controllo del Brent sono alla base dei nuovi rincari, ma pesano anche le speculazioni

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Da quando è scoppiata la guerra tra Russia e Ucraina, a fine febbraio, il prezzo dei carburanti ha raggiunto picchi da record. Nei mesi successivi è seguito un periodo di assestamento, agevolato anche dal taglio delle accise, ma adesso la situazione è tornata a essere particolarmente critica. Secondo le ultime rilevazioni settimanali del Mise, aggiornate al 6 giugno, i prezzi dei carburanti sono tornati a salire, con la benzina che in modalità self ha raggiunto 1.940,54, circa 5 centesimi in più (+2,92%) rispetto alla settimana precedente. In netto rialzo anche il gasolio che, sempre al self, si attesta a 1.851,52 euro al litro, di oltre 3 centesimi (+2,14%).

Le cause del nuovo «rally» impazzito dei prezzi sono diverse. A pesare è in primis il fatto che le scorte di prodotti petroliferi raffinati sono scese a livelli estremamente bassi. Lo stop al petrolio russo contenuto nel sesto round di sanzioni occidentali contro Mosca, infatti, sta mettendo a dura prova la capacità delle raffinerie di tenere il passo con l’aumento della domanda di benzina e diesel utilizzati nella produzione e nel trasporto merci. Emblematico in questo senso è il caso della Lukoil di Siracusa. La raffineria siciliana rischia seriamente lo stop, perché lavora solo il greggio che viene approvvigionato via nave dalla Russia. E considerato l’embargo al petrolio di Putin, il rischio che tutto il polo petrolchimico si fermi è molto alto. Ricordiamo che la Lukoil da sola vale il 26% della raffinazione nazionale. Molti esperti parlano non a caso di «effetto boomerang» delle sanzioni contro Mosca.

Naturalmente, anche le quotazioni del greggio rappresentano un fattore chiave alla base dell’impennata dei prezzi. Dopo l’altalena delle settimane scorse, il prezzo del petrolio Brent ha ripreso a correre, arrivando a toccare quota 120 dollari al barile (dato aggiornato al 7 giugno).

Molti analisti ritengono in particolare che sia stata soprattutto l’allentamento delle misure lockdown in Cina, importatore di petrolio numero uno al mondo, a contribuire a spingere al rialzo i prezzi del greggio. Fattore che, di fatto, ha «drogato» il mercato globale aumentando la corsa speculativa. Non a caso l’Arabia Saudita, primo esportatore di petrolio al mondo, ha aumentato i prezzi del greggio di luglio nei confronti degli acquirenti asiatici proprio per le aspettative di una forte domanda estiva.

In questo scenario, guardando in casa nostra, è molto probabile che il governo intervenga ancora sulle accise per calmierare i prezzi medi dei carburanti. Ad affermarlo, nei giorni scorsi, è stata tra l’altro la stessa sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra, che a Rainews 24 ha dichiarato che il governo sta appunto valutando di intervenire nuovamente sulle accise. «Banalmente l’aumento dei prezzi – ha affermato – fa anche aumentare il gettito dell’Iva, che non vogliamo mettere nelle casse dello Stato, ma lo utilizziamo per abbassare le accise e tenere calmierato il prezzo».

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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