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Governo e associazioni. In attesa del primo appuntamento

I governi degli ultimi anni hanno incontrato le rappresentanze del trasporto merci su strada in media dopo quasi due mesi dall’insediamento. Sono in sospeso molti degli impegni del protocollo firmato a marzo a cominciare dalla questione delle accise, mentre riprendono quota i problemi dell’ART e dei valichi. Ma forse il dialogo è già partito sottotraccia, con canali ufficiosi

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C’è una trasmissione televisiva – un reality – intitolato «Primo appuntamento» in cui gli autori fanno incontrare, a cena, due persone di sesso (o di orientamento sessuale) diverso, perché si conoscano e, se tutto va bene, tornino a incontrarsi. È, più o meno, ciò che accade tra ministro dei Trasporti e rappresentanze dell’autotrasporto a ogni cambio di governo. Con due differenze: l’incontro non avviene a cena e, soprattutto, anziché andare in onda il martedì sera, bisogna aspettare mesi – nessuno sa quanti – prima di sedersi intorno a un tavolo, guardarsi in faccia e cominciare a conoscersi.

L’attesa media degli ultimi 15 anni è di 53,6 giorni – quasi due mesi – tra i 17 del velocissimo Maurizio Lupi, nel 2013, e gli 82 di Graziano Delrio, nel 2015. Se il nuovo titolare del dicastero, Matteo Salvini (o il suo delegato) dovesse rispettare la media, l’incontro si svolgerebbe il 14 dicembre. Ma dato che il governo in questo periodo è impegnato nella difficile partita di sfornare una legge di Bilancio per il 2023 prudente ma espansiva, che non comprometta i conti dello Stato ma soccorra le famiglie, attenui gli alti costi dell’energia, introduca il cuneo fiscale, ampli la flat tax, sostenga la natalità, rilanci il made in Italy e vari una tregua fiscale, appare difficile che possa dedicare tempo al bistrattato settore dell’autotrasporto, anche se la legge di Bilancio non potrà non contenere misure che lo riguardano.

Dunque, le associazioni di settore premono per un incontro con il governo prima che la partita della legge che decide le spese per il 2023 vada troppo avanti. Per questo Unatras, in mancanza di segnali da Porta Pia, venerdì 11 novembre – un mese dopo l’insediamento di Salvini – ha scritto al nuovo ministro per chiedere un incontro in tempi brevi, mettendo il dito sulla piaga dei costi del gasolio. Alla quale, però, il governo ha dato una prima risposta (a riprova del fatto che, anche in assenza di incontri ufficiali, sottotraccia ci si consulta), ripristinando lo sconto dell’accisa per i veicoli adibiti al trasporto merci al di sopra delle 7,5 ton, a partire dal 1° dicembre, quando lo sconto generalizzato scenderà da 25 a 15 centesimi. Ma è uno sconto parziale, pari alla differenza tra l’accisa generale sul gasolio (467,40 euro per mille litri) e quella sul gasolio commerciale (403,22 euro per mille litri): in pratica uno sconto di 6,41 centesimi al litro. La questione, insomma, è come al solito intricata; per capirla bisogna fare un passo indietro, come nei romanzi d’appendice.

I rimborsi dell’accisa

Dal 23 marzo 2022 il governo per fronteggiare il caro carburanti ha ridotto l’accisa di 25 centesimi per tutti, togliendo contemporaneamente all’autotrasporto (in conto terzi e in conto proprio) il beneficio strutturale della riduzione di 21 centesimi riconosciuto ai veicoli Euro 5 ed Euro 6. Di fatto una penalizzazione per le imprese più attente ai temi ambientali che avevano investito in veicoli più moderni e puliti, anche incoraggiati dal vantaggio fiscale sul carburante.

Per mantenere questa differenza a vantaggio dei vettori più virtuosi, il precedente governo aveva stanziato i famosi 500 milioni attraverso il credito d’imposta del 28% andato in porto da poche settimane. La somma stanziata, di fatto, è servita a coprire i mancati rimborsi del secondo e del terzo trimestre 2022 (abbiamo visto che per quasi tutto il primo era ancora in vigore lo sconto strutturale), ma ora che il governo di Giorgia Meloni ha prorogato il taglio generalizzato fino al 31 dicembre, resta scoperto il quarto trimestre. Cosa ha intenzione di fare il nuovo governo?

Si era anche parlato di un finanziamento complessivo di un miliardo – in pratica altri 500 milioni – ma poi ne sono arrivati solo 85, con il decreto legge «Aiuti ter» (varato dal precedente governo), di cui peraltro non sono stati definiti i criteri di ripartizione – salvo che spetterà solo ai veicoli al di sopra delle 7,5 ton di imprese «con sede legale o stabile organizzazione in Italia» –  e, dunque, la somma non è ancora fruibile dalle aziende. Per questo Unatras chiede nella sua lettera «una adeguata modifica legislativa nel più breve tempo possibile».

La risposta, di certo, non sembra poter essere (soltanto) il ripristino dello sconto per l’autotrasporto, anche se la misura è stata accolta «con favore» da Anita, che l’aveva richiesta da tempo, perché la strategia finora adottata ha avuto «effetti negativi per le imprese di autotrasporto senza produrre un beneficio significativo in termini di contenimento del costo del carburante epenalizzando in modo particolare le imprese che utilizzano mezzi meno inquinanti». Anche la presidente di Assotir, Anna Vita Manigrasso, ha osservato che alcune misure decise dal governo «sembrano andare nel senso da noi auspicato, del ripristino del cosiddetto gasolio commerciale», ma l’associazione sembra condividere solo la direzione di marcia, dal momento che il segretario generale, Claudio Donati, ha ricordato che «il gasolio costa pur sempre 15 centesimi in più al litro e la compensazione riservata al gasolio commerciale sarà di circa 12 centesimi. Per cui, anche il ripristino del gasolio commerciale, al momento, si risolve in un lieve aumento dell’incidenza delle accise sul prezzo finale del gasolio (circa 3 centesimi in più)».

L’ART ci prova e ci riprova

Ma non è solo questione di prezzo del gasolio, anche se è quella che più tocca le tasche dell’autotrasporto. Anche l’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) richiede un esborso per il contributo che si ostina a chiedere ogni anno, come un fastidioso tafano, su un settore – l’autotrasporto – liberalizzato e quindi non sottoposto a regolazione. Unatras, anche se non chiede esplicitamente l’esclusione dal contributo, pone il tema all’attenzione del nuovo governo, anche perché quello precedente aveva assunto questo impegno con il protocollo d’intesa del marzo scorso.

Ma, quasi presentando l’odore di un intervento governativo, l’Autorità ha messo le mani avanti, avviando un’indagine conoscitiva sui settori dell’autotrasporto e della logistica, motivata con una serie di argomenti a sostegno della legittimità della sua richiesta di contributo. Al momento, grazie a un blitz anonimo che inserì la norma nel decreto per la ricostruzione del Ponte Morandi, sono obbligate a contribuire all’ART le imprese di autotrasporto che operano con soggetti sottoposti a regolazione (porti, hub ferroviari, interporti, ecc) e il contributo va calcolato solo sulla quota di tali attività rispetto al fatturato d’impresa. Ora l’Autorità sembra voler coprire con il proprio ombrello tutto il settore, con una serie di argomentazioni tra cui, paradossalmente, cita anche i valori di riferimento dei costi d’esercizio delle imprese di autotrasporto pubblicati dal ministero dei Trasporti, a sostegno della propria competenza sul settore in quanto tariffato. Una presa in giro di fronte a un comparto che da anni vorrebbe essere «tariffato» dai «costi minimi della sicurezza», mentre le tabelle ministeriali sono definite ufficialmente «indicative», ma non «cogenti».

Valichi più stretti

IL MENU DEL PRIMO APPUNTAMENTO

E c’è un terzo nodo che si staglia all’orizzonte: le crescenti difficoltà che le merci italiane incontrano nell’attraversare le Alpi. Nel 2019, dei 223 milioni di tonnellate di merci italiane che hanno valicato la catena montuosa, il 70% (più di 156 milioni di tonnellate) ha raggiunto i ricchi mercati dell’Europa centro-occidentale su un camion. Ciò vuol dire che sono stati 11 milioni e mezzo i veicoli pesanti superiori alle 3,5 ton ad attraversare i 15 maggiori valichi o tunnel stradali transalpini, in attesa che la realizzazione del Terzo valico a ovest e del traforo del Brennero a est consentano di aumentare la quota di trasporto merci su ferro. La parte del leone la fanno, come è noto, il Brennero, il Fréjus e il Monte Bianco rispettivamente con 2,5 milioni, 800 mila e 600 mila mezzi pesanti.

Alle continue – e illegittime per la stessa Europa – limitazioni unilaterali decise da Vienna e Innsbruck sul Brennero, si aggiungono oggi i lavori per la ristrutturazione del ponte Lueg, con interventi che potrebbero protrarsi fino al 2025 e la minaccia di una chiusura programmata del Monte Bianco, addirittura per tre mesi l’anno per i prossimi 18 anni. Durissima la protesta delle associazioni. Anita ha definito «inaccettabile pensare di bloccare il traffico delle merci da e verso l’Italia per un periodo così lungo», ha paventato «il rischio di isolamento» del Paese dal resto dell’Europa e ha chiesto a governo e Commissione europea di considerare questa «una priorità», ricercando «ogni possibile soluzione alternativa e funzionale a garantire il regolare transito delle merci nel valico alpino». Parole analoghe sono state usate dal presidente di Conftrasporto-Confcommercio, Paolo Uggè, che si è rivolto direttamente al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini: «Il tema va affrontato rapidissimamente a livello comunitario perché, con i valichi al ralenti, le imprese non saranno in grado di programmare la consegna delle merci».

Anita e Fai (aderente a Conftrasporto), insieme a Fedit, hanno del resto preso un’iniziativa che ha del clamoroso, depositando lo scorso 17 novembre un ricorso presso la Corte europea di Giustizia di Lussemburgo, contro la Commissione europea sulle limitazioni al transito stradale di mezzi pesanti imposte dal Tirolo, senza che i vertici di Bruxelles siano intervenuti se non con qualche lettera di richiamo.

Al primo appuntamento tra governo e associazioni, insomma, il tema dei valichi sarà senz’altro tra i primi punti all’ordine del giorno. Ma che ci sia un dialogo sottotraccia, anche in assenza di incontri formali, lo dimostra il fatto che il giorno dopo la denuncia delle tre associazioni, il vice ministro di Salvini, Edoardo Rixi, ha annunciato di voler incontrare il suo omologo austriaco, dopo un lungo incontro con i presidenti delle province autonome di Bolzano e di Trento, Arno Kompatscher e Maurizio Fugatti, per parlare degli inevitabili intasamenti che si creeranno sulla A22, dove già alla fine di ottobre si è verificata una coda di 100 chilometri a causa di un blocco dei tir deciso per una festività.

Forse per qualcuno, quel primo appuntamento non sarà proprio il primo.

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