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È stata la mano del camionista

«È stata la mano di Dio» e «Persone di prima necessità» sono due opere uscite, con sorprendente casualità, in concomitanza temporale. La prima, cinematografica, è dedicata a Maradona; la seconda, editoriale e fotografica, all’autotrasporto durante la pandemia. Un parallelismo, forse impossibile, le tiene insieme sotto l’egida di una narrazione che rievoca miti, eroi e martiri. Ma che, allo stesso tempo, intende anche andare oltre la stessa dimensione del mito, stigmatizzandolo

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È stata la mano di Dio, il nuovo film di Paolo Sorrentino, è senza dubbio una delle pellicole più acclamate e discusse del momento. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2021 ed uscito a metà novembre nelle sale (e da qualche giorno anche su Netflix), il film, che è stato scelto dall’Italia per concorrere agli Oscar 2022, racconta un episodio tragico realmente vissuto dal regista partenopeo (già premio Oscar 2013 per La Grande Bellezza). Una sorta di autobiografia personale e introspettiva dove Sorrentino descrive come la sua infanzia nella Napoli degli anni ‘80 sia stata completamente sconvolta da un trauma improvviso (non spoileriamo oltre) e di come la figura di un «celebre calciatore» che in quegli anni giocava nel Napoli gli abbia salvato la vita.

Il celebre calciatore è ovviamente Diego Armando Maradona e il titolo del film fa riferimento proprio ad una frase cult pronunciata dal talento argentino durante i mondiali di calcio del 1986 in Messico. Nella partita Argentina-Inghilterra, valevole per le semifinali, «el pibe de oro» segnò con la mano, portando la propria squadra in vantaggio. A chi gli contestò il gol, disse: «È stata la mano di Dio». Una frase che il regista inserisce simbolicamente nel film per raccontare che Maradona non solo salvò (e portò in trionfo) una nazionale di calcio, ma in qualche modo finì per salvare anche la vita stessa del regista.

Il lettore ci perdonerà questo preambolo che sconfina nei meandri della cinematografia, per noi che nel quotidiano siamo abituati a parlare di pane e trasporti, ma a nostro parere il film di Sorrentino rappresenta il perfetto viatico per raccontarvi di un’altra storia parallela, o meglio, di un’altra mano di Dio. Una mano meno famosa di Maradona, ma ugualmente decisiva nel salvare una nazione: quella del… camionista.

Primo tempo

Coincidenza vuole che nelle settimane in cui è arrivato in sala il film di Sorrentino, sia uscito anche il nostro libro fotografico «Persone di prima necessità. Quando la pandemia rese bello il camionista», un progetto editoriale di Uomini e Trasporti – Federservice, in collaborazione con l’agenzia di comunicazione Jam e la Tempesta e il fotografo Alfonso Santolero, che racconta come l’immagine del camionista sia cambiata con l’avvento della pandemia: da persona poco rispettata a icona mitica che garantisce l’approvvigionamento dei generi di prima necessità all’interno delle nostre case.

Il tempismo di uscita ma soprattutto un parallelismo sottilissimo tra due storie completamente diverse – tanto da sembrare, di primo acchito, un po’ forzato – ci è sembrato invece ai nostri occhi di grande impatto. A cominciare dalla frase con cui inizia il film, che è una citazione proprio di Diego Armando Maradona: «Ho fatto quello che ho potuto, non credo di essere andato così male». Una frase di estrema consapevolezza di sé, pronunciata con sguardo fiero e mento rialzato, che lascia trasparire tutto l’orgoglio e la dignità di un uomo abbandonato al suo destino, travolto dal successo ma anche dal peso di una responsabilità difficile da sopportare per chi è fuori dal comune.

Con le dovute proporzioni, ovviamente, se un camionista fosse il protagonista di un film sull’autotrasporto al tempo della pandemia, questa citazione non gli starebbe mica poi così male… Usando un po’ di immaginazione, basterebbe sostituire gli attrezzi del mestiere (un pallone con un camion), il tipo di spettacolo (il calcio con il trasporto) e le battaglie di ogni giorno (il campo con la strada), ma l’attore protagonista resterebbe sempre unico.

Ma tiriamo un respiro.

Secondo tempo

Maradona è sempre stato per Sorrentino un nume tutelare, un’icona, un viatico di salvezza per Napoli. Di lui il regista ha detto: «Maradona è apparso in città da una ‘grotta nera’, il tunnel dello Stadio San Paolo. È morto, risorto, diventato martire. Le sue analogie con le figure mistiche mi appassionano molto» (citiamo da ComingSoon).

Per traslazione, anche il camionista è a suo modo stato una figura protettrice, un’ancora di salvezza a cui un intero Paese si è aggrappato per continuare a sognare. Perché tutti sono stati costretti a chiudersi in casa nei periodi più confusi e bui della pandemia, quelli dei vari lockdown. Ma non i camionisti, obbligati a trasportare beni di prima necessità proprio per far sopravvivere chi è asserragliato. Un sacrificio che però è servito ad accendere un faro, perché chiunque – dal presidente del Consiglio fino al Papa – d’un tratto ha cominciato a rendersi conto allora di quanto siano utili, anzi sacri, i camionisti.  

Come Maradona, sono apparsi in città da una grotta oscura, il tunnel di un’autostrada deserta. E agli occhi dell’opinione pubblica sono diventati degli eroi nonostante le criticità (pensiamo soltanto ai servizi igienici negati nei vari autogrill), facendo leva sulla capacità persistente di rialzare sempre la testa, di reagire alla crisi, di far valere il loro spirito di abnegazione, la loro indole di combattenti.

Ma tiriamo un secondo respiro. Perché la partita non è ancora finita.

Supplementari

«Persone di prima necessità», e qui veniamo al nostro libro, non è infatti solo un’opera che documenta gli sforzi e i sacrifici che i tanti trasportatori hanno dovuto affrontare nel confronto con il virus. Ma è anche un racconto che vuole restituire un’idea ben precisa di cosa significa essere autotrasportatore: quella di ricordare che i camionisti, in realtà, utili e sacri lo sono sempre stati, anche quando il mondo era normale, perché ogni giorno, da sempre, muovono le cose per farle giungere in un dato luogo quando e come serve.

Chiamarli eroi, martiri o con qualsiasi altro termine che richiama la dimensione del mito, solo quando conviene, è ingiusto. I problemi che gli autotrasportatori hanno dovuto affrontare negli ultimi tempi, in realtà ce li hanno sempre avuti. La pandemia li ha solo accentuati e resi più «spettacolari», portandoli come mai prima d’ora all’attenzione dell’opinione pubblica.   

Rigori

Infine, è anche un’opera che invita a riflettere sulla retorica, peraltro abbondante, dell’autotrasporto che ha bisogno di ripartire. Se ripartire significa «riaccendere i motori», forse la risposta è: «no». Per la semplice ragione che è un settore che non si è fermato mai del tutto in quanto obbligato a lavorare per garantire ai più di disporre di alimenti e farmaci. In realtà, non soltanto una fetta importante della domanda di trasporto merci si è bloccata durante la pandemia, ma anche il modo con cui l’autotrasporto ha lavorato nel momento più difficile va riaggiornato.

Vanno ricalibrate, cioè, le sue modalità operative, le sue gratificazioni (economiche e non solo), la sua considerazione sociale (dopo l’emergenza i camionisti saranno ancora eroi o torneranno fantasmi?). La pandemia ha acceso insomma un faro sul settore, immortalandolo in un frangente. Quando tutto apparirà di nuovo come normale andrà rialimentata quella luce, affinché la grande (e utile) bellezza dell’autotrasporto resti indelebile ad imperitura memoria. Come la mano di Dio di Maradona.

Persone di prima necessità può essere acquistato in singola copia al prezzo di 24 euro (incluse le spese di spedizioni postali, oppure aggiungendo 6 euro per chi preferisce il servizio di corriere espresso) sul sito della rivista Uomini e Trasporti (pagina abbonamenti https://abbonati.uominietrasporti.it/abbonamentioppure inviando una mail a: redazione@uominietrasporti.it.

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