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Sara Tripodi, presidente ETF: «All’autotrasporto serve una Samantha Cristoforetti»

Nel giugno del 2022 è stata riconfermata alla presidenza del Comitato donne della Federazione europea dei lavoratori dei Trasporti, incarico che ricopre già dal 2019 e che la vede impegnata a promuovere azioni di sostegno all’integrazione femminile nel settore. Lei è Sara Tripodi, dal 2016 segretario generale Monza e Brianza della FILT–CGIL e per incentivare la presenza femminile dice: «Servono esempi per le future generazioni di donne nel settore»

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Sara Tripodi, presidente ETF European Transport Workers’ Federation e segretario generale FILT Monza e Brianza.

Rendere il settore dei trasporti «più adatto» per le lavoratrici donne. È l’obiettivo del Comitato donne dell’ETF – European Transport Workers’ Federation che raduna rappresentanti di tutti i sindacati affiliati alla Federazione Internazionale. E a guidarlo dal 2019 è una presidente tutta italiana: Sara Tripodi, segretario generale FILT Monza e Brianza, riconfermata alla presidenza del Comitato lo scorso giugno. Il suo compito per i prossimi cinque anni sarà quello di favorire all’interno del settore condizioni di lavoro eque, accesso a strutture dignitose e sicurezza sul posto di lavoro. Sfida complessa che richiede azioni mirate che devono tenere conto del contesto generale: «Il Covid è sicuramente un elemento da prendere in considerazione quando si valutano le azioni da mettere in campo – spiega – perché ha stravolto le dinamiche non solo del settore, ma anche l’approccio che le donne, soprattutto giovani, hanno nei confronti del mondo del lavoro. Mentre prima la priorità era avere un lavoro a qualsiasi costo, oggi è stare bene con se stessi e avere buone condizioni di vita privata e lavorativa».

Come ha inciso la pandemia sugli obiettivi futuri del Comitato donne dell’ETF?

Ha accelerato alcuni processi, come l’automazione e la digitalizzazione, che hanno da un lato fatto sparire alcune figure professionali, dall’altro hanno garantito maggiori opportunità per le donne; pensiamo per esempio alle figure professionali legate all’eCommerce. Inoltre, una parte di lavoro che un tempo era solo fisico, oggi è molto più tecnologico. Il tema della digitalizzazione e dell’automazione dei processi è quindi una delle tre tematiche su cui abbiamo deciso di concentrare gli sforzi, insieme alla prosecuzione della campagna «Sì, più donne nei trasporti» che indaga le barriere all’ingresso delle donne nel settore e come rimuoverle e, infine, la lotta contro la violenza di genere nel settore.

Il sottotitolo della campagna «Sì, più donne nei trasporti» è «Rendere i trasporti adatti al lavoro delle donne». A che punto siamo in Europa?

Sono due le macro-questioni che portano alla scarsa attrattività del settore per le donne. In primo luogo, la mancanza di servizi adeguati. A tal proposito abbiamo deciso di aderire al “World Toilet Day” istituito dalle Nazioni Unite per sensibilizzare sulla necessità di servizi igienici sicuri, dignitosi e accessibili. Si tratta di un problema che incide su salute e sicurezza delle lavoratrici. La seconda questione è legata alla segregazione occupazionale, all’impossibilità per le donne di accedere a determinate posizioni lavorative, anche per via di meccanismi premiali a loro sfavorevoli. Non è tutto. Per entrare nel settore è richiesto un importante investimento iniziale per prendere patenti e CQC, che però non viene ripagato economicamente a livello di stipendi. In più si ha la responsabilità di guidare mezzi pesanti, con tutto ciò che questo comporta, in condizioni spesso non adeguate. In altre parole, se un lavoro non è attrattivo per un uomo, perché dovrebbe esserlo per una donna? Credo dovremmo concentrarci su questi aspetti per trovare le soluzioni.

Eppure, secondo i dati IRU, in Italia le donne alla guida di mezzi pesanti sono di più che in altri Paesi europei. Dal suo punto di vista, qual è la reale situazione del nostro Paese?

L’Italia non è né l’eccellenza né la Cenerentola della situazione. Se penso al Trasporto Pubblico Locale, ci sono Paesi del Nord Europa che da sempre investono in figure operative femminili, per via di una storia sindacale e legislativa differente dalla nostra. Penso per esempio al congedo di paternità che consente una migliore distribuzione dei ruoli famigliari. L’ingresso delle donne nel settore va quindi di pari passo con una legislazione che aiuti sotto il profilo sociale e dia supporto. L’elemento fondamentale per capire lo stato dell’arte, quindi, non è il numero di donne che entrano nel settore, ma il numero di donne che vi rimangono.

La violenza sulle donne che lavorano nel settore è un tema di cui si parla poco. Perché?

Il tema è in realtà primario anche rispetto alla disparità di genere perché se ci sono episodi di violenza nel settore, purtroppo numerosi, è l’occupazione femminile a risentirne. Quando si parla di violenza si tende a pensare solo a quella sessuale, in realtà ci sono sfaccettature, spesso invisibili, fortemente legate al modo in cui si lavora o ai termini che si utilizzano.

Esistono numeri in grado di restituire le dimensioni del fenomeno?

Non siamo riusciti a ottenerli e questo è uno degli elementi su cui ci stiamo adoperando per portarli alla luce. Esistono dei sistemi di monitoraggio e aiuto per chi usufruisce dei mezzi di trasporto, ma non per i lavoratori del settore. A tal proposito avvieremo una campagna mirata a sensibilizzare sul tema della violenza nei confronti delle lavoratrici del settore dei Trasporti, raccogliendo loro testimonianze e portandole alla Commissione europea. Un altro progetto a cui ci dedicheremo, lanciato dal sindacato inglese Unite, si chiama «Get me home safely», portami a casa in sicurezza, e riguarda le pendolari che si spostano da casa al luogo di lavoro, spesso fuori città se pensiamo ai magazzini logistici, anche in orari non “da ufficio”. L’obiettivo è di raccogliere buone pratiche per garantire un trasferimento casa-lavoro più sicuro, rinegoziando i turni di lavoro o riorganizzando gli spostamenti. Un esempio virtuoso è quello del sindacato bulgaro della metropolitana di Sofia che garantisce alle donne che devono coprire il primo o l’ultimo turno di lavoro il taxi pagato. Sono buone pratiche non sono ancora diffuse: serve incrementarle.

Secondo il Global Gender Gap 2022 del World Economic Forum ci vorranno ancora 132 anni per colmare il gap di genere a livello globale. Come anticipare i tempi?

Penso sia fondamentale agire sulla formazione e in particolare sull’area STEM. Serve poi far emergere le donne che hanno avuto successo in questo ambito, così che possano essere da esempio anche per altre ragazze. Nel settore aerospaziale, per esempio, abbiamo Samantha Cristoforetti. Servono figure così di spicco anche nel settore dei trasporti.

Lei è una donna che si occupa di diritti delle donne. Spesso si pensa che la tematica sia solo femminile. Quale dovrebbe essere il ruolo degli uomini?

Il motore del cambiamento sono sicuramente le donne, ma il ruolo degli uomini è cruciale. Senza il loro sostegno, il loro agire e la loro solidarietà è difficile raggiungere la parità di genere. Credo che l’approccio dovrebbe essere più laico e aperto, perché prima di avere un genere siamo tutti esseri umani.

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