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EDITORIALE | Si stava meglio quando si stava peggio?

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un leone viene allevato da un ricco imprenditore. Un giorno, all’improvviso, l’uomo muore e l’animale viene rinchiuso in un recinto angusto.
Vi rimane per così tanti anni che, quando qualcuno si degna di liberarlo, è diventato qualcosa di diverso dal re della giungla. Non riesce più a ruggire, né a correre come faceva prima. E, guardandosi intorno, si sente talmente indifeso che vorrebbe quasi tornare prigioniero.
Mi sono imbattuto per caso con questo episodio di cronaca accaduto in Azerbaigian. E mi è subito apparso come una perfetta metafora del noleggio. Quello dei veicoli sopra le sei tonnellate, in Italia, è stato sempre confinato in una regolamentazione cervellotica, soltanto in parte semplificata nel corso degli anni, ma mai del tutto liberalizzata.

Così, quando dopo decenni le ragioni restrittive del nostro legislatore hanno dovuto cedere il passo a una direttiva europea volta a rimuovere paletti in ogni dove, lo stesso noleggio è venuto fuori molto malconcio. Un po’ perché la liberalizzazione all’italiana, oltre a essere lacunosa, passa attraverso una rete di procedure talmente fitta da sprigionare un vago e contraddittorio sapore vincolante. Un po’ perché quel noleggio, lasciato rinchiuso per anni, ora si trova a fare i conti con un contesto in cui tutti lo vorrebbero far correre in base a proprie esigenze e aspettative. Due piani diversi che meritano approfondimento.

Gli aspetti liberticidi della normativa emergono chiaramente se si entra nel dettaglio di alcune disposizioni. Mi chiedo, a titolo di esempio: la capacità finanziaria si dimostra anche con un solo veicolo noleggiato a breve termine? E il parco veicolare interno di una cooperativa concesso ai soci alla bisogna necessita, a ogni assegnazione, di un’iscrizione al REN? E i veicoli che si potranno noleggiare in qualunque Paese europeo possono essere anche euro 0? E ancora, se nel mondo dell’ecologia veicoli quali compattatori e spazzatrici non li acquista nessuno, ma tutti li noleggiano, con quale logica oggi si vorrebbero rendere «non noleggiabili»? È auspicabile, allora, che nelle prossime settimane qualcuno in ministero fornisca risposte a questi interrogativi, ispirandosi magari alla realtà di mercato. Perché, se così non fosse, questo processo di liberalizzazione di un contesto che, a dispetto dei recinti, aveva comunque trovato un suo equilibrio, finirà per scoraggiare molti operatori e li indurrà a pensare, un po’ come il leone uscito dalla gabbia: «Si stava meglio quando si stava peggio».

Ma questo è un pezzo del discorso. L’altro – più complesso – riguarda l’utilizzo multiforme del noleggio, segnato dai tanti attori intenzionati a metterci le mani sopra: ci sono noleggiatori che colgono l’opportunità di far allargare il proprio business, ma devono fare i conti con una concorrenza in crescita; ci sono costruttori di veicoli che vedonoi il noleggio come una leva con cui fugare i dubbi suscitati dalle costose alimentazioni elettriche; ci sono grandi aziende di autotrasporto che tendono a usare il noleggio come uno strumento con cui fidelizzare i padroncini subvettori; ci sono concessionari che creano società di noleggio per coltivare un cliente o che fanno da broker per altri gruppi; ci sono addirittura ex venditori che si inventano noleggiatori nel senso che, sfruttando relazioni pregresse, contattano clienti bisognosi di veicoli e glieli procurano – magari già allestiti – dal concessionario disposto a concedere il prezzo migliore.

Al fondo di tutto, poi, c’è l’aspetto che più confonde chi coglie i fenomeni con senso evolutivo. Perché il noleggio può anche essere visto come una sorta di trasformazione antropologica di un uomo che rinuncia alla proprietà a vantaggio dell’accesso. Prende beni in disponibilità, perché non ha più bisogno di trovare in essi particolari soddisfazioni, se non quella di poterli utilizzare. E dall’altra parte c’è qualcuno – chi produce tali beni – che, sfruttando le possibilità generate dal digitale, gli consente di vivere quel momento più o meno lungo di utilizzo nel modo migliore possibile, circondandolo di attenzioni che appaiono pensate esclusivamente per lui.

Non parlo di futuro: mio figlio, che non è mai stato proprietario di un disco, può ascoltare milioni di brani musicali accedendo a una piattaforma digitale. E chi la gestisce individua i suoi gusti, gli propone ascolti sempre nuovi, gli prepara playlist, gli ottimizza le frequenze d’ascolto in funzione del genere che preferisce e tanto tanto altro. Spero soltanto che domani mattina, quando lo stesso processo – già intrapreso – si allargherà sempre di più ai veicoli, non staremo ancora a ragionare se un lava cassonetti possa essere o meno noleggiato.

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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