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La dogana? Ecco come può diventare un importante strumento di profitto

Secondo uno studio di Customs Support Group e Boston Consulting Group la dogana non è più soltanto un obbligo di conformità, ma una potente leva per la crescita e per i margini di profitto di un’azienda che si affidi all’intelligenza artificiale, alla digitalizzazione e all’automazione dei processi doganali stessi

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Oggi la dogana non è più soltanto un obbligo di conformità, ma una potente leva per la crescita e per i margini di profitto di un’azienda logistica. È questa la conclusione di uno studio realizzato da Customs Support Group (CSG), principale fornitore indipendente europeo di soluzioni doganali e di commercio internazionale, e Boston Consulting Group (BCG).

Nel 2024 – spiega il report – le autorità doganali di tutto il mondo hanno riscosso tra i 600 e i 900 miliardi di dollari in dazi, quasi l’1% della produzione economica globale. Allo stesso tempo, però, la complessità della dogana sta aumentando a causa di nuove sanzioni, regole di origine più rigide, strumenti di carbon border (il meccanismo che impone un prezzo sulle emissioni di gas serra incorporate nelle merci importate da Paesi extra-UE) e tariffe dinamiche.

Le aziende che non rendono abbastanza efficienti i propri processi doganali rischiano così oneri significativi, sprecando la possibilità di sfruttarli come leva di competitività e supporto ai margini di profitto. I principali fattori abilitanti per aumentare l’efficienza sono l’intelligenza artificiale, la digitalizzazione e l’automazione dei processi doganali stessi.

I problemi delle procedure doganali

La ricerca mostra come molte aziende sottovalutino la rilevanza economica della dogana. In Europa, lo sdoganamento richiede in media da due a tre giorni e il 20-40% dei ritardi è causato da errori evitabili di classificazione doganale o documentazione. A questo si aggiungono i costi delle accise e le spese di detention (ovvero i costi addebitati dalla compagnia di navigazione per il mantenimento del container fuori dal terminal oltre i giorni di franchigia consentiti), pari a diverse migliaia di euro per container, oltre ad adeguamenti retroattivi dei dazi fino a dieci anni. Infine i pagamenti in eccesso dovuti a un utilizzo insufficiente degli accordi di libero scambio (FTA) o a classificazioni errate da parte delle multinazionali raggiungono frequentemente cifre a sette zeri ogni anno.

Tre esempi di best practices doganali

CSG e BCG affermano che integrare le questioni doganali già in fase di approvvigionamento e progettazione del prodotto riduce il costo dei beni venduti, abbrevia i tempi di consegna e diminuisce i rischi di audit e rettifica.

Lo studio ha fatto emergere tre casi che confermano quanto appena citato. Il primo riguarda un OEM di scala internazionale che, incorporando sistematicamente aspetti relativi all’origine e alla FTA (Free Trade Agreement, accordi di libero scambio) nella gestione dei fornitori, ha ottenuto in media circa il 10% in meno di dazi sui componenti acquistati.

Il secondo riguarda invece un’azienda farmaceutica che è riuscita a ridurre i costi medi di approdo del 12% grazie a modifiche al packaging e alla formulazione dei propri prodotti che hanno consentito classificazioni più favorevoli.

L’ultimo è un gruppo tecnologico che ha ridotto i tempi di consegna del 15% grazie a procedure di pre-sdoganamento attraverso depositi doganali e digitalizzazione documentale.

L’importanza della raccolta dati, della digitalizzazione e della IA 

Lo studio svela dunque che dati centralizzati, governance chiara, digitalizzazione e automazione creano trasparenza tra dichiarazioni, pagamenti, anagrafiche di prodotto e classificazioni. Per esempio, la classificazione assistita dall’Intelligenza Artificiale raggiunge oggi un’accuratezza superiore all’85% e rileva incongruenze tra specifiche e dichiarazioni doganali.

L’elaborazione intelligente dei documenti dimezza i tempi di gestione dei flussi di lavoro, consentendo al personale specializzato di concentrarsi su attività a maggior valore aggiunto. Allo stesso modo, la ricerca mostra che il 42% delle aziendeconsidera l’innovazione un fattore di efficienza, mentre il 27% esprime preoccupazioni di conformità sull’uso dell’IA, evidenziando quanto sia ancora essenziale mantenere la supervisione umana.

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