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Sara Bizzaro, come inseguire il proprio sogno ogni giorno, dalla cabina di un camion

Anni trascorsi a nascondere la passione per l’autotrasporto per paura di non essere compresa dalla famiglia. Poi la svolta, Sara Bizzaro sale sul camion e non lo lascia più fino alla nascita della sua bambina, Amy. Apre una panetteria e mette da parte il suo sogno per qualche tempo, prima di rendersi conto che per lei la felicità è guardare il sole nascere e tramontare dalla cabina del suo camion

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Tutti i bambini hanno dei sogni nel cassetto. Alcuni si realizzano, altri vengono dimenticati, altri semplicemente si trovano a dover fare i conti con la realtà. Altri ancora vengono nascosti per la paura del giudizio altrui, ma prima o poi quei sogni tornano a bussare e non si può più ignorarli. È proprio questa la storia di Sara Bizzaro, classe 1978, un tempo bambina che guardava di nascosto e con occhi sognanti i camion e oggi qualificata e apprezzata autista della Manfrinato Giusto SRL, azienda di Monselice, in provincia di Padova, che l’ha accolta nella sua flotta permettendole di portare avanti il suo sogno. Eppure, la strada per arrivarci non è stata affatto semplice.

Sara, come è nata la tua passione per questo mestiere?

Vengo da una famiglia nella quale non ci sono autisti, i miei genitori erano infermieri e anche mia sorella, di poco più piccola di me, ha seguito le loro orme e oggi lavora nell’ambiente ospedaliero. Eppure, fin da piccolissima, camion e trattori mi sono sempre piaciuti. Io e mia sorella giocavano spesso in terrazza e da lì vedevo arrivare i camion che andavano in una fabbrica vicino casa. La strada era stretta e rimanevo sempre affascinata dalle grandi manovre che facevano.

Quando hai capito che volevi fare anche tu quelle manovre?

In realtà, agli inizi di vergognavo a confessare questo sogno. Non lo dissi neanche ai miei genitori e lo accantonai. Presi il diploma alla scuola alberghiera e iniziai a lavorare nel settore della ristorazione, come pasticcera. Poi, a seguito di una tragedia familiare che mi aveva gettato in uno stato di profondo shock, un amico autista a cui avevo confessato la mia passione mi propose di fare con lui qualche giro in camion, per tirarmi su di morale. In quel momento mi sono resa conto che quella doveva essere la mia strada, non potevo più ignorarla. Eppure, il senso di vergogna ancora c’era. Nel 2005 presi le patenti di nascosto dalla mia famiglia, erano altri tempi e c’erano ancora forti pregiudizi, sia in casa che fuori. Annunciai la mia decisione solo a cose fatte. L’amico che mi aveva incoraggiato mi portò a parlare con il titolare dell’azienda per cui lavorava che mi propose di iniziare a lavorare come magazziniera e all’occorrenza come autista. È iniziata così la mia esperienza in questo settore.

Però volevi qualcosa di più…

Più facevo esperienza sul camion, più mi rendevo conto che volevo farlo a tempo pieno. Mi chiamò un’azienda che faceva lavori stradali e accettai, iniziando a portare con la motrice asfalto e materiale inerte. Negli anni ho cambiato più volte aziende, ho la fortuna di poter dire che i tasselli mancanti sono sempre arrivati al momento giusto. Per esempio, allora lavoravo poco in inverno, e così per un certo periodo ho iniziato a fare anche linea con il bilico, toccando con mano il vero lavoro dell’autista. Passavo le notti fuori e diciamocelo era dura, soprattutto perché in quel periodo non c’era ancora la regolarizzazione che c’è oggi, ma quello è stato il coronamento del mio sogno. La vita però non aveva smesso di mettermi di fronte a delle sorprese e così nove anni fa sono diventa mamma di Amy.

Come hai conciliato le due cose?

Prima di rimanere incinta avevo iniziato a lavorare come autista di pulmini per pazienti in dialisi. Il lavoro era calato e avevo accettato questa opportunità che, almeno i primi tempi, mi permise di conciliare la gravidanza con il mio lavoro da autista. La verità però è a che a un certo punto ho dovuto mettere da parte del tutto la mia passione e lasciare il volante. Per qualche anno, grazie anche al grande aiuto di mio papà con la bambina, ho gestito una mia panetteria, ma appena Amy è diventata più grande ho capito che non potevo più stare lontana dai camion, non mi sentivo realizzata. Così lo scorso anno ho fatto domanda come autista alla Manfrinato Giusto, mi hanno presa e sono tornata a essere felice.

Come gestisci oggi gli impegni familiari con quelli lavorativi?

L’azienda per la quale lavoro mi sta dando la possibilità di conciliare il lavoro con la famiglia. Operiamo su turni settimanali, quindi posso vedere mia figlia di pomeriggio quando faccio il turno di notte, o accompagnarla a scuola la mattina quando faccio il turno pomeridiano. Sono una mamma sola e se posso permettermi di continuare a fare questo lavoro è anche grazie all’enorme aiuto di mio papà che tiene la bambina quando io non ci sono. Non è certamente facile, ma fare il lavoro che mi piace mi dà la forza di andare avanti nonostante tutto. Lavorare ed essere mamma per me sono fondamentali allo stesso modo: il lavoro mi aiuta a garantire un futuro a mia figlia, allo stesso tempo sapere che mia figlia ha una mamma entusiasta del proprio lavoro e vedere in lei sostegno mi permette di essere serena sul camion.

Da lavoratrice e mamma che tipo di aiuto o sostegno in più vorresti ricevere?

In Italia c’è ancora tanto da fare per sostenere le donne. Prima di tutto servono strutture con orari più flessibili. Gli asili e le scuole tengono i bambini fino alle 16, massimo le 18, insomma orari di ufficio, ma non tutte le mamme che lavorano fanno orari standard. È un problema che riscontro anche parlando con alcune amiche, anche loro mamme sole con più figli che si trovano difficoltà con gli orari, nonostante facciamo tutte lavori molto diversi. Se queste sono le condizioni, le donne che lavorano non potranno mai essere davvero indipendenti e questo pregiudica anche la scelta di fare una famiglia. Ci viene chiesto loro di mettere da parte lavoro e passioni, quello che un uomo invece non deve fare. E il problema c’è in tutti gli ambienti lavorativi, non solo nel settore dell’autotrasporto. I miei genitori sono stati per me un esempio molto importante. Entrambi infermieri, hanno sempre lavorato alla pari e si sono sempre sacrificati alla pari, questo per me è rimasto il modello di riferimento. Alle donne invece, ancora oggi viene chiesto di sacrificare qualcosa in più.

Nel settore dell’autotrasporto secondo te oggi sta cambiando qualcosa?

Questo è un settore ancora prettamente maschile, il mio è un lavoro ancora prettamente maschile, ma sì, qualcosa nella mentalità sta cambiando. Personalmente sono sempre stata incoraggiata dai miei colleghi, loro stessi mi hanno aiutato a superare i pregiudizi legati a questa professione. Anche oggi, nella realtà per cui lavoro, nonostante io sia l’unica donna autista i colleghi apprezzano la mia professionalità e mi sostengono. C’è rispetto per gli autisti e attenzione alle nostre esigenze. Questo è fondamentale perché il lavoro occupa la maggior parte del nostro tempo e delle nostre giornate ed è quindi importante trovarsi in un ambiente sereno. Sotto questo punto di vista il cambiamento deve partire in primis dalle aziende.

Cosa ti aspetti dal futuro?

Sono sempre stata molto curiosa, ho guidato di tutto in vita mia e oggi la tecnologia e la digitalizzazione stanno trasformando molto questo mestiere, lo trovo molto affascinante. Mi piace l’idea di provare nuovi mezzi, nuove tecnologie e dove lavoro ora ho la possibilità di farlo. Sono una di quegli autisti propensi alla digitalizzazione, penso sia il futuro, per cui voglio vedere come si evolverà. Insomma, bisogna adeguarsi ai tempi che cambiano, vale sia per la digitalizzazione sia per la cultura del lavoro femminile.

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