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Quando un piede schiacciato non è risarcibile

Il danneggiamento fisico di un autotrasportatore durante la manovra di un carrello elevatore non è stato giudicato indennizzabile in tre gradi di giudizio né da parte del conducente del forklift, né dall'azienda per cui questi lavorava (nel frattempo fallita) né dall'assicurazione. Vediamo perchè

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Non sempre – anzi molto spesso – le ragioni di chi ricorre in giudizio vengono accolte anche in presenza di un evidente danno alla persona. Oggi parliamo ad esempio di un caso che riguarda un autotrasportatore ferito nel corso della sua attività, danneggiamento non giudicato passibile di indennizzo.

IL FATTO

La vicenda inizia nel lontano 2015 al Tribunale di Livorno, quando il nostro camionista raccontò al giudice che, nell’esercizio della propria attività di autotrasportatore, si era recato con il proprio automezzo nel deposito di un’azienda per caricare una partita di merce. Durante le operazioni di carico un dipendente della società, mentre era alla guida di un carrello elevatore, lo aveva urtato, provocandogli lo schiacciamento del piede destro. Per questo chiedeva la condanna dei convenuti – l’autista del carrello e l’impresa per cui lavorava – al risarcimento del danno patito in conseguenza del trauma, quantificato in circa 50.000 euro.
Dopo che la società accusata aveva replicato che la domanda era infondata, chiamando in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la Groupama Assicurazioni, nel 2017 il Tribunale aveva rigettato la domanda, ritenendo che nessuna prova chiarisse l’esatta dinamica del sinistro e che pertanto, essendo rimasta indimostrata la responsabilità del carrellista, ne seguiva il rigetto della domanda nei confronti del suo datore di lavoro.
Il trasportatore aveva allora fatto ricorso alla Corte d’Appello di Firenze che però, nel 2020, aveva confermato la sentenza di primo grado, avvalorando che la responsabilità del carrellista non era stata provata. Ma non solo: secondo il giudice fiorentino nell’atto di citazione l’attore aveva invocato la responsabilità solo del dipendente e, solo con una memoria successiva, quella dell’azienda per omissione delle misure di sicurezza sul luogo di lavoro e perciò quest’ultima domanda era inammissibile.
L’autotrasportatore però non si era arreso e aveva fatto ricorso ulteriormente in Cassazione, con la Groupama che subito aveva fatto opposizione.

LA DECISIONE

Alla Corte Suprema il caso va in discussione quest’anno – i tempi della giustizia, lo sappiamo, sono lenti – ma purtroppo non cambia nulla, perché anche il giudice di terzo grado conferma lo scorso 29 settembre la decisione dei primi due tribunali. Vediamo le motivazioni.
1. Innanzitutto – afferma la Cassazione – il ricorso è inammissibile nei confronti della Groupama, perché «l’attore ha mai proposto un’azione diretta nei confronti della suddetta compagnia od esteso l’originaria domanda nei confronti di essa». La legge dice che se non si accusa qualcuno non si può poi impugnare una sentenza contro di esso. Ma anche se questa azione fosse stata proposta nei gradi di merito, il ricorso sarebbe stato comunque inammissibile perché non se ne fa menzione nell’esposizione dei fatti in causa.
2. Anche nei confronti della società del conducente di carrello dipendente – dice poi la corte – il ricorso è ugualmente inammissibile, in virtù del fatto che l’azienda nel frattempo è fallita.
« È sin troppo noto – si legge infatti nella sentenza – che un’azione di condanna non può proseguire nei confronti del fallito, dal momento che qualsiasi debito di quest’ultimo va accertato in sede concorsuale, non potendo il creditore munirsi di un titolo esecutivo giudiziale formato al di fuori della procedura dopo l’apertura del fallimento».
In altre parole, il giudizio con la domanda di condanna nei confronti del fallito, iniziato prima del fallimento, non può continuare in via autonoma ad eccezione del caso in cui la domanda sia stata accolta in primo grado e il convenuto sia fallito nel grado di appello. In questo caso, secondo la legge fallimentare, il creditore sulla base della sentenza impugnata può insinuarsi al passivo con riserva, mentre il curatore del fallimento può proseguire il giudizio di impugnazione. Ma non è questo il caso, perché – come abbiamo visto – il trasportatore danneggiato ha perso in primo grado ed ha impugnato in appello.
3. La Cassazione boccia poi il ricorso anche per altri motivi. Secondo il camionista, infatti, la sentenza della Corte d’Appello di Firenze era sbagliata laddove riteneva inammissibile in quanto nuova la domanda di condanna del ricorrente nei confronti dell’azienda. Questo sia perché la suddetta domanda non doveva considerarsi nuova, ma soltanto modificata, e dunque idonea; sia perché la modifica della domanda era stata rilevata d’ufficio, senza aver prima sottoposto la questione alle parti; sia perché nessuna delle controparti ne aveva eccepito la novità e dunque questa non poteva essere rilevata d’ufficio dal giudice. Ma la Cassazione respinge questi argomenti, affermando che «la sentenza impugnata dà conto che già il Tribunale (di Livorno) ritenne inammissibile, perché nuova, la domanda intesa a far valere la responsabilità aziendale». Inoltre, secondo la Corte l’inammissibilità di una domanda nuova è sempre rilevabile d’ufficio e non è sanata dall’acquiescenza delle parti. Terzo motivo: «Costituisce domanda nuova quella che non si limita ad ampliare l’oggetto della pronuncia giudiziale, ma amplia l’oggetto del conoscere demandato al giudice». In altre parole, è nuova quella domanda che permetta al giudice di accertare fatti diversi da quelli messi sotto i riflettori dalla domanda originaria.
«Nel caso in questione – sottolinea di conseguenza la Cassazione – con la domanda originaria al giudice di merito si richiedeva di accertare la responsabilità del carrellista e di dichiarare, in seconda istanza, la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2049 Codice civile (responsabilità dei padroni e dei committenti). Si trattava dunque d’una domanda che nessun accertamento richiedeva circa l’osservanza da parte della società delle norme dettate per la sicurezza dei lavoratori». E invece nella memoria proposta in secondo grado si chiedeva appunto di chiarire le oggettive condizioni di lavoro sul luogo del sinistro.
4. Ma non è finita. Altre motivazioni addotte dal ricorrente vengono bocciate senza incertezze. Non è infatti ritenuto applicabile l’art. 2087 Codice civile (tutela condizioni di lavoro), «dal momento che la norma disciplina il rapporto contrattuale tra datore di lavoro e lavoratore e non può essere invocata dal terzo che abbia patito danno in conseguenza della condotta del lavoratore, come questa Corte viene ripetendo da cinquant’anni». Nemmeno esiste il vizio di omesso esame del fatto decisivo, poiché «nei due gradi di merito è presente una doppia decisione conforme». E infine l’obiezione che la sentenza d’appello è errata nella parte in cui ha ritenuto indimostrata la condotta colposa del carrellista è inaccettabile «in quanto investe la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove».

LE CONSEGUENZE

Esito infausto dunque per l’autotrasportatore danneggiato. Il suo ricorso è stato giudicato inammissibile in via definitiva e oltretutto è stato condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità 4.200 euro – in favore di Groupama Assicurazioni.

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