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EDITORIALE | Se la decarbonizzazione fa aumentare i prezzi del gasolio

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Decarbonizzare il trasporto è un obiettivo imprescindibile.
Ma finora porselo e calendarizzarlo non ci ha fatto percorrere un centimetro lungo la strada della transizione energetica, visto che i veicoli elettrici, almeno nel trasporto pesante, sono poco meno di una chimera, ma piuttosto ha indirettamente contribuito a far innalzare il prezzo del gasolio e a spendere soldi pubblici per calmierarlo. Come e perché è accaduto tutto questo?

Partiamo dalla prima questione: perché manca un mercato dei camion elettrici? Banalmente perché, se è vero che tutti ripetono che da qui a 15-20 anni saranno messi al bando i motori endotermici e che quindi bisognerà utilizzarne di altri, oggi un camion equipaggiato con propulsore elettrico costa circa 350 mila euro. Più di tre volte tanto rispetto a un corrispondente diesel. La domanda allora è: quando un’azienda di autotrasporto italiana, messa in difficoltà anche dalla semplice cancellazione fino al dicembre scorso del rimborso delle accise, si potrà permettere un camion così costoso? Come sarà possibile che un parco veicolare, incapace per tutto l’ultimo decennio di scendere al di sotto dei 14 anni di vita media, adesso imbocchi la salatissima via dell’elettromobilità?

Il problema non è solo italiano. A qualunque latitudine si percepisce la stessa fatica, soltanto che altrove c’è uno Stato che aiuta: in Spagna, per esempio, concede un contributo che arriva a 190 mila euro, in Germania finanzia l’80% della differenza di prezzo tra un mezzo elettrico e un corrispondente diesel. In Italia ha stanziato finora spiccioli e nel 2023 li renderà ancora più esigui. Non stupisce, quindi, che da noi il mercato dei camion elettrici sopra le 16 ton si attestasse nel 2021 a 16 unità e nel 2022 a 19, mentre in Europa viaggiava nel 2021 sui 350 mezzi e nel 2022 ha spiccato il volo. Prova ne sia che un singolo costruttore – Scania – ha raccolto 640 ordini dei suoi trattori elettrici, per la grandissima parte nel nostro continente.

Passiamo all’altra questione: perché il gasolio aumenta? Banalmente perché se la costante narrazione quotidiana prospetta la fine dei carburanti fossili da qui a qualche decennio, è quanto mai normale che in tanti vadano a investire in qualcosa di diverso rispetto all’attività di raffinazione del petrolio in gasolio. Tant’è che in meno di dieci di anni hanno chiuso i battenti in Europa una trentina di raffinerie, di cui sei in Italia. Il risultato è stato tristemente conseguente: a fronte di una domanda di carburante rimasta costante, la diminuzione dell’offerta ha fatto salire il prezzo. E questa è anche la ragione del perché, ormai, il gasolio costi stabilmente più della benzina.

Poi, su questo bagnato è caduta la pioggia della guerra, che ha indotto a porre sotto embargo prima il petrolio russo e, dal 5 febbraio, i prodotti raffinati, gasolio compreso. Che non erano poca cosa, visto che ancora a dicembre da Mosca arrivavano in Europa 663 mila barili di gasolio al giorno. Quindi, a conti fatti è come se fosse sparito dal mercato un fiume di carburante corrispondente al 27% del fabbisogno. Per correre ai ripari, già nei mesi precedenti all’embargo, abbiamo cercato di accumulare scorte e di bussare alle porte di altri venditori (Medio Oriente, Cina, India, ecc.), acquistando però un gasolio comunque più caro. Nel corso del 2022, per frenare l’ondata di rialzi che aveva spinto il gasolio fino a 2,2 euro al litro, lo Stato italiano ha dovuto mettere mano al portafoglio, spendendo la bellezza di dieci miliardi di euro in dieci mesi per alleggerire di qualche decina di centesimi il peso dell’accisa.

Altro che i 20-30 milioni all’anno investiti nel ricambio veicolare! Certo, si tratta di due misure diverse, perché questi ultimi milioni vanno a beneficio soltanto del trasporto merci su gomma, mentre dei dieci miliardi usufruisce la totalità dei cittadini. Ma il distinguo in ogni caso non elimina un paradosso: tra i cittadini sovvenzionati da questa dispendiosa misura a pioggia c’erano pure automobilisti e camionisti che vanno in giro con veicoli di trent’anni.
Esattamente coloro che la tanto vagheggiata decarbonizzazione vorrebbe far sparire e che, invece, continuiamo a sostenere.
E non è finita. Perché ancora oggi, visto che la spirale rialzista non è completamente esaurita, in molti pronosticano che, fino a quando non avremo compensato il descritto calo dell’offerta di gasolio, il suo prezzo potrebbe continuare a salire. A quel punto otterremo il miracolo che anche i costi dell’elettrico in confronto sembreranno meno cari. Che sia una strategia?

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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