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EDITORIALE | Campioni si diventa

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Sono completamente d’accordo con chi sostiene che l’Italia abbia bisogno di campioni nazionali della logistica. Lo impone la sua condizione di paese importatore di materie prime ed esportatore di manufatti e prodotti agroalimentari e la conseguente esposizione al rischio di essere penalizzato, nei traffici oltre frontiera, da operatori logistici battenti altre bandiere e animati da logiche «patriottiche». Non ho invece un’idea chiara sul come si diventi campioni.
Perché le emanazioni nazionali di campioni altrui inducono ad avere più di un dubbio sull’opportunità di assumerli a modello. E il fatto che qualche procura ne abbia rimosso i vertici per commissariare l’amministrazione a terzi rende i dubbi più simili a certezze.

Il baco della loro gestione si insinua nella terziarizzazione, nel delegare interi rami di attività a qualcuno esterno all’impresa. Giacché un conto è essere titolare di un’azienda, altro conto è affidarne l’operatività a figure estranee. Così si crea uno squilibrio di natura finanziaria, in quanto è evidente che se la torta va divisa in più fette, chi le taglia tenderà ad assottigliare al massimo quelle da assegnare agli altri. Ma poi c’è anche uno squilibrio di natura commerciale, perché se io affido a un’impresa il trasferimento di alcuni beni, sono più sereno se chi fisicamente me li consegna è emanazione diretta di colui cha ha firmato il contratto, perché lo rappresenta o, come si dice, funge da biglietto da visita. Se la consegna l’effettua un terzo, invece, per quanto bravo possa essere non rappresenta nulla. Senza considerare che le tante deleghe funzionano come sfilacciature lungo la catena, in grado di rendere difficoltoso quel tracciamento, imposto ormai come standard nella movimentazione delle merci.
Sia chiaro, non sto sostenendo che delegare sia vietato, né che debba per forza essere inefficiente, dico semplicemente che pretende un equilibrio. Anzi, rispetto alle aziende di autotrasporto, pretende una proporzione. Non lo dico io, ma una delle direttive contenute nel pacchetto mobilità, quella in cui si richiede a un’azienda di trasporti di avere una proporzione tra il volume delle operazioni di trasporto gestite e il numero di veicoli e di autisti di cui dispone, per riuscire a dimostrare il requisito di stabilimento. In realtà, nella logica europea tale proporzione serviva a contenere la diffusione di società fittizie (o letterbox companies) insediate in uno Stato al solo scopo di eludere il fisco nel paese in cui si opera realmente. Ma introdotto nell’ordinamento italiano, il principio diventa un fattore frenante dell’intermediazione. Perché di fatto impone a un’impresa di generare tramite subvezione soltanto una precisa percentuale del proprio fatturato. Quale sia questa percentuale ancora non è dato sapere. Che non possa essere «zero» è scontato, perché un’azienda di autotrasporto che ha un parco di 100 veicoli non può prendere 100 viaggi al giorno, perché se uno o più saltano rischia di tenere fermi e improduttivi beni strumentali su cui ha investito. Quindi è normale che ne prenda 110 o 120 o magari 130.

Ciò che è evidente è che se ne prende 500 finisce per fare un altro lavoro, più votato all’organizzazione di traffici altrui che allo spostamento di merci. Ma soprattutto tende a minimizzare al massimo il rischio di impresa trasferendolo nella pratica a chi si assume l’onere fisico del trasporto e quindi affronta le incognite della strada. Considerazione che induce a evidenziare un’altra contraddizione: non è possibile che chi rischia, è anche quello che meno guadagna, in quanto il margine contenuto nella tariffa pagata dal committente se n’è andato in buona parte per remunerare l’attività di intermediazione.
Ragion per cui sarebbe il caso di sollecitare il governo a recepire questa direttiva comunitaria (doveva essere fatto – pensate – entro il 22/2/2022) e con l’occasione aprire un dibattito che vada oltre e che aiuti a rispondere alla fatidica domanda: qual è la percentuale corretta dal punto di vista dell’efficienza, dell’equilibrio e se volete dell’etica che un’azienda di autotrasporto possa fatturare tramite l’attività assegnata a terzi? Se mi aiutate a rispondere, comunicandomelo tramite tutti i nostri canali, forse piano piano arriveremo anche a capire come si costruisce un campione del trasporto e della logistica degno di questo nome.

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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