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Persone di prima necessità. Quando la pandemia rese bello il camionista

È questo il titolo del volume, edito da Federservice, da cui non ci si riesce a staccare dopo aver sfogliato alcune pagine. sue pagine. Immagini potenti, accompagnate da testi evocativi, ci accompagnano in un lungo viaggio per raccontare da vicino il trasporto merci al tempo della pandemia

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Una storia che ribalta le prospettive e che parla di bellezza. Un’opera che racconta la condizione dei tanti camionisti che, al tempo della pandemia, hanno dovuto sopportare ulteriori sovraccarichi di difficoltà. Un libro da leggere, ma anche da «guardare» visto che le immagini, scattate dal fotografo Alfonso Santolero, sono di una potenza disarmante. Tutto questo e molto altro è «Persone di prima necessità. Quando la pandemia rese bello il camionista», l’ultimo progetto editoriale di Uomini e Trasporti che documenta il rovesciamento dell’immagine dell’autotrasportatore al tempo del Covid. Perché «rovesciamento»? Perché, diciamocela tutta, chi è alla guida di un camion gode da sempre di una pessima reputazione sociale.

Attraverso una ricca galleria di immagini e di prosa, il volume ci conduce in un viaggio all’interno di cabine e piazzali, sulle autostrade e negli uffici, tra carichi e scarichi, per ascoltare da vicino le voci di chi ha affrontato questo momento pandemico con reattività e concretezza, ma anche di chi ha dovuto sopportare più pesi, maggiori oneri, sovraccarichi di difficoltà.

Perché la rappresentazione che l’opinione pubblica ha su di lui si basa su vecchi stereotipi difficili da scardinare, come quelli di chi li vede semplicemente come persone alla guida di mezzi che inquinano e ingombrano, che mettono a repentaglio l’incolumità degli altri utenti che viaggiano sulla strada, che si rimpinzano nelle trattorie. Insomma, chi guida un camion è spesso dipinto come brutto, sporco e cattivo.

Stanchi, ma per la prima volta belli

Poi, un giorno, arriva la pandemia e la prospettiva si ribalta. Molti sono costretti a chiudersi in casa, ma non i camionisti, obbligati a trasportare beni di prima necessità proprio per far sopravvivere chi è asserragliato. Un sacrificio che però è servito ad accendere un faro, perché chiunque – dal presidente del Consiglio fino al Papa – d’un tratto ha cominciato a rendersi conto allora di quanto siano bravi i camionisti. Il libro «Persone di prima necessità» vuole raccontare allora proprio questo momento storico così particolare in cui l’autotrasporto è apparso per la prima volta, sotto gli occhi di tutti, utile, quindi anche bello.

Seppure anche in quel frangente non faceva che svolgere lo stesso ruolo – ugualmente utile, appunto – sopportato da tempo immemore. Obiettivo del volume, infatti, è non solo quello di mettere a fuoco gli sforzi e i sacrifici che i tanti trasportatori hanno dovuto affrontare nel confronto con il virus, ma anche di ricordare che in realtà i camionisti bravi lo sono sempre stati, perché ogni giorno, da sempre, il loro ruolo è di muovere le cose per farle giungere in un dato luogo quando e come serve.

Persone di prima necessità non è solo un’opera che documenta gli sforzi e i sacrifici che i tanti camionisti hanno dovuto affrontare nel confronto con il virus. Ma è anche un racconto che vuole restituire un’idea ben precisa di cosa significa essere autotrasportatori: quella di ricordare che, in realtà, utili e bravi lo sono sempre stati, anche quando il mondo era normale, perché ogni giorno, da sempre, muovono le cose per farle giungere in un dato luogo quando e come serve.

Chilometri di immagini

Tradotto anche in lingua inglese, il libro si articola in due sezioni denominate «Sovraccarico» e «Coppie Motrici». La prima mette a fuoco situazioni concrete (come, ad esempio, i pasti negati o relegati in cabina, la sanificazione obbligata, la burocrazia accresciuta) in cui affiora tutto l’aggravio di timori, premure, solitudini e incertezze che premono sui volti e sulle vite dei camionisti. La seconda sezione fotografa l’indissolubile relazione che da sempre è alla base dell’autotrasporto, quella tra uomini e donne con i loro sguardi, la loro fierezza e la loro genuinità, da una parte, e gli oggetti di varia natura da loro trasportati, dall’altra. Una danza infinita tra l’essere e il fare, tra l’uomo e il trasporto, tra persone in movimento e i simboli del quotidiano di cui ci nutriamo.

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