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La crisi della logistica e dei trasporti. Un percorso necessario di ridisegno

La logistica italiana, settore strategico e in crescita, è oggi attraversata da una crisi strutturale aggravata dalle nuove tensioni globali. Ritardi, squilibri contrattuali e mancanza di regolazione mettono a rischio competitività ed export. Serve una riforma profonda, con una visione industriale e sostenibile. Su questi temi interviene Pietro Spirito, docente di Management delle infrastrutture all’Universitas Mercatorum, nel dibattito avviato dall’articolo di Massimo Marciani pubblicato sabato scorso dalla nostra testata

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Il settore della logistica in Italia rappresenta oggi circa l’8,9% del PIL, in crescita rispetto al 7,2% registrato nel 2019. Già da solo rappresenta una parte rilevante della economia nazionale. Ma il suo peso è molto più strategico se ne consideriamo le interconnessioni con il tessuto industriale, soprattutto per la fase che dovremo affrontare.

È da queste considerazioni, sulla scia dell’articolo di Massimo Marciani pubblicato sabato scorso su Uomini e Trasporti, che prendo spunto per offrire alcune riflessioni di merito e di prospettiva.

La congiuntura dei dazi

Vivremo nei prossimi mesi il nuovo mondo dei dazi: si è definitivamente chiusa la stagione della globalizzazione e della integrazione commerciale. Per il trasporto e per la logistica si presenteranno difficoltà maggiori a seguito della probabile riduzione dei volumi in export. Con un settore dei trasporti e della logistica dotato di maggiore capacità competitiva avremmo certamente sopportato conseguenze meno impattanti.

Invece ci ritroviamo con un comparto asfittico, che rischia di essere reso ulteriormente meno competitivo dalla riconfigurazione del commercio internazionale. Oggi i ritardi logistici costano all’Italia quasi 93 miliardi di euro di export: 9 mld solo nell’agroalimentare (10% del totale perdite), 11 mld nei metalli, 16,8 mld nella chimica, 23,1 mld nel settore macchine/meccanico.

La crisi strutturare del settore

Ancora prima dell’effetto dei dazi, eravamo in presenza di un settore strategico sotto pressione, tra disequilibri contrattuali, crisi di sostenibilità e la necessità di una riforma di sistema. Negli ultimi anni, il settore della logistica e dei trasporti è stato attraversato da una crisi strutturale che va ben oltre le difficoltà contingenti legate alla pandemia, alla guerra in Ucraina o alle tensioni geopolitiche nei canali strategici del commercio globale.

Alla base vi è una trasformazione profonda nei rapporti tra gli operatori logistici e la committenza industriale, una concentrazione sempre più spinta dei grandi player, e l’assenza di un quadro regolatorio efficace capace di garantire equilibrio, sostenibilità e qualità del servizio.

I rapporti con la committenza: subalternità e marginalizzazione

Uno dei principali nodi critici risiede nella relazione tra operatori logistici (in particolare nel trasporto su gomma) e committenza industriale. Negli ultimi due decenni si è assistito a una progressiva compressione dei margini per i trasportatori, con contratti sempre più sbilanciati in favore dei committenti, che impongono tariffe al ribasso, condizioni contrattuali unilaterali e tempi di pagamento dilatati. Questa situazione ha determinato una svalutazione economica e sociale del lavoro logistico, che si traduce in precarizzazione, bassa redditività per le imprese di trasporto e mancanza di investimenti in innovazione.

I trasporti sono, assieme alla magazzinaggio, al secondo posto per infortuni mortali fra 2023: 109 casi registrati. La dinamica di «commoditizzazione» del trasporto, ridotto a mero costo da comprimere, ha avuto come conseguenza diretta la scomparsa di migliaia di piccole imprese, l’aumento della competizione interna al settore e un calo della qualità complessiva dei servizi. Parallelamente, si è assistito a una forte concentrazione del mercato, soprattutto a livello europeo e globale. Pochi grandi gruppi integrati, capaci di offrire servizi end-to-end (dal magazzinaggio alla distribuzione), hanno acquisito posizioni dominanti. I giganti della logistica dettano oggi le regole del gioco, potendo sfruttare economie di scala, potere contrattuale e tecnologie avanzate. Questo rafforza ulteriormente la subordinazione degli operatori medio-piccoli, che diventano subfornitori a basso valore aggiunto. ll numero di imprese attive nella logistica e autotrasporto è sceso a circa 82.000 nel 2023, con una perdita di oltre 30.000 imprese rispetto al 2009.

L’ingresso aggressivo di soggetti finanziari e fondi infrastrutturali nei nodi strategici (porti, interporti, piattaforme logistiche) sta spingendo verso una logica estrattiva, in cui prevale la massimizzazione del profitto nel breve termine, piuttosto che la costruzione di ecosistemi industriali resilienti e sostenibili.

Un ulteriore elemento critico è rappresentato dall’assenza di una regolazione efficace del settore, capace di correggere gli squilibri del mercato e di tutelare l’interesse pubblico. A differenza di quanto avviene in altri settori strategici, come l’energia o le telecomunicazioni, la logistica e il trasporto restano in gran parte affidati a dinamiche di mercato poco trasparenti, spesso segnate da asimmetrie informative e pratiche elusive. Le politiche pubbliche si sono concentrate su singole infrastrutture o incentivi a pioggia, senza una visione sistemica che tenga conto della filiera logistica nel suo complesso: dai corridoi intermodali alla distribuzione urbana, dalla digitalizzazione dei flussi alla sostenibilità ambientale.

I fattori determinanti per una riorganizzazione della logistica

Per superare questa crisi e costruire un sistema logistico più equilibrato, sostenibile e competitivo, serve un disegno strategico multilivello, fondato su alcuni assi fondamentali:

  1. Riequilibrare i rapporti nella filiera
  2. Introdurre una regolazione contrattuale obbligatoria nei rapporti tra committenza e trasportatori, fissando soglie minime di remunerazione e tempi certi di pagamento.
  3. Istituire un Osservatorio nazionale sulle condizioni economiche e sociali della logistica, per monitorare i margini, la qualità del lavoro e la sicurezza.
  4. Contrastare la concentrazione oligopolistica
  5. Promuovere consorzi territoriali e cooperative tra piccole imprese per rafforzarne il potere contrattuale.
  6. Garantire un accesso equo ai nodi infrastrutturali (porti, interporti, piattaforme digitali), anche per operatori indipendenti.
  7. Riformare la governance pubblica del settore mediante la creazione di una Autorità nazionale per la logistica, con poteri di regolazione, vigilanza e programmazione.
  8. Integrare la logistica nella pianificazione industriale nazionale, favorendo sinergie tra trasporto, manifattura e digitalizzazione.
  9. Investire nella transizione ecologica e digitale
  10. Finanziare progetti di intermodalità ferroviaria e marittima che riducano la dipendenza dal trasporto su gomma.
  11. Sostenere la digitalizzazione dei flussi e l’adozione di tecnologie per la tracciabilità, l’efficienza energetica e la sicurezza.
  12. Valorizzare il capitale umano e la formazione
  13. Lanciare un piano nazionale per la formazione logistica, rivolto sia a conducenti sia a operatori gestionali e digitali.
  14. Migliorare le condizioni di lavoro nei magazzini e nei trasporti, con un contratto nazionale più equo e sostenibile.

Conclusione

La crisi della logistica e dei trasporti non è solo una questione di costi o di efficienza: è una crisi di sistema, che chiama in causa le relazioni industriali, il ruolo dello Stato e la sostenibilità dell’intero modello produttivo.

Ripensare questa infrastruttura invisibile ma fondamentale significa gettare le basi per una nuova competitività industriale, più giusta e resiliente. Serve una politica industriale per la logistica. Ora. Proprio adesso, con la crisi dei dazi da affrontare, è ancora più urgente. Manifattura e logistica sono sempre più un sistema integrato che genera i livelli di competitività di una nazione.

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