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EDITORIALE | Il vero peso dei pallet

C'è una nuova legge che regolamenta l'interscambio pallet. Difficile dire se sarà meglio di quella precedente, che sulla carta sollevava l'autotrasportatore dalla gestione dei bancali, ma nella pratica accadeva esattamente l'opposto. Ci siamo messi nei panni di un autista per capire come vanno le cose e quanti gravami è costretto a sopportare

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Io non so se la nuova legge di regolamentazione dell’interscambio dei pallet, inserita nella conversione del decreto Ucraina bis, sia buona o cattiva. Anche perché per giudicarla serve capire come impatterà sulla realtà. So per certo che il modo con cui è stata concepita – senza condivisione delle associazioni dell’autotrasporto – suscita diffidenza in chi è rimasto tagliato fuori. Anche perché – come ha commentato qualcuno – «se le norme andavano a favore dell’autotrasporto perché non coinvolgerlo? Evidentemente non era così…».
Solo supposizioni. Perché l’altra cosa di cui sono invece certo è che la legge n.127 del 2010 – quella che gli stessi rappresentanti esclusi a questo punto difendono con i denti – sulla carta era ineccepibile. Poi però alla prova dei fatti si è frantumata come un vecchio bancale sotto un carico gravoso. Tanto che oggi qualsiasi autotrasportatore si dice convinto che per lavorare sereni ci sono due modi, peraltro esclusivi quando si esce fuori dall’Italia: il pallet a perdere e il pooling. Tutto il resto è una grande fregatura, che costa tempo, fatica e soldi. Perché la legge dirà pure che il trasportatore non ha obblighi né responsabilità nella gestione dei pallet, ma all’atto pratico le cose vanno in direzione opposta. Proviamo per un attimo a metterci nei suoi panni per capire in che senso.

Immaginate allora un vettore – restiamo sul generico – che esegue un trasporto. «Mi raccomando», gli grida il committente mentre lo vede andar via con il camion, «ai bancali ci tengo. Con quello che costano. Riportameli tali e quali».
Il trasportatore annuisce. D’altra parte, annuisce sempre quando il committente chiede. Ed ecco perché qualche giorno successivo alla consegna, torna dal destinatario per riavere indietro i pallet. Bussa alla porta e quando dall’altra parte aprono avanza la richiesta: «Scusa, quei bancali che ti ho lasciato la volta scorsa, dove posso recuperarli?». A quel punto il mondo rallenta. È un po’ come aver chiesto una ricevuta fiscale in un film (Qualunquemente) di Antonio Albanese. O forse – mi si perdoni l’accostamento – come vedere un’azione sempre più rarefatta in un film di Sergio Leone: molto lentamente, infatti, il braccio del destinatario della merce si leva, per indicare con la mano un punto indefinito dietro a un magazzino.
Il trasportatore si lamenta, ma comunque parte per il viaggio al di là del piazzale, circondato da afa e polvere. Così, dopo aver regalato alla terra un paio di etti di sudore, giunge sull’angolo e svolta. E lì gli appare un’enorme catasta di legname messo in condizioni peggiori rispetto alle sue. Trovare quattro assi che conservino l’antica forma del bancale richiede un tempo che sembra infinito. Eppure, esattamente un attimo dopo aver tirato fuori una trentina di simil-pallet capisce che non è stata un grande fortuna. Perché in quel momento inizia la parte più faticosa: prenderli uno a uno e infilarli nel portapallet. Peraltro – ricordiamolo – acquistato apposta spendendo circa 1.700 euro.
Quando l’operazione è terminata dalle sue braccia sono transitati circa 750 chili: mentre le poggia nuovamente sul volante spera di non dover affrontare curve per un po’. Invece, dopo nemmeno mezzo chilometro, la strada piega e subito dopo cam- peggia un cartello: «Compro bancali». In fondo a un vicolo c’è una bottega dove, quasi miracolosamente, sono andati a finire i suoi pallet migliori, rivenduti a circa 18 euro. Iva perennemente esclusa. Il pensiero comparato si fa amaro: «C’è gente che riesce a guadagnare in modo più facile rispetto a chi deve sudare».
Frustrazione da poco rispetto a quella provata più tardi, quando, giunto dal suo committente e scaricati i bancali sul piazzale, lo segue mentre li scruta uno a uno. Alla fine, come in un processo, sentenzia: «Questo, questo e questo li scartiamo. Quindi, ne mancano una decina. Che aggiunti ai 130 che già mi dovevi fanno mille euro. Te li scalo dalla prossima fattura». Sudore, tempo e fatica sono gratis.

Io non so se la colpa di tutto questo è in parte dell’autotrasportatore, condannato a vestire i panni del vaso di coccio in ogni relazione commerciale.
So però che ogni giorno che passa mi sembra sempre più normale che i giovani si tengano alla larga da questa professione.

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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