Ci occupiamo oggi di trasporto illecito di rifiuti speciali e pericolosi con una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha fissato alcuni principi di inammissibilità nei confronti di un ricorso di un soggetto condannato per tale reato. In sintesi, la Corte ha stabilito che lo stato di bisogno economico non integra la discriminante dello stato di necessità e che la notevole quantità di rifiuti trasportati esclude la particolare tenuità del fatto, a causa della concreta pericolosità della condotta per l’ambiente.
La Corte Suprema ha così chiarito i limiti di applicabilità delle cause di non punibilità, come lo stato di necessità e la particolare tenuità del fatto, chiarendo come la giurisprudenza valuti la gravità dei reati ambientali, anche quando motivati da presunte difficoltà economiche.
Ma vediamo la vicenda nel dettaglio.
IL FATTO
Il caso ha origine dalla condanna per il reato di trasporto illecito di un quantitativo importante di rifiuti, circa 4 quintali, classificati come speciali e in parte anche pericolosi. L’imputato, ritenuto responsabile del reato, decide di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su due argomentazioni principali per escludere la propria responsabilità penale: stato di necessità e particolare tenuità del fatto.
Il ricorrente ha in primis sostenuto che la sua condotta fosse giustificata da uno stato di necessità, provocato da una difficile condizione economica. Secondo la difesa, cioè, il bisogno economico lo avrebbe costretto a compiere l’atto illecito per far fronte a necessità primarie: una causa di giustificazione che, se accolta, avrebbe reso la sua azione non punibile.
In secondo luogo, la difesa ha richiesto l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. In altri termini, l’offesa arrecata sarebbe stata talmente lieve da non meritare una sanzione penale, nonostante l’integrazione formale del reato.
LA DECISIONE
Tuttavia la Corte di Cassazione ha respinto integralmente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile. In particolare, la Corte ha ribadito che lo stato di necessità, previsto dall’art. 54 del Codice penale, presuppone un pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto illecito. Le difficoltà economiche, per quanto gravi, non rientrano in questa casistica, specialmente se esistono alternative lecite per farvi fronte. Commettere un reato, come il trasporto illecito di rifiuti, non è considerato insomma l’unica via per risolvere problemi di natura economica.
Invece sulla valutazione della tenuità del fatto – dice la Corte – si deve considerare la concreta pericolosità della condotta. Nel caso specifico, il significativo quantitativo di rifiuti trasportati (circa 400 kg), una parte dei quali anche pericolosa, e il conseguente rischio di dispersione incontrollata nell’ambiente, escludono a priori la lieve entità del reato. Una condotta, perciò, tutt’altro che leggera.
LE CONSEGUENZE
Queste motivazioni del giudice sono basate su una rigorosa interpretazione delle norme e su un orientamento giurisprudenziale consolidato. Tecnicamente le obiezioni dell’imputato erano di fatto e non di diritto, di conseguenza non esaminabili in sede di legittimità.
La decisione di inammissibilità ha comportato non solo la conferma della condanna, ma anche l’addebito delle spese processuali e il versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del Codice di procedura penale.
In conclusione, si conferma che per i reati ambientali la line della massima Corte resta particolarmente severa. Le difficoltà economiche non possono mai diventare un alibi per giustificare condotte pericolose per l’ambiente e la salute pubblica. Inoltre, la valutazione della gravità di un reato come il trasporto illecito di rifiuti non può prescindere dalla quantità e dalla natura dei materiali coinvolti, elementi che ne determinano la concreta pericolosità.