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Pierre Sirolli, AD di Renault Trucks Italia. A lezione di elettrico

Il costruttore francese è partito spedito sui veicoli elettrici, lavorando molto sulla formazione delle persone. A Rimini, all’amministratore delegato della filiale italiana, abbiamo chiesto di scioglierci tanti dubbi comuni a diversi autotrasportatori per comprendere i possibili vantaggi competitivi derivanti dall’intraprendere per tempo la transizione energetica

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Corre lungo un doppio binario la vicenda di Renault Trucks in Italia: il primo parla di identità riconquistata, espressa dal ritorno in una sede autonoma a Pero (Mi), in cui si trova un centro nazionale usato, la concessionaria per Milano, un Training center nazionale. Identità che ha anche potere attrattivo, visto che – sottolinea con soddisfazione l’amministratore delegato Pierre Sirolli – «ho assunto molte persone provenienti da altri marchi e visto che tanti privati sono entrati come dealer nella nostra rete commerciale. Penso a Finazzi, che da dicembre 2022 copre le province di Verona, Brescia e Mantova, o a Cavi Diesel, storica concessionaria di Brixia Finanziaria che da fine anno diventerà operativa a Bolzano e Trento».

Il secondo binario dà la scossa, nel senso che il marchio della Losanga ha investito molto in ricerca e sviluppo per disporre della tecnologia elettrica e per formare persone in grado di svolgere una funzione consulenziale rispetto alla transizione in atto. Ecco perché abbiamo approfittato di Ecomondo – fiera dell’ecologia in cui Renault Trucks era presente con un proprio stand – per sfruttare tale bagaglio di conoscenze per sciogliere, con l’aiuto di Sirolli, una serie di dubbi comuni a tanti autotrasportatori.

Mettiamoci nei panni di un’azienda di autotrasporto che oggi, davanti alla prospettiva di dover cambiare dei veicoli, è assalita da incertezze. Se dovesse darle un consiglio, quale alimentazione le consiglierebbe?

Dipende da come deve usare i veicoli. Se la sua missione riguarda l’edilizia o la distribuzione urbana o, a maggior ragione, la raccolta di rifiuti, noi spingiamo sull’elettrico. Anche se in Italia non ci sono particolari incentivi e anche se l’attuale prezzo dell’energia elettrica è più alto rispetto alla media europea. Posso aggiungere che il nostro trattore pesante elettrico arriverà nel 2023 e avrà un’autonomia di 3-400 km. Quindi va bene per trasporto regionale o per chi fa navette tra città. Per chi fa lungo raggio è meglio, al momento attuale, puntare su veicoli tradizionali.

Il consiglio sull’elettrico, quindi, prescinde dai costi?

In realtà, se si spalma il TCO di un veicolo elettrico su 8-9 anni ci si rende conto che è molto vicino a quello di uno a gasolio. La differenza, senza tener conto degli incentivi, è del 10-15% in più, grazie al fatto che i costi di manutenzione si riducono di almeno il 30%.

Mi spiega perché dovrei spendere oggi tre volte di più per acquistare un veicolo che domani mattina, vista la velocità con cui la tecnologia evolve, diventerà obsoleto?

Tra i veicoli portati da Renault Trucks a Ecomondo, oltre a due Master E-Tech full electric, di cui uno allestito con mini compattatore, figuravano due D-Wide. Il primo scarrabile, il secondo, ritratto in questa foto, era equipaggiato con cabina ribassata.

Per tre ragioni. Innanzi tutto, perché la diffusione crescente, in Europa e in Italia, di zone Low Emission, presto impedirà di circolare nei centri di tante città, se non con veicoli a zero emissioni. Quindi, se oggi acquistassi un veicolo che non è tale, domani si risolverebbe in un investimento inutile, perché non mi consentirebbe di lavorare in quei contesti urbani. Poi, perché già oggi la banca a cui chiedo un finanziamento o la pubblica amministrazione che giudica i requisiti di assegnazione di una gara, valuta sempre di più se la mia attività è connotabile come «green». E se non lo è ci sono risvolti negativi, come vedere ristretta la capacità di accedere al credito. Infine, perché, essendo in corso una transizione, chi non la intraprende oggi corre il rischio che domani farà fatica a seguire il ritmo di altri concorrenti che si sono mossi prima. E il tempo serve soprattutto per educare le persone, che devono modificare molte logiche operative attuali.

Mi fa un esempio pratico di come cambierà tale logica?

Consideri il giro logistico da percorrere con il camion. Oggi nessuno si pone il problema di scegliere un percorso. Domani, con un veicolo elettrico, se costruisco il giro facendolo iniziare con salite e terminare con discese avrò un’autonomia maggiore del 10%.

Un’azienda di autotrasporto, in genere, non ha grande capitalizzazione e in tal senso un ruolo importante lo gioca il valore residuo dei suoi camion. Per un veicolo elettrico come lo si valuta?

Glielo forniamo noi. Nel senso che ci impegniamo a ricomprare il camion tramite buy back. E lo facciamo con una strategia chiara. In pratica, puntiamo, in base alla missione del cliente, a usare al massimo la batteria, individuando un limite all’energia erogata. Quindi, se per esempio rispetto a un veicolo con quattro pacchi batterie si indica come limite quello di 300 MWh, sulla base di tale limite si quantifica il contratto di manutenzione e il valore residuo, in modo da sfruttare al massimo le capacità del veicolo e riuscire ad abbassare il TCO. Perché sia chiaro: il veicolo elettrico più chilometri fa e meglio è, in quanto l’investimento è più elevato rispetto al diesel, ma i costi operativi sono più bassi. Ecco perché il trasportatore che comprende tale concetto riesce, con l’aiuto dei sistemi di ricarica, a fare un giro la mattina, a ricaricare in pausa pranzo e poi a fare un altro giro nel pomeriggio, così da percorrere 4-500 km al giorno e rendere competitivo il proprio TCO. A maggior ragione spalmandolo per gli 8-9 anni di buy back. Ciò che serve è organizzarsi. Per il resto non ci sono problemi, perché in questo lasso di tempo il trasportatore avrà una rata fissa e non correrà rischi. Chi già usa veicoli elettrici lo conferma. L’azienda Mancinelli, in Abruzzo, ha scritto autonomamente sui social che, trascorso un anno dall’acquisto del suo camion elettrico, ha percorso tanti chilometri senza inconvenienti né fermi macchina, ma risparmiando molta CO2.

Qui c’è anche un po’ di marketing.

Certo. Ma funziona perché ai vantaggi dell’elettrico sono sensibili tanti clienti dei nostri clienti, in quanto riescono a quantificare il vantaggio di disporre di una catena logistica decarbonizzata e sono anche disponibili a investirci.

Tante missioni di trasporto sono ossessionate dalla riduzione della tara, cosa sulla carta quasi impossibile con un veicolo elettrico. Come si ovvia al problema?

Con i bonus concessi dalle normative. Su un D16, per esempio, abbiamo una tolleranza di 800 kg. Su un D26 di una tonnellata. Poi è vero che una batteria pesa circa 500 kg e quattro pacchi arrivano a due tonnellate e quindi ho tolleranza soltanto su una. Però è anche vero che andando ad analizzare l’uso dei veicoli, ci si rende conto che quasi mai viaggiano al 100% della capacità. Quindi, diventa un falso problema.

Ha fatto riferimento a ricariche effettuate nel deposito aziendale. Non servono anche colonnine di ricariche pubbliche?

In Italia, rispetto a paesi come Germania, Francia e Spagna, non ce ne sono. D’altra parte, la scelta di puntare sul gas, effettuata circa vent’anni fa, ha fatto accumulare ritardi sull’elettrico. È per questo che, come Renault Trucks Italia, abbiamo stretto una partnership con Enel X. In ogni caso, almeno per le missioni urbane, non serve infrastruttura pubblica, perché di solito il veicolo torna in deposito alla sera e a quel punto ci sono 8 -12 ore per ricaricarlo anche con colonnine non superpotenti. Il problema si pone per il trattore stradale che a fine giornata non torna in azienda. Pensando a tali esigenze Renault Trucks, insieme a Volvo, Mercedes, MAN e Scania, ha creato una joint venture europea, finanziata con 500 milioni di euro, per realizzare infrastrutture pubbliche.

È concepibile che nel business di una casa costruttrice entri il servizio di vendita di energia?

Quando vendiamo un veicolo elettrico, stipuliamo necessariamente un contratto di manutenzione, perché nessuno si prende il rischio di manutenere un veicolo elettrico nella propria officina. E quasi sempre installiamo una colonnina privata, perché non se ne può fare praticamente a meno. Qualcuno già oggi comincia a chiederci una fornitura di energia. Quindi, ci stiamo arrivando.

Tutti concordano sul fatto che l’elettrico a batteria (BEV) sia la soluzione ottimale in ambito urbano. Sul lungo raggio, invece, ci sono opinioni diverse. Molti, propendono per la fuel cell, altri puntano anche qui sul BEV. La vostra posizione qual è?

Per noi la quota maggioritaria del mercato della distribuzione, superiore al 60-70%, sarà coperta da veicoli BEV, perché la loro autonomia è già oggi sufficiente visti i chilometraggi medi percorsi dai veicoli. E domani, con le potenzialità evolutive della tecnologia delle batterie, lo sarà ancora di più. Per il lungo raggio ci possono essere due strade: o si conserva il motore a combustione interna rimpiazzando il gasolio con l’idrogeno – strada che sondiamo con diversi dubbi – oppure si ricorre alla tecnologia della fuel cell, da interpretare come un modo di usare l’idrogeno per stoccare energia elettrica e arrivare a percorrere 800-1.000 km. La stiamo testando e contiamo di commercializzarla prima del 2030.

Quali vantaggi competitivi potrà dare l’aver accumulato esperienza nell’elettrico?

Nel segmento sopra le 16 ton abbiamo una quota del 50%, ma è un mercato piccolissimo. Quando crescerà sono convinto che, anche in Italia, contribuirà a incrementare la nostra penetrazione oltre l’attuale 10% circa. E ci aiuterà proprio il fatto di essere in anticipo, di conoscere la tecnologia, di disporre di esperienza e di saper fornire risposte ai clienti.

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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