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La seconda ondata (di bagni chiusi)

Questa volta il governo si è ricordato di tenere aperti dopo le 18 i punti di ristoro per i camionisti, ma soltanto su autostrade (e poi anche su interporti e porti). Resta esclusa la grande viabilità (che spesso colma un vuoto infrastrutturale) e le aree esclusive per i tir. Intanto continua a slittare la pubblicazione dei costi di riferimento

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Che fatica! Eppure il lockdown di primavera avrebbe dovuto insegnare qualcosa. Per esempio, che gli «eroi dell’autotrasporto» non sono supereroi: hanno bisogno anche loro di mangiare; che i «santi della strada» non riescono a fare il miracolo di non puzzare se non si lavano; che gli «angeli del tir» non sono asessuati: hanno bisogno di gabinetti. E se nei semi-lockdown della seconda ondata del contagio, il governo si è ricordato di tenere aperti gli autogrill sulle autostrade, si è dimenticato che le merci non viaggiano solo su quei 6.943 chilometri e che la rete Anas – definita non a caso «di interesse nazionale» – ne misura più del triplo: 23.335 chilometri, senza contare i 135.691 di strade regionali e provinciali.

NON SOLO AUTOSTRADE

Perché molto spesso la rete Anas sostituisce quella autostradale: basta un’occhiata alla cartina per accorgersi dei buchi: l’autostrada tirrenica s’interrompe fra Civitavecchia e Rosignano, sostituita dall’Aurelia; quella adriatica a Rimini rientra verso Bologna, lasciando alla Romea il collegamento con Venezia; l’attraversamento trasversale dell’Appennino, da Orte a Cesena, è percorribile con la E45, che è stata europea, ma non autostrada; la A14 ignora il Salento e si ferma alle sue porte, a Taranto, lasciando alla E55 – altra strada europea non autostradale – l’ingrato compito di collegare la lontana Svezia (Helsinborg) con il Peloponneso (Kalamàta) tramite il porto di Brindisi. E poi la Domiziana, la Pontina, la Telesina, le strade statali che collegano il medio Tirreno e il tavoliere delle Puglie. E la costa jonica, la Sicilia sudorientale e la Sardegna, tutte prive di autostrade, come il Salento.
«Per dare un’idea», aggiunge il vicepresidente di Conftrasporto, Paolo Uggè, «se con il mio camion percorro la Bari-Matera, la Pontina, la Pedemontana Veneta o la Lecco-Bormio e ho un bisogno fisiologico, cosa faccio? Continuo a farla in mezzo alla strada?». E le donne? «Ci vogliono soprattutto i servizi igienici», ha osservato delicatamente al videocast K44 Risponde, Paola Gobbetti, conducente veronese nel trasporto animali, «in particolare per le donne che hanno qualche difficoltà ad arrangiarsi».
A tutto questo – e nonostante l’esperienza di marzo – il DPCM del 24 ottobre non ha pensato, decretando la chiusura di bar e ristoranti in tutta Italia alle 18, tranne che sulle autostrade, tagliando così fuori le stesse aree che l’Unione europea prevede come luoghi di riposo per camionisti e i Truck center presenti in prossimità dei caselli autostradali. «Siamo all’assurdo», ha reagito a caldo Assotir, mentre il suo esponente Mauro Sarrecchia, ha fatto notare che «non includere nei servizi le aree di parcheggio per camion è assolutamente contraddittorio», in quanto in molti casi si tratta di strutture «costruite per i trasportatori con i contributi finanziari dello Stato, erogati tramite l’Albo dell’autotrasporto, sulla base di un’analisi puntuale delle esigenze logistiche».

MA IN FRANCIA RIAPRONO

Perciò tutte – sottolineato tutte – le associazioni dell’autotrasporto hanno scritto al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, per «rimarcare la nostra perplessità» e chiedere di aggiungere alle autostrade «gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande siti nelle aree di sosta attrezzate per veicoli industriali, nonché nelle aree interportuali e di scambio intermodale, oltre che nelle aree di servizio e rifornimento carburante situate lungo le strade di grande comunicazione e sulle strade statali dei territori non raggiunti dalla rete autostradale».
Quando si usano termini cortesi come «perplessità» si spera in una pronta soddisfazione della richiesta. E perciò è subito partita la caccia – faticosa – al provvedimento in cui inserire la correzione: agganciandolo al decreto-legge sulle emergenze, in conversione ai primi di dicembre, si sarebbero allungati i tempi. Idem per il primo decreto Ristori. L’ideale sarebbe stato il nuovo DPCM. Ma l’unica doccia portata da questo nuovo provvedimento, emanato il 4 novembre, è stata… fredda. Non solo niente estensione delle aperture, ma addirittura – con l’introduzione delle Regioni «rosse» – la chiusura totale (tranne che per le autostrade) anche di giorno di tutti gli esercizi in questione.

In Francia, fin dal 7 novembre, il governo (minacciato di fermo) ha dato ragione agli autotrasportatori d’oltralpe e ha individuato, lungo la rete stradale principale, 250 esercizi (con parcheggi, punti di ristoro, servizi igienici e docce), che potranno aprire solo ai camionisti in possesso di CQC.

NON CI RESTA CHE ASPORTARE

Alla fine la montagna ha partorito il topolino. Un’ordinanza del ministro per la Salute, Roberto Speranza (firmata anche dalla sua collega dei Trasporti, Paola De Micheli), il 17 novembre ha riaperto i punti di ristoro anche di notte nei porti e negli interporti. Ma non lungo le strade principali. In pratica, per chi viaggia resta tutto come prima. E Conftrasporto ha dovuto dire, a denti stretti, di essere «soddisfatta a metà». Anche perché in Francia, fin dal 7 novembre, il governo (minacciato di fermo) ha dato ragione agli autotrasportatori d’oltralpe e ha individuato, lungo la rete stradale principale, 250 esercizi (con parcheggi, punti di ristoro, servizi igienici e docce), che potranno aprire solo ai camionisti in possesso di CQC.
Da noi, adesso, nelle ore notturne, a prescindere dal colore della Regioni, non resta che l’asporto fino alle 22, mentre oltre rimane solo la consegna a domicilio. Qui l’esperienza della scorsa primavera ha fatto la differenza. Ma si tratta dell’esperienza dei ristoratori che si sono attrezzati per fornire quelli che ritengono i loro migliori clienti. Se non tutti possono aprire gabinetti e docce, hanno comunque potuto mettere a loro disposizione la cucina, preparando pasti da consegnare in cabina o alla porta dell’esercizio. Altri si sono organizzati con docce a gettone, altri ancora chiedono la prenotazione per sanificare l’impianto tra una doccia e l’altra. Alcuni ristoranti offrono pacchetti cena più stanza (per usare doccia) a prezzi scontati. Una bella dimostrazione di condivisione veloce e di solidarietà efficace, di fronte a una politica che si muove con passi lenti e mediazioni faticose.

Fatica, appunto. Una parola diventata sempre più d’attualità. L’hanno usata, a pochi giorni di distanza, prima il presidente di Anita, Thomas Baumgartner, per lamentare la limitazione delle aperture notturne alla sola rete autostradale («I conducenti di tir non percorrono solo le autostrade e sono impegnati in attività lunghe e faticose tali da richiedere un adeguato riposo e ristoro»), poi Uggè, dopo la «riapertura» limitata a porti e interporti («Chiedevamo solo di alleviare un disagio palpabile, ma penso che questo concetto fondamentale faccia fatica a passare»).

E I COSTI DI RIFERIMENTO?

Ma la fatica è anche quella di attendere, sollecitare, premere per la ripubblicazione dei costi di riferimento, dopo che la Corte costituzionale (nel marzo 2018) li aveva sdoganati, a condizione che li calcolasse un soggetto terzo: il ministero dei Trasporti, appunto, che un anno fa ne aveva promesso la ripubblicazione entro gennaio 2020 e ne aveva affidato l’elaborazione alla società di consulenza Ernest&Young. Anche l’Antitrust – che come costi della sicurezza li aveva bloccati (nel 2015) in seguito a un’ambigua sentenza dell’Alta Corte di Lussemburgo (nel 2014), poi corretta dalla stessa Corte (nel 2016) – ad aprile li aveva riabilitati, approvando la metodologia impostata dal ministero: quattro voci di base, con una forcella di valori.
Poi si è andati avanti di rinvio in rinvio, giustificato ora dalla difficoltà di ottenere i dati dai costruttori di veicoli, ora dal reperire quelli assicurativi. Finché, quasi a smentire le voci di un freno posto dai committenti all’interno del ministero, la stessa ministra De Micheli, lunedì 2 novembre, aveva annunciato al Consiglio Direttivo di Confartigianato Trasporti – che ne ha subito riferito con una sua nota – «di aver dato specifiche indicazioni al Direttore generale per il trasporto stradale e l’intermodalità di pubblicare già nei prossimi giorni i valori indicativi di riferimento dei costi di esercizio». Ma il 15 del mese, all’appuntamento consueto della pubblicazione sul sito del ministero è comparso ancora una volta quel che resta dei costi di riferimento, cioè il solo incremento del prezzo del gasolio. Che fatica!

A CHI IL MAREBONUS? A LORO

Persino le notizie positive sono accompagnate da un’aura di fatica. È previsto dalla legge di Bilancio un rifinanziamento fino al 2026 di ferrobonus e marebonus, rispettivamente 132 milioni e 130,5 in sei anni. La ministra De Micheli, nell’anticiparlo a Confartigianato Trasporti, ha aggiunto di aver «attivato in maniera informale un negoziato con l’Unione europea per poter spostare sull’autotrasporto i benefici che attualmente sono concentrati sugli operatori ferroviari e marittimi». Perché è singolare che l’incentivo vada a finire a chi trasporta il veicolo a bordo e non a chi – l’autotrasportatore – decide di caricare i camion su treno o su nave, levandoli dalla strada e contribuendo a ridurre traffico e inquinamento.
La ministra De Micheli – sempre parlando al direttivo di Confartigianato Trasporti – ha riconosciuto che «in questi mesi tutta lItaliasi è resa conto di cosa rappresenta l’autotrasporto nel nostro Paese e della fatica quotidiana che sopportate nell’esercitare la vostra attività». Grazie, ma la fatica dell’autotrasporto italiano non è solo quella dietro al volante.

Un’apprezzatissima iniziativa di «Uomini e Trasporti»

L’ASPORTO PER IL TRASPORTO

«È una guida scritta a sei mani». Patrizia Amaducci, vice direttore di Uomini e Trasporti, segue in prima persona la pagina online aperta dalla nostra redazione con l’elenco delle trattorie esterne alla rete autostradale che offrono dopo le 18 servizi di asporto o di consegna in cabina dei pasti per i conducenti. «Perché», spiega, «le informazioni le raccogliamo noi della redazione, i ristoratori che ci chiedono di apparire nell’elenco e i conducenti che ce li segnalano».
Questo spiega perché in pochi giorni la pagina si è già arricchita di oltre 150 fra alberghi, ristoranti, trattorie, agriturismi, pizzerie al taglio e non dislocate un po’ in tutta Italia, ma soprattutto nelle aree più trafficate: Lombardia, Emilia Romagna, dorsale adriatica. Per ogni locale sono indicati – oltre all’indirizzo e a come arrivarci – gli orari del servizio, se è previsto solo l’asporto o anche la consegna in cabina, se c’è un parcheggio per camion, se ci sono docce e servizi igienici (e se sono gratuiti o a pagamento, con relative modalità), numero di telefono e indirizzo online. In alcuni casi – i nomi sono in corsivo – è segnalata la necessità di avere conferma telefonica delle informazioni.
Determinanti, fra le sei mani, le due dei conducenti. È da loro che arriva la maggior parte delle segnalazioni, con le informazioni relative alle possibilità di parcheggio e docce. Queste ultime sono infatti il servizio più gradito. «Il panino possono portarselo appresso, la doccia no», conclude Amaducci.

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