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Battaglia di emendamenti tra decreti (Infrastrutture e Fiscale). Verso un piano per gli eccezionali

Recuperato in extremis, dopo la dura protesta di Confindustria, il limite di 108 tonnellate e la divisibilità dei pezzi, cancellati ai primi di novembre. Ma entro il 30 aprile il ministero emanerà le nuove norme, valutando la compatibilità fra trasporti eccezionali e tenuta delle infrastrutture

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È stato un novembre di fuoco, culminato nella notte del 1° dicembre, quando le commissioni Finanze e Lavoro del Senato hanno messo una toppa al decreto Infrastrutture, varato 25 giorni prima, approvando un tormentato emendamento al decreto Fiscale che congela i limiti di carico per  i veicoli eccezionali introdotti qualche settimana prima, con l’impegno – preso dal ministero per le Infrastrutture e la Mobilità sostenibili – di rivedere entro il prossimo 30 aprile le nuove linee guida in materia.
L’emendamento, presentato dai leghisti Paolo Arrigoni e Simona Pregreffi – e accolto dal Senato (ma anche dal ministero) a notte fonda, dopo un prolungato tira e molla e una serie di modifiche – riporta, dunque, nei trasporti eccezionali sia il limite massimo di 108 tonnellate (anziché 86, come fissato dal precedente decreto), sia la possibilità di dividere il carico in un massino di sei pezzi, chiudendo almeno per ora una questione irrisolta che affonda le sue radici nell’antico contrasto tra l’industria metallurgica pesante e l’impiantistica nazionali, punte di diamante delle nostre esportazioni bisognose di trasferire verso i porti i propri prodotti, e l’esigenza della sicurezza che le nostre infrastrutture riescono a garantire, soprattutto ai carichi più pesanti, sempre meno.

Reazioni durissime

La questione era tornata a infiammarsi a fine ottobre, quando una deputata PD, Martina Nardi, aveva presentato in commissione Trasporti della Camera un emendamento al decreto Infrastrutture che ripristinava – dopo più di vent’anni – l’indivisibilità dei trasporti eccezionali e ne abbassava il limite massimo da 108 a 86 ton. L’iniziativa aveva subito messo in allarme lo schieramento industriale che, all’approvazione del decreto, aveva immediatamente reagito, con una serie di durissime prese di posizione dei presidenti territoriali di Confindustria: il presidente di quella lombarda, Francesco Buzzella, aveva espresso «sconcerto e disapprovazione», chiedendo il ritiro della norma. Quello degli industriali piemontesi, Marco Gay, aveva rincarato la dose: la misura «condizionerà l’avanzamento del Piano di ripresa, ritardando le grandi opere». Per il suo omologo del Veneto, Enrico Carraro, era «una norma sbagliata che danneggia l’economia. Per il presidente di Confindustria Liguria, Giovanni Mondini, nelle modifiche non proveniva alcun benefico, dal momento che «ogni carico speciale già oggi è soggetto a specifiche autorizzazioni».
Era sceso in campo lo stesso presidente di Confindustria, Paolo Bonomi, il quale, però – a differenza dei presidenti territoriali – aveva usato toni più cauti, per tenersi aperto uno spiraglio: «È stato uno scivolone, purtroppo doloroso; speriamo venga posto un rimedio al più presto, perché francamente di problemi già l’industria italiana ne ha tanti, andarseli anche a cercare credo che non sia la strada giusta». Nessun attacco diretto al governo, dunque, anzi il ridimensionamento a incidente di percorso, accompagnato da un invito a porre rimedio al più presto. E subito gli aveva fatto sponda il segretario della Lega, Matteo Salvini, annunciando l’iniziativa dei senatori Arrigoni e Pregreffi: «Un emendamento della Lega al decreto fiscale punta a risolvere il problema dei trasporti eccezionali». Poche parole che suonano come una tirata d’orecchio all’esecutivo.

Storia di un emendamento

Del resto, per ammissione della stessa Nardi, che è anche presidente della commissione Industria di Montecitorio, l’emendamento arrivava «da una proposta del governo», con cui, aveva aggiunto, c’è stato «un problema di comunicazione», perché il testo finale avrebbe dovuto prevedere una deroga in base alla quale «l’abbassamento dei limiti non valeva per i trasporti nelle tratte a 50-60 chilometri dai porti». E aveva concluso assicurando che la misura sarebbe stata «modificata al più presto», anche perché con la norma approvata «si aumenta l’inquinamento», aveva osservato, «perché circoleranno molti più automezzi pesanti», dal momento che un pezzo divisibile andrebbe distribuito in sei unità di carico.
È proprio su queste manifeste incomprensioni tra Parlamento e governo che la protesta degli industriali ha fatto breccia, tanto più che proveniva da alcuni dei settori maggiormente trainanti dell’economia nazionale, a cominciare dalla metalmeccanica avanzata che genera 3 miliardi di fatturato annuo, per il 50 provenienti dalla vendita in tutto il mondo di gigantesche turbine, enormi frese, mega scafi di navi, mastodontiche caldaie eco-compatibili. Ma c’è anche l’impiantistica oversize con le ciclopiche macchine da cantiere richiestissime in Estremo Oriente e le enormi apparecchiature per la cogenerazione che convertono l’energia da fossile in meccanica o elettrica, recuperando calore disperso.

Il problema è la sicurezza

In realtà, però, non è su tali prodotti che si consuma questo ennesimo episodio dello scontro – in atto da anni – fra trasporti eccezionali e sicurezza delle infrastrutture. I pezzi «indivisibili» di maggiore peso e dimensioni non potranno che continuare, comunque, a viaggiare come trasporti eccezionali. Il conflitto, semmai, si concentra sull’impiantistica frazionabile e sui coils, anche perché  l’emendamento approvato prevede anche che il carico possa essere integrato (fino a completamento del peso) soltanto con generi della stessa natura merceologica.Tanto è vero che da sempre gli autotrasportatori «non eccezionali» sono contrari a limiti di peso troppo elevati. Lo stesso presidente di FAI-Conftrasporto, Paolo Uggè, ha colto  in questi giorni l’occasione per ribadire che «bisogna saper coniugare l’interesse economico di qualche filiera ’pesante’ con la sicurezza delle infrastrutture», criticando il «voler perseguire solo la logica dell’utile, scaricando sugli operatori del trasporto le conseguenze», ma già due anni fa, in polemica con Federacciai, era stato più esplicito ricordando che che «il carico massimo ammesso sulle strade del Paese è di 44 tonnellate» e che «un carico oltre questa soglia genera sulle infrastrutture pubbliche un aggravio di usura che ricade su tutta la collettività. Utilizzare carichi da 108 tonnellate consente un consistente risparmio agli industriali dell’acciaio, ma i loro risparmi sono scaricati su tutta la collettività e questo non è giusto e tollerabile».

E dunque l’emendamento contestato da Confindustria nasceva dalla consapevolezza che il patrimonio infrastrutturale italiano è notoriamente vetusto e logorato dall’uso, che ponti, viadotti, cavalcavi sono stati calcolati per carichi ampiamente inferiori a quelli che attualmente vi transitano e che, dunque, il rischio di un crollo per sovraccarico è sempre dietro l’angolo. La nuova norma nasce, infatti, dalle proposte della commissione ministeriale ispettiva istituita nel 2016 dopo il crollo del ponte di Annone, che aveva raccomandato «un intervento normativo, eventualmente anche a carattere di urgenza, volto a riportare la massa massima consentita dalle attuali 108 ton a valori più congrui e coerenti con i carichi di progetto e la reale capacità delle strutture, oppure alle originarie 86 ton, e con la condizione che almeno un pezzo trasportato imponga l’impiego di un veicolo eccezionale».
Ma il solo fatto che da quella proposta siano passati cinque anni e che sia stata approvata con una sorta di blitz da cui il governo ha cercato di tenersi fuori facendo presentare l’emendamento a una deputata della maggioranza, dimostra la delicatezza del problema e la crudezza dello scontro tra il «partito degli eccezionali», pronto a gridare al disastro economico di fronte a ogni limitazione, e il «partito della sicurezza», impegnato a sventolare il rischio di vittime ad ogni deroga.

Un piano per gli eccezionali

 «Non si può legiferare su certi temi improvvisando, senza sentire le imprese e tutte le voci della maggioranza», ha sottolineato il responsabile Trasporti della Lega, Edoardo Rixi, chiedendo una rapida correzione di quello che ha definito un «errore». Ma ha anche aggiunto che «questa correzione non risolve il problema dei trasporti eccezionali che vanno affrontati con una logica di programmazione e con un tavolo cui partecipino le imprese».
È più o meno quello che recita il nuovo emendamento: sarà il ministero a definire ed emanare le nuove linee guida in materia, finalizzate ad «assicurare l’omogeneità della classificazione e gestione del rischio, nonché della valutazione della compatibilità dei trasporti effettuati in condizioni di eccezionalità con la conservazione delle sovrastrutture stradali, con la stabilità dei manufatti e con la sicurezza della circolazione». Il tutto, «previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici e sentita l’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali e previa intesa in sede di Conferenza unificata». Non si parla degli operatori, ma Sandra Forzoni, direttore generale della Federazione italiana trasporti eccezionali (Fite) aderente a Confetra,  ha già messo le mani avanti. Nel definire «un traguardo indubbiamente positivo che segna l’inizio di un percorso di riforme», Forzoni ha aggiunto che «grazie anche alla previsione dell’apertura di un tavolo tecnico si potrà armonizzare l’attuale situazione infrastrutturale nazionale con le caratteristiche e le esigenze del transito eccezionale».

Corridoi verificati

In altre parole, non c’è bisogno di rimettere in sesto tutte le infrastrutture nazionali. La stessa Forzoni da tempo si batte per  un programma in tre punti: sportello unico per le richieste di autorizzazioni, piattaforma con le stesse regole per tutti gli enti interessati e, soprattutto, corridoi in sicurezza riservati ai veicoli eccezionali. Il modello è quello della Francia, dove gli itinerari per i trasporti eccezionali sono pochi, ma ben definiti e accuratamente manutenuti per reggere i carichi, tanto più che le direttrici italiane del traffico internazionale sono limitate a pochi porti attrezzati alla bisogna: Genova e Livorno sul Tirreno e Ravenna e Marghera sull’Adriatico.
Nel resoconto della commissione Trasporti della Camera di quel mercoledì 20 ottobre in cui fu presentato l’emendamento di Martina Nardi, ne compare subito dopo uno, proposto dai deputati Luciano Nobili e Silvia Fregolent, di Italia Viva (e dunque anch’essi di maggioranza), per la creazione di una commissione incaricata di individuare «gli itinerari di interesse nazionale abilitati al trasporto eccezionale». Non è stato approvato, così come la seconda parte dell’emendamento Nardi, quella che derogava dalla norma all’interno di «un determinato raggio chilometrico di estensione e collegano tra loro i luoghi di estrazione della materia prima, i poli produttivi, i siti industriali, i porti, gli interporti ed i terminal logistici presenti».

Effettivamente, tra governo e maggioranza c’è proprio un problema di comunicazione.

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