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EDITORIALE | Ci vuole un tavolo!

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I soldi non sono mai abbastanza. A maggior ragione quando si deve far fronte a lunghi mesi di trasporti effettuati senza avere certezza di coprire i costi. Perché quanto preventivato oggi, domani non avrà più valore. E se non si riesce a riparametrare la tariffa in modo equo, il trasporto spesso lo si fa ugualmente: perché magari c’è una relazione consolidata con il committente o perché un domani si spera che questi ne terrà conto in un qualche modo. E poi – lo dico con un pizzico di retorica – se nell’ultimo anno tutti i trasportatori che dovevano movimentare un quantitativo di merce per una tariffa inferiore a quella preventivata si fossero rifiutati, il paese oggi non dico che sarebbe fermo, ma quanto meno rallentato.

Ben vengano, quindi, gli 860 milioni circa messi sul piatto dal governo per dare ossigeno a una categoria in difficoltà. A patto di non affidare a questa misura una funzione riorganizzativa, ma di considerarla soltanto come il conto della farmacia. Se si vuole investire per creare un autotrasporto migliore ci vuole ben altro.

Non soldi, ma maggiore determinazione nel comprendere che il ruolo dell’autotrasporto non va a beneficio soltanto delle aziende attive nel settore, ma della collettività. Se così non fosse – come spiega la presidente della Commissione Lavoro della Camera, Romina Mura a p. 40 – anche il problema della carenza di autisti non avrebbe più senso: è lo strabismo tra l’avere una lacuna da una parte e la necessità di dover confidare su chi muove le merci dall’altra, a generare il problema. Ed è soltanto se la carenza è letta come un’emergenza collettiva che si potrà sperare di trovare una soluzione.

Certo, sento già nelle orecchie la replica piccata di tanti trasportatori che della coscienza della propria funzione economica hanno già riempito anima e camion. E hanno ragione. Ma li invito a porre l’attenzione su due aspetti:

  • il primo è che, in questo mercato, si trovano in una compagnia non proprio edificante. In quanto diversi trasportatori, più che alla funzione che svolgono, sono interessati ad acquistare gasolio di contrabbando (altrimenti non si capirebbe quale sia la domanda di quell’offerta, inquisita dalla Guardia di Finanza quasi settimanalmente), a finanziarsi riciclando denaro di illecita provenienza, a far quadrare i conti sulle spalle dei dipendenti, lasciandoli in nero o obbligandoli alla “calamita selvaggia”. E una tale presenza diventa per forza un danno sociale, perché agli ammanchi provocati all’erario, aggiunge una dose massiccia di concorrenza sleale. Che va a scapito proprio della stragrande maggioranza degli onesti;
  • il secondo è che, in questo mercato, esistono tanti committenti per bene e altrettanti sordi, interessati esclusivamente a far quadrare i propri bilanci. Non delinquono, per carità, ma se lì fuori c’è un camion che attende da più di quattro ore, fanno spallucce e, nella migliore delle ipotesi, pagano un indennizzo. Come se quei miseri 80 euro potessero ripagare la mancata produttività di un camion per più di mezza giornata. Come se 80 euro fossero sufficienti a risarcire i danni provocati dalla disorganizzazione. Che è giustificabile un giorno, magari una settimana, ma non in eterno.

Chi la pensa così, da qualunque parte del tavolo stia, non ha idea di cosa sia il sistema paese, il benessere e la qualità di vivere e lavorare in modo collettivo. E mi auguro che quel Tavolo delle regole voluto dalla viceministra Teresa Bellanova serva almeno a questo: a far comprendere anche ai più sordi che quando un camion è fermo si sta procurando un danno non solo all’autista bloccato in cabina o all’azienda che ne attende il ritorno, ma all’intero paese.

Sono così convinto di questo che ho provato commozione vedendo Marina Ovsyannikova, dipendente del Primo Canale Tv russo che, durante il notiziario del 14 marzo, ha mostrato un cartello contro la guerra. E non tanto per il coraggio dimostrato, non tanto per l’essere riuscita a manifestare il proprio pensiero pacifista a tutto il mondo, quanto perché, dopo l’accaduto, è rimasta a Mosca. Sarebbe potuta andare in uno dei tanti paesi che le hanno offerto asilo, ma lei ha risposto candidamente: «Se tutte le persone ragionevoli andassero via, che ne sarebbe del paese?».

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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