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Alcoltest, la prova del malfunzionamento dell’etilometro ricade sul conducente

La Cassazione ha stabilito che l’esito positivo dello strumento è comunque prova dello stato di ebbrezza del guidatore, per cui l’onere di dimostrare malfunzionamenti ricade sulla difesa

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Ci soffermiamo ancora sulle sanzioni legate allo stato di ebbrezza, ma in questo caso parliamo dell’alcoltest. Quando infatti un guidatore viene fermato per un controllo e il risultato dell’alcoltest è positivo, la prima reazione è spesso quella di contestare il corretto funzionamento dello strumento. A questo proposito la Corte di Cassazione, Quarta Sezione Penale, con la sentenza n. 28019/25, ha delineato regole chiare in ambito processuale.

In particolare – come vedremo – ha ribadito che l’onere di fornire elementi concreti per mettere in dubbio il funzionamento dell’apparecchio ricade sull’imputato, ovvero non spetta all’accusa provare il contrario.

IL FATTO

Il caso affrontato dalla Suprema Corte prende origine da un grave incidente stradale in cui l’automobilista aveva tamponato un’altra vettura provocando al conducente lesioni personali gravi. Il controllo con l’etilometro aveva rilevato un tasso alcolemico pari a 2,16 g/l. Per questo motivo, nei gradi precedenti di giudizio, il Tribunale di Verona e la Corte d’Appello di Venezia avevano confermato la condanna per lesioni stradali, includendo l’aggravante dello stato di ebbrezza, di cui all’art. 186 del Codice della strada, comma 2, lett. c).

Tuttavia la Corte d’Appello aveva omesso nel dispositivo la quantificazione delle spese legali a favore della parte civile e dunque aveva emesso un’ordinanza di correzione di errore materiale, integrando la sentenza con l’indicazione dell’importo dovuto. A questo punto l’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione, contestando tre aspetti principali: la procedura di correzione dell’errore materiale, la qualificazione della gravità delle lesioni e l’onere della prova sul funzionamento dell’etilometro.

LA DECISIONE

Cosa dice la Cassazione? Sotto il profilo procedurale, gli Ermellini accolgono il primo motivo di ricorso, fornendo un principio essenziale: l’omissione nella liquidazione delle spese della parte civile non può essere trattata come un mero errore materiale. La condanna alle spese legali non è cioè automatica, ma frutto di una valutazione discrezionale del giudice, che deve considerare sia l’ammissibilità della richiesta sia l’entità dell’importo, con eventuale compensazione. Pertanto, l’omissione non è sanabile tramite semplice correzione di errore materiale, ma richiede un ricorso specifico della parte interessata.

Dal punto di vista sostanziale, il ricorrente poi contestava la qualificazione del reato come «lesione grave», sostenendo la mancanza di prova sulla durata della malattia della persona offesa. La Cassazione, però, ha riconosciuto la congruità della motivazione della Corte d’Appello, basata sulla relazione di un fisiatra che, a 20 giorni dall’incidente, aveva rilevato una persistente tensione miofasciale e aveva prescritto ulteriori 40 giorni di terapia posturale. Tali elementi dimostrano che la malattia si è protratta oltre i 40 giorni necessari per configurare la lesione grave.

Infine – l’elemento della sentenza che più ci interessa – la Corte ha ribadito con fermezza che l’esito positivo dell’alcoltest costituisce piena prova dello stato di ebbrezza. In altri termini, non spetta al Pubblico Ministero dimostrare la regolare omologazione e revisione dell’etilometro. Quest’onere ricade sulla difesa, che deve produrre elementi concreti a dimostrazione di un eventuale malfunzionamento.

Nel caso specifico, l’imputato non ha adempiuto al suo onere di allegazione. Non solo non ha presentato alcuna prova di difetti dello strumento, ma ha altresì ammesso il consumo di vino prima di mettersi alla guida. Inoltre, i verbali confermano l’uso di una strumentazione regolarmente omologata e revisionata.

LE CONSEGUENZE

In conclusione, l’alcoltest ha un valore probatorio presuntivo dello stato di ebbrezza.

Una contestazione generica è insufficiente: la difesa deve documentare fatti concreti, anomalie procedurali o tecniche affinché il giudice possa richiedere al Pubblico Ministero la prova dell’omologazione e della revisione dello strumento.

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