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Contrordine: il tachigrafo vale come prova dell’eccesso di velocità

Con una sentenza controcorrente e del tutto inedita il Tribunale di Monza ha affermato che le risultanze del dispositivo costituiscono una prova della violazione dei limiti di velocità e anzi possono essere usate deduttivamente dal giudice. Inoltre, l’organo di secondo grado ha sostenuto che l'inerzia processuale della Pubblica Amministrazione non comporta l’accertamento in automatico dell'infondatezza della trasgressione e che più sanzioni per la stessa violazione diluite in giorni differenti non possono essere cumulate per una multa più bassa

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Ci occupiamo oggi di una sentenza del Tribunale di Monza – la n. 2571/2023, in appello contro una decisione di primo grado del Giudice di pace della stessa città lombarda – che si segnala per essere del tutto inusuale e originale rispetto ad altre pronunce giurisprudenziali in materia di tachigrafo. Ce la segnala lo studio legale Di Santo e Cagliani del foro di Lecco, che ringraziamo per l’indicazione.

IL FATTO

Un autista di camion era stato plurimultato (22 sanzioni in 28 giorni) dalla polizia locale del Comune di Usmate Velate (provincia di Monza e Brianza). La maggior parte di queste infrazioni erano state confermate in prima istanza dal Giudice di pace (si trattava di violazioni nel corretto uso del tachigrafo, dove non erano stati inseriti i dati relativi ai tempi non lavorativi), accogliendo però l’eccezione dell’applicazione del cumulo di sanzioni di ciascun verbale, secondo il principio dell’art. 198 C.d.S che afferma che «chi commette più violazioni della stessa disposizione soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave aumentata fino al triplo» (la multa in questo caso si sarebbe sensibilmente abbassata).
Ma c’è di più. Il giudice aveva totalmente annullato 5 dei 22 verbali relativi a infrazioni del limite di velocità del mezzo, in quanto «non era stato contestato espressamente nei verbali stessi che il superamento del limite di velocità fosse durato più di un minuto», come prevede il comma 2 dell’allegato A del D.lgs. n. 144 2008.
In primo grado – come vedremo dato importante – l’amministrazione comunale non si era presentata in giudizio. Tuttavia, il Comune decide di fare appello e lo fa sulla base di due motivazioni: a) sulle violazioni relative al superamento del limite di velocità sostenendo che «il trasgressore era stato sanzionato per aver superato il limite di taratura dell’apparecchio limitatore installato sul complesso veicolare, violando così quanto sancito dall’art. 142 comma 11 C.d.S.» (“l’eccesso di velocità oltre il limite al quale è tarato il limitatore di velocità di cui all’articolo 179 comporta, nei veicoli obbligati a montare tale apparecchio, l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste…”); b) sull’applicazione dell’art. 198 C.d.S. e il cumulo di sanzioni contestando l’applicazione del cumulo giuridico, attuabile solo in ipotesi di concorso formale di violazioni, ossia laddove la pluralità di violazioni derivasse da un’unica condotta illecita, diversamente che in questo caso dove erano state compiute diverse violazioni con più azioni e/o omissioni.
A sua volta il conducente ha controdedotto che «il Giudice di pace avrebbe dovuto annullare tutti i verbali, essendo l’Amministrazione rimasta contumace in primo grado e non avendo prodotto alcuna documentazione» e ha addirittura chiesto al Tribunale monzese di cassare la sentenza di primo grado.

LA DECISIONE

Su tutte queste complesse questioni il Tribunale di Monza ha assunto una pozione ben precisa a favore del Comune di Usmate Velate.
Dopo aver precisato che l’appello incidentale promosso dall’autista è inammissibile perché non è stato notificato all’appellante, la giudice Chiara Binetti si dedica all’efficacia probatoria del tachigrafo che – spiega nella sentenza – è massima. I 5 verbali per eccesso di velocità sono stati inflitti per superamento del limite di taratura dell’apparecchio limitatore installato sul veicolo e quindi per violazione dell’art. 142 comma 11 C.d.S. (e non l’art. 141 C.d.S. come esposto in motivazione del Giudice di Pace). Le risultanze del tachigrafo, infatti, non erano state impugnate perché il dispositivo non funzionava bene, ma sul presupposto che «i risultati non potessero essere posti a fondamento della violazione». Ma – afferma la giudice – la legge attribuisce massima efficacia probatoria alle risultanze del tachigrafo correttamente funzionante, in assenza di contestazione sulla autenticità del riscontro o di contestazione di conformità alloriginale.
L’art. 142 C.d.S., comma 6, dice inoltre che «per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate» e che «devono ritenersi attendibili come fonti di prova… le registrazioni del cronotachigrafo ed i documenti relativi ai percorsi autostradali, ma anche quelle modalità di accertamento meramente deduttive affidante al prudente apprezzamento del Giudice (come ricordano più sentenze della Cassazione)».
La portata probatoria dello strumento è poi confermata dalla normativa europea: «Il Regolamento UE 165/2104 all’art. 41 non esprime un netto divieto di utilizzazione del cronotachigrafo quale elemento di prova al fine di pervenire all’accertamento della infrazione contestata, ma semplicemente riguarda il profilo delle sanzioni e della loro proporzionalità, avuto riguardo alla tipologia di infrazione».
Risultato: il Tribunale di Monza decide che le risultanze del tachigrafo consentono di ritenere provate le violazioni contestate nei cinque verbali opposti, «tenuto conto del chiaro dato da esse evincibile in ordine al superamento del limite di velocità imposto sul veicolo».
Secondo punto: la mancata costituzione nel giudizio di primo grado del Comune non costituisce un valido motivo per impedire l’appello. È infatti principio consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte, in tema di sanzioni amministrative, che «l’inerzia processuale dell’amministrazione non determina l’automatico accertamento dell’infondatezza della trasgressione», in quanto il giudice, chiamato alla ricostruzione dell’intero rapporto sanzionatorio e non soltanto alla valutazione di legittimità del provvedimento che eroga la sanzione, può sopperirvi sia valutando i documenti già acquisiti, sia disponendo d’ufficio i mezzi di prova ritenuti necessari.
Rimane quindi il cumulo giuridico delle sanzioni ex art 198 C.d.S., riconosciuto in primo grado dal Giudice di pace. Ma anche in questo caso la giudice riforma la prima sentenza. «Il principio del cumulo giuridico delle sanzioni amministrative pecuniarie – spiega – opera laddove con una sola azione od omissione vengano violate diverse disposizioni di legge o vengano effettuate più violazioni della stessa disposizione». Ma la Cassazione afferma che tale disciplina non è applicabile nei casi di plurime violazioni commesse con altrettante condotte. Questa interpretazione rigida dell’art. 198, insomma, non può allargare le maglie all’istituto della continuazione. Nel caso in questione, le infrazioni contestate riguardano condotte compiute a distanza di diversi giorni l’una dall’altra e quindi non possono configurare un unico comportamento trasgressivo, ma corrispondono invece a tante violazioni quante sono le condotte illecite poste in essere lungo il periodo temporale considerato.

LE CONSEGUENZE

Il risultato della decisione è dunque chiaro. Tutti i verbali di contestazione per violazione delle norme di circolazione stradale impugnati sono stati convalidati e il conducente del mezzo pesante condannato a rimborsare al Comune anche le spese di lite.
Quello che ci interessa di più però sono i principi affermati dal Tribunale in secondo grado che, per certi versi, appaiono come detto rivoluzionari.
Il più importante è sicuramente l’efficacia probatoria massima del tachigrafo, non solo per l’accertamento del rispetto dei tempi di guida e di riposo, ma anche per sanzionare comportamenti irregolari come appunto quello della violazione dei limiti di velocità. Altre sentenze avevano infatti deciso in maniera opposta.
Poi il principio per cui l’inerzia processuale della Pubblica Amministrazione non determina l’automatico accertamento dell’infondatezza della trasgressione, quando in genere l’assenza della PA in aula fa pendere il giudizio verso la controparte.
Infine – ma qui c’erano già stati orientamenti simili – la non applicazione del cumulo giuridico per infrazioni ripetute, senza tuttavia continuità e in un lasso temporale allargato.

Come sempre vedremo col tempo se questa tendenza del tribunale lombardo costituirà un unicum oppure l’inizio di un preciso e inedito indirizzo giurisprudenziale.

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