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Incidente A21 con tre morti: il tribunale assolve il datore di lavoro

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Non c’è un colpevole per l’incidente sulla A21 che, tre anni e mezzo fa, causò la morte di Alfredo Fioravanti, autotrasportatore cinquantenne di Avenza (Massa Carrara), e di due maestre di Leno, Michela D’Annunzio e Maria Grazia Tomasini, 36 e 42 anni rispettivamente, la cui Renault Clio venne investita dal camion rimasto senza controllo.

Come da noi riportato, l’accusa aveva chiesto la condanna a 6 anni per il datore di lavoro di Fioravanti, Federico Bologna, legale rappresentante della Sts srl (Società di trasporti e logistica) di Sarzana, accusato di aver violato le norme sui tempi di riposo e di guida. Ma ieri il tribunale di Cremona ha assolto l’imputato dall’accusa di omicidio colposo plurimo «perché il fatto non sussiste», così come è stata assolta la società, imputata «di non aver predisposto modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi» e per la quali il PM aveva chiesto la condanna a 450 quote da mille euro l’una.

Il Tribunale ha giudicato che mancasse la prova che l’incidente fosse stato causato da una distrazione o da un colpo di sonno dovuto alle troppe ore passate sul camion, come riteneva la Procura. E nemmeno il malore può trovare conferma, visto che l’autopsia venne effettuata ben tredici giorni dopo.

Ricordiamo che Fioravanti guidava quasi ininterrottamente da tre giorni con il cronotachigrafo del camion manomesso quando il 22 luglio del 2015 si accorse in ritardo di una coda causata da un cantiere sull’A21, in direzione Brescia. Il veicolo con rimorchio a cisterna che trasportava carbonato di sodio tamponò l’auto sulla quale viaggiavano le maestre di Leno e la vettura finì contro un altro camion che trasportava latte. In pochissimo tempo divampò un rogo che provocò la morte sia di Fioravanti che delle due donne.

La motivazione della sentenza sarà depositata tra novanta giorni.

Sconcerto e dolore tra i familiari del conducente: “Mio marito a casa si lamentava, perché faceva tante ore di lavoro, più del dovuto – ha raccontato la vedova di Fioravanti – In casa non c’era mai e capitava che facesse anche due viaggi in un giorno solo”. Le indagini condotte dalla Polizia stradale accertarono che il 20 luglio il camionista non aveva effettuato il riposo giornaliero, il 21 luglio aveva guidato per 18 ore e il 22 luglio era alla guida da dieci ore prima di causare l’incidente. “Papà si lamentava, era stanco, immagino in relazione alle ore che faceva – ha commentato incredulo uno dei figli, Nicolò – Non aveva orari fissi. O si alzava all’una di notte o alle quattro del mattino”.

“Il problema con la sentenza è stato quello della difficoltà di trovare una connessione tra la perdita di controllo del mezzo e il mancato rispetto dei tempi di guida da parte del conducente – ha commentato il comandante della Polizia stradale, Federica Deledda — Noi continuiamo a lavorare sul fronte della prevenzione e del controllo per tutelare le aziende che lavorano con correttezza e tutti gli utenti che condividono la strada con i veicoli commerciali. Che l’azienda lavorasse così e che anche il dipendente operasse in queste condizioni è un fatto incontrovertibile. Che poi non abbia retto in giudizio, è un altro conto”. Alla fine però resta la realtà di tre morti per strada ed una sentenza di assoluzione che suona come una beffa.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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