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EDITORIALE | Sotto tutela

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Se si nasce piccoli, si vive di stenti. L’autotrasporto italiano è nato così: togliendo braccia dai campi per poggiarle sul volante di camion divenuti necessari per ricostruire il paese. Di fatto, nella seconda metà degli anni 40 mancava qualche decina di migliaia di autisti. Come oggi, più di oggi. Ma colmare quella lacuna non fu difficile perché il lavoro scarseggiava e trovarne uno a bordo di un veicolo su cui idealmente viaggiavano gli aiuti del piano Marshall, apparve a molti cosa semplice e gratificante. Semplice, perché la burocrazia necessaria per ottenere un titolo abilitativo era leggera, seppure poco attenta alle ragioni della sicurezza. Gratificante, perché un’esperienza professionale consumata lungo strade mai battute prima, era più varia che arare la terra o assecondare una catena di montaggio. E anche economicamente consentiva di guadagnare cifre inimmaginabili fino al giorno prima di salire in cabina. Normale, quindi, che il popolo dei camionisti crebbe in fretta, contando a fine anni 60 la bellezza di 135 mila imprese.

A quel punto, ricostruita l’Italia e accompagnatala verso il boom, quella pletora di padroncini si scoprì malata: era affetta da polverizzazione, espressione negativa non in sé – la peculiarità del nostro tessuto produttivo è di poggiare su un architrave di piccole e medie imprese – ma nei rapporti commerciali. Perché un padroncino disponibile e poco attrezzato imprenditorialmente è un fornitore di servizi esposto allo sfruttamento. Da parte di: agenzie di intermediazione interessate a guadagnare sulla sua testa; committenti poco inclini a considerare il suo apporto un valore aggiunto; autotrasporta-tori strutturati bisognosi della sua flessibilità.

Lo Stato osservava e tollerava. E in fondo lo fa ancora oggi, perché un costo del trasporto contenuto aiuta a calmierare prezzi e inflazione. Ma è consapevole che per tenere in piedi quelle migliaia di imprese bisogna sostenerle. In due modi orientati ad altrettanti scopi. Il primo è economico: fornire sostegno finanziario a quel padroncino che accetta tariffe inferiori a quanto serve per sopravvivere. A tal fine gli mette in tasca rimborsi accise, gli riduce i pedaggi e gli rimborsa le spese non documentate. Misure senza le quali difficilmente chiuderebbe in nero un bilancio.

Il secondo è di relazione: fornire tutela normativa a piccole imprese condannate a essere parte contrattuale debole. A tal fine, in passato, si puntò sulla tariffa, imponendola in modo obbligatorio o fissando un tetto sotto cui non poteva scendere, pena un sacrificio della sicurezza. Oggi, visto che tali misure erano inutilizzate (seppure riscoperte – guarda caso – se il rapporto col committente svaniva), ci si è concentrati su altre fragilità.

Che non si manifestano quando il gasolio costa poco o rimane stabile, quando i tempi di attesa al carico sono contenuti, i pagamenti vengono onorati alla scadenza e il tra-sporto lo effettua chi lo ha acquisito. Ma piuttosto quando, come oggi, il gasolio sfonda i due euro al litro, le attese rendono improduttive 4,30 ore ogni giorno, i tempi di paga-mento impediscono di rientrare nelle spese per 110 giorni, la subvezione rimane una pratica diffusa con cui evapora, alla fine dei passaggi, il margine presente nella tariffa.

In queste situazioni il banco salta e diviene necessario, per la sopravvivenza di ampie fette del mercato, individuare tutele superiori o rendere applicabili quelle esistenti. Questo numero le passa in rassegna, insieme alle proposte esistenti per renderle applicabili. Lo consegniamo idealmente a quel Tavolo delle Regole, opportunamente voluto dalla viceministra Teresa Bellanova, perché esprime un valore simbolico: ragionare in tre – con la committenza a fianco di governo e associazioni – aiuta a far capire che i problemi del trasporto diventano, prima o poi, freni del sistema. Se non si rimuovono i primi, il secondo stenta a restare competitivo. Prospettiva che – ci si augura – la committenza farà di tutto per scongiurare.

Ragionamento analogo vale per le associazioni dell’autotrasporto: se non hanno ancora chiarito a sé stesse se tutelano i padroncini o le aziende che a questi appaltano trasporti, facciano mente locale sul fatto che, se muore il primo, le seconde proveranno comunque difficoltà, a maggior ragione in una fase di carenza di autisti.

Tanto basta per intendere che sono tutte sulla stessa barca. Sperando che non affondi.

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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