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Gabriella Pedroni. Veloce come la ventola

Il vento è maschio, la ventola è donna. E rimanda ai motori, ai sistemi di raffreddamento. Ma anche alle gare, a quelle che Gabriella Pedroni ha vinto tante volte per diventare campionessa italiana ed europea di cronoscalata. Poi, siccome per andare a gareggiare in giro per il continente si muoveva in camion, ha preso le patenti superiori e, dopo la laurea in ingegneria, ha iniziato a fare l’istruttrice per autisti professionisti. Insomma, ha battuto tanti uomini, ma anche insegnato a tanti uomini. Vincendo, oltre ai trofei, tanto scetticismo

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Come ogni bambina degli anni Ottanta ha avuto una Barbie. Poi, però, ha smesso quasi subito di mandarla al salone di bellezza per farla salire in auto, a gareggiare, a sfidare la velocità. Già a 6-7 anni ha trasferito l’icona della giovane donna seducente, nel mondo (ritenuto) maschile dei motori e della tecnologia. Gabriella Pedroni, 38 anni, un viso fresco da cui non è difficile cogliere in trasparenza la sua forte determinazione, è la prima campionessa italiana e di coppa Europa di cronoscalata. La prima ad abbattere il muro degli uomini in questa disciplina davvero in salita per una lady. «Nessuno vuole essere battuto da una donna» – mi dice subito a conferma della massiccia dose di passione e di coraggio con cui si è quotidianamente nutrita negli ultimi 28 anni. Gli stessi che le hanno consentito di salire da sola su un Tir, lasciare il suo Trentino, girare l’Europa trasportando l’auto da corsa per raggiungere le gare, laurearsi in ingegneria meccanica, diventare esperta di pneumatici e confrontarsi ogni giorno sulla guida sicura con moltissimi autisti professionisti. In aula, però, i tempi del match maschile/femminile sembrano migliorati. «Dopo il primo impatto in cui gli autisti devono valutarmi come persona – ammette sorridendo Gabriella – sento che possono fidarsi di me stessa, che riusciamo a superare i luoghi comuni legati al genere, ma anche qui incontrare una donna che si occupa di autotrasporto è molto raro: quando la incroci percepisci subito una passione immensa».

Campionessa di cronoscalata. Come hai scoperto la velocità?
Da bambina amavo giocare con le bambole, anzi con la Barbie. Poi ho cominciato a farla andare in auto e non vedevo l’ora di far gareggiare la mia Barbie contro quella di mia sorella… A 9 anni mio papà mi ha portato a vedere una gara di go-kart. Mi è piaciuto molto e così siamo tornati a provare: la licenza l’ho ottenuta a 10 anni, l’età minima prevista. Devo dire che l’entourage familiare mi ha sostenuto molto, in particolare mio padre. Mia madre voleva che fossi innanzitutto brava a scuola, che andassi al liceo classico, mentre io ho frequentato l’istituto tecnico di elettrotecnica e mi sono laureata in ingegneria meccanica. La velocità insegna a ragionare velocemente: le gare e la competizione hanno influito molto sul mio percorso di studi e spesso mi sono ritrovata a seguire interessi che nella nostra cultura sono ritenuti maschili. Per esempio, anche all’istituto tecnico ero l’unica ragazza, i miei compagni erano entusiasti della mia passione per le auto e per la velocità, ma i problemi sono venuti dopo, quando la competizione è entrata in una cornice professionale: nessuno vuole essere battuto da una donna.

TRATTI E RITRATTI

Tuta, casco e un ampio sorriso: in assetto da gara Gabriella si presenta così. Poi quando infila il casco, monta in auto, gira la chiave e preme sull’acceleratore, il sorriso svanisce. Ma in genere torna alla fine, dopo la bandiera a scacchi.

La Federazione Internazionale dell’Automobilismo organizza ogni due anni la Master FIA, una sfida a livello mondiale nella specialità delle cronoscalate per la quale vengono selezionati i migliori 20 piloti di ogni nazione. Gabriella, su tre edizioni, è sempre stata scelta perché era forte e lo dimostrava poi con i titoli che riusciva a conquistare. Questa è la foto di gruppo del Team Italia all’ultima Master FIA. Ovviamente, tra venti partecipanti compare soltanto una donna.

Questa foto risale all’anno scorso, quando Gabriella conquistò la sua ultima medaglia d’oro aggiudicandosi il campionato italiano di Gruppo N assoluto.


Immagino. Come hai fatto ad abbattere i pregiudizi? Anzi, ci sei riuscita?
I pregiudizi sono stati tantissimi, specialmente quando ho iniziato. La gente semplicemente non era preparata ad ammettere che una ragazzina vincesse e battesse i maschi. Sono stata messa alla prova dal sistema. Mi hanno sempre controllato l’auto più volte. Pensi che in coppa Europa hanno fatto la verifica della mia auto quattro volte. E poi nelle prime gare se sei un maschio e vai male dicono: “deve crescere”. Con una ragazza subito arrivano alle conclusioni: “non è fatta per questo sport”. Anche la gente, i ragazzi, all’inizio sembrano apprezzare, ma non è così. Io sono fortunata perché condivido con il mio fidanzato storico la passione della corsa in auto. Lui mi sprona, mi sta vicino, ma questo comportamento non è scontato. Il periodo più triste, fatto di molti scontri psicologici, è stato, come dicevo, l’inizio: l’automobilismo non era uno sport per donne e ricordo ancora un episodio accaduto durante una gara al sud. Vinsi il terzo posto, davanti a un ragazzo meridionale, il cui padre non riusciva a credere che suo figlio fosse stato battuto da una ragazza. Questa scena si è poi ripetuta altre volte negli anni, anche se credo che in Italia ci sia più diffidenza, in altri Paesi europei sono più aperti.

Lei comunque ha abbattuto lo stereotipo. Ha vinto moltissimo: tre coppe Europa (2014-16-17) e due nazionali (2016-18). Come si è sentita?
Sì, sono stata la prima in Italia ad abbattere il muro delle donne nella cronoscalata. Il Coni mi ha anche premiata nel 2016 perché ho vinto sia in Europa che in nazionale. Ma comunque anche ora la prova c’è sempre. La questione è culturale, il luogo comune per cui una donna non va d’accordo con il volante è sempre presente, mi sento spesso in dovere di dimostrare che non è così. Che poi se si guardano i dati reali scopriamo che le cose stanno diversamente. Le donne ottengono performance migliori degli uomini alla guida. Sono più attente e prudenti. Lo dicono i dati, le assicurazioni abbassano i premi per il pubblico femminile.

Arriviamo alla guida sicura. Oggi lei si occupa di formazione per autisti professionisti. Che impressione ha di questo mondo?
Da 13 anni guido un camion che mi è servito per raggiungere molti punti dell’Europa dove gareggiavo con la mia macchina. Appena è stato possibile ho preso la patente C/E e la CQC per rendermi indipendente, ho sempre preferito fare tutto da sola. Con il truck ho girato l’Europa, sono arrivata ovunque e mi piaceva molto fare questi lunghi viaggi con me stessa. La laurea in ingegneria meccanica mi ha portato a occuparmi di pneumatici e di sicurezza stradale. Per questo mi hanno chiesto di fare formazione in aula grazie alla mia duplice esperienza di autista ed esperto.

Cosa dicono gli autisti quando una donna spiega loro i segreti della guida?
Ripeto, la prova c’è sempre. Prima devono conoscermi e valutarmi come persona, ma devo ammettere che, dopo il primo impatto, sentono che possono fidarsi e così riusciamo a superare i luoghi comuni legati al genere. Sicuramente quella degli autisti professionisti è una categoria che non può essere più banalmente appiattita sullo stereotipo del camionista. Se lo facessimo sottovaluteremmo i vari aspetti che ogni giorno devono affrontare. Sono autisti di professione: devono fare corsi, aggiornamenti, imparare la sicurezza, ma anche l’aspetto normativo-legislativo. Inizialmente loro non sanno bene cosa io voglia trasferirgli e quindi sono un po’ sbalorditi nel confrontarsi con una ragazza. In realtà, poi si parla dell’esperienza comune, delle problematiche che tutti i giorni incontriamo sulla strada e alla fine si rendono conto che chi gli sta davanti non è il classico formatore, ma è una persona pari a loro che le cose le subisce giorno dopo giorno con l’esperienza reale. Qui cominciano a fidarsi e troviamo un punto comune. Lo scorso weekend ho fatto un corso in un’azienda dove c’era anche una donna. È la vicepresidente di un consorzio di autotrasportatori trentino. Ho subito avuto l’impressione che fosse molto rispettata, considerata molto brava da tutti. Insomma, è apparsa tangibile la sua grande passione per questo mestiere.

TRATTI E RITRATTI

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Un tempo sulle librerie di casa Pedroni c’erano soprammobili. Oggi sono spariti per lasciare spazio ai trofei. Questi sono i tre più importanti vinti da Gabriella: tre Coppe Europa (2014-2016-2017) e due campionati italiani (2016-2018).

Questa vettura ha gareggiato nella Formula 3000, una categoria sorta nel 1985 per prendere il posto della Formula 2. Gabriella la definisce la «macchina più importante che ho guidato». Neanche a dirlo, ci ha anche vinto in una gara in Croazia. E se lo ricorda bene perché era la prima gara assoluta internazionale a cui partecipava.


Appunto. Le donne potrebbero essere una risorsa per affrontare la carenza di personale nel settore. Cosa si potrebbe fare secondo te per convincerle a fare questo mestiere?
Intanto far capire che guidare un mezzo pesante non è assolutamente difficoltoso. Ormai i camion sono veicoli altamente tecnologici e non serve una grande forza. Se escludiamo la parte del carico/scarico, che comunque, nella maggior parte dei casi, viene predisposta da altri, mettersi al volante di un camion richiede più testa che muscoli. Certo, ci vuole passione per la guida, perché si tratta di stare tante ore sulla strada. Ma, secondo me, molte donne non conoscono questo ambiente di lavoro; si dovrebbe puntare sulla conoscenza, far capire che per una donna è possibile. Anche le aziende potrebbero promuovere questa visione nei loro annunci di lavoro. Sempre che anche loro non abbiano dei pregiudizi…

Se avessi una figlia come le parleresti di questo mondo?
Non le metterei limiti. Vorrei capire se ha veramente la passione per la guida. Se l’avesse, per me sarebbe bellissimo: sia se guidasse macchine da corsa, sia che volesse diventare un’autotrasportatrice. Si tratta di un lavoro come altri, un lavoro molto impegnativo dove devi conoscere molte cose: le lingue, la legge, le regole della strada. Bisogna capire fin dall’inizio che c’è molto sacrificio, molte ore alla guida lontano da casa, ma sarei la prima a spronarla verso un ambiente così libero. So anche che se rimanesse tutto così, a livello culturale per lei sarebbe dura come lo è stato per me. Affrontare da sola il primo passo è la parte più difficile. Scalare il muro è ancora molto faticoso, ma è importante non farsi abbattere e portare avanti le proprie idee e passioni. Nessuno vuole essere battuto da una donna, ma se vinci, poi ti rispettano.

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