Veicoli - logistica - professione

HomeProfessioneInchiestaLa triste scoperta: un quarto dello stipendio non produce pensione

La triste scoperta: un quarto dello stipendio non produce pensione

Quando si è giovani si lavora e, in particolare in anni di carenza di autisti, si arriva a percepire una retribuzione significativa. Attenzione, però, perché una fetta importante, pari a circa il 20-30%, deriva da indennità, in particolare di trasferta. Che pesano tanto perché non sono tassate, ma d’altro canto non vengono calcolate ai fini contributivi. Quindi, chi percepisce 2.800 euro nette si può trovare con una pensione che non arriva a 2.000

-

Si aggira intorno al 25% la parte di stipendio nelle buste paga degli autisti che non rientra nell’imponibile Inps, ovvero la fetta di retribuzione sulla quale si conteggiano i contributi che andranno a formare, in un sistema sempre più proteso verso il computo contributivo, il calcolo per la determinazione dell’assegno pensionistico.

Si tratta di un meccanismo diffuso anche in altri settori che però nell’autotrasporto, e in particolare per gli autisti, diventa particolarmente importante per la grande quantità di indennità, come per esempio quelle di trasferta, che compongono la parte variabile dello stipendio e che incidono in maniera sostanziale, innalzando il netto in busta. Con il paradosso che stipendi alti producono assegni pensionistici sotti li.

Cominciamo col dire subito che per gli autotrasportatori non è previsto un regime ad hoc per andare in pensione. «Per il settore – precisa Gabriella Mella, esperta dell’Inca Cgil nazionale – valgono le regole pensionistiche nazionali con uscite per anzianità a 67 anni e possibilità di anticipare con l’Ape Sociale, ma riducendo l’assegno pensionistico. Analizzando le buste paga di due ipotetici autisti abbiamo visto che un lavoratore di 31 anni con due di anzianità di servizio si porta a casa a fine mese 2.517 euro. La sua busta paga ha un totale imponibile di 2.843,61 euro che parte da una retribuzione base di 1.969,57 euro. La differenza tra queste due cifre sono le indennità che valgono 874,04 euro, di cui 702,61 euro non sono imponibili ai fini pensionistici in quanto l’imponibile Inps è di 2.141 euro.

Detto altrimenti, circa il 25% dello stipendio non conta ai fini contributivi. Un po’ meglio la situazione di un collega di 60 anni con quasi 10 di anzianità aziendale con un netto in busta paga di 2.448 euro che parte da una retribuzione base di 2.068,73 euro, perché in questo caso trasferte e indennità sono inferiori (735 euro di cui 592 euro non imponibili ai fini pensionistici) e rappresentano circa il 21% dello stipendio che non produrrà contributi pensionistici. Le indennità di trasferta, ritoccate all’insù dall’ultimo contratto collettivo di lavoro rinnovato lo scorso dicembre, rispettano la soglia di esenzione fiscale e contributiva giornaliera prevista.

«Questo vuol dire – spiega Deborah Primavera, consulente del lavoro di Cna Pesaro – che l’importo erogato al lavoratore in busta non viene assoggettato ad alcuna imposizione fiscale e contributiva. Il lavoratore percepisce una somma netta senza alcuna trattenuta con un vantaggio economico evidente, ma tale somma non sarà computata ai fini previdenziali e quindi pensionistici».

Questo vale per quasi tutte le somme che non superano i 46,48 euro previsti dal TUIR, perché oltre tale soglia anche le indennità concorrono alla formazione dell’imponibile Inps. «Ipotizzando 22 giorni lavorativi – continua Primavera – in un mese con erogazione di indennità di trasferta di 43,16 euro giornaliere, il lavoratore percepisce alla fine del mese 949,52 euro che vanno a incrementare il suo netto. Ma questa somma non ha riflessi sulla maturazione del Tfr né sull’imponibile previdenziale su cui si calcolano i contributi e, di conseguenza, sul montante contributivo di una carriera lavorativa».

close-link