
Caro Adriano, parto da un dato: il 75% del lavoro di cura in Italia è affidato alle donne. Che si tratti di cura dei figli, della casa, di parenti bisognosi, è un carico che non portano solo le mogli dei camionisti (anche se forse nel loro caso è aggravato dalle lunghe assenze dei mariti in base alle linee di percorrenze). Ricordiamoci anche che di lavori particolari ne esistono molti: piloti di linea, trasferisti, manager, per citarne alcuni e tutti soffrono esattamente le stesse dinamiche. Un carico che pesa sulla parte femminile della coppia sotto forma di lunghe assenze da casa e di eventuale rinuncia al lavoro in quei nuclei lavorativi dove uno stipendio è sufficiente a pagare le spese (purtroppo, spesso, anche dove non lo è).
Il quadro, quindi, è generale e naturalmente servono strumenti sociali più adatti per permettere alla nostra società di progredire in maniera equa. Già questo dovrebbe metterci nelle condizioni di capire che tante delle nostre scelte hanno radici culturali, ma porsi la domanda è sinonimo di intelligenza e, se tramandata alle nuove generazioni, seme di cambiamento.
Tu, infatti, appartieni a un’altra generazione e probabilmente pochi di voi si sono chiesti prima se quelle scelte fossero corrette; probabilmente è un moto di coscienza che arriva dopo, quando ti accorgi che i figli sono grandi o quando fai i conti dei momenti condivisi insieme e ti accorgi che sono pochi. Per gli uomini del vostro tempo era normale occuparsi della famiglia attraverso il lavoro, così come per le donne attraverso la cura. Noi invece questa domanda – proprio perché figli vostri e dei vostri sacrifici – ce la poniamo prima o durante perché non vogliamo replicare un modello di assenza.
Quindi parto con due ragionamenti: nel bene e nel male insegniamo qualcosa ai nostri figli. Mostriamo loro una via che possono replicare o rifiutare. La nostra esperienza è sempre monito per una loro strada, alla peggio serve a mostrargli cosa non essere e a quel punto avremo svolto comunque il nostro compito di genitori. Parliamo, in questa sede, di un modello genitoriale positivo, solo più assente di altri per semplici motivi lavorativi.
Secondo punto: confermo la tua ipotesi. No, le cose in famiglia non sarebbero andate meglio se tu avessi fatto un altro lavoro. Io credo che i figli abbiano bisogno di genitori felici che siano presenti sì, ma con serenità. Se fossi stato obbligato a fare altro, probabilmente avresti ripiegato le energie in frustrazione che ti avrebbe portato ad essere nervoso e irritabile. Perché anche questo è un modello, avere il coraggio di scegliere per sé stessi e non sacrificarsi in nome di una assoluzione postuma.
Una nota in più: hai specificato che i tuoi tre figli sono adottivi e per questo ti lascio una domanda sospesa: avresti potuto adottarli (visto i requisiti richiesti) se avessi avuto un altro lavoro meno retribuito e meno sicuro? Ti conosco di persona, ci sentiamo anche su canali digitali, mi racconti di un’armonia familiare che non c’è sempre in tutte le famiglie (anche quelle con lavori definiti ordinari): se i tuoi figli sono sereni e tu e tua moglie pure, ne deduco che avete fatto un ottimo lavoro.
Per sbrogliarti scrivi a: l.broglio@uominietrasporti.it