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La subappaltatrice fallisce? Se il lavoro continua i conducenti vanno pagati dall’appaltante

Il Tribunale di Roma ha stabilito che, in presenza di un rapporto di subappalto e con la subappaltatrice fallita, il Consorzio che aveva appaltato i lavori risponde del pagamento degli autisti – mai avvenuto – se continua a dirigerli in modo fittizio attraverso un suo intermediario

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La decisione di cui ci occupiamo oggi è stata presa dal Tribunale di Roma (n. 1432/2023 del 13-02-2023) e riguarda i complessi rapporti di subappalto che vanno chiariti per capire quale sia la società a cui il dipendente debba rivolgersi per poter ricevere l’adeguato compenso per la sua prestazione.

IL FATTO

Partiamo dalle richieste dei 4 ricorrenti che avevano chiamato in giudizio un Consorzio di Roma, affermando di aver lavorato ininterrottamente nel 2018 per tre mesi in un servizio di logistica, trasporto merci e spedizioni nella provincia di Napoli. Il consorzio – secondo la tesi accusatoria – aveva appaltato il lavoro ad altra ditta che, a sua volta, lo aveva subappaltato ad altra società che finalmente li aveva assunti come conducenti di furgone di livello G1. Il lavoro dipendente comportava un orario dal lunedì al venerdì, dalle 7 alle 19, sotto la direzione – secondo i ricorrenti – di personale del Consorzio (indicavano una persona specifica che si era sempre presentata come “emissario” della società consortile). Tuttavia, gli autisti non erano mai stati pagati, perché l’azienda che li aveva assunti era fallita e non vi aveva ovviamente provveduto. Per cui si chiedeva di condannare il Consorzio – come prima appaltante che aveva continuato a dirigere il loro lavoro – al pagamento in loro favore delle somme dovute.
A questa pretesa si opponeva il Consorzio che sosteneva come tra la società che aveva assunto e i lavoratori ci fosse stato un appalto diretto; che gli attori non erano mai stati diretti da personale del Consorzio e tanto meno dal personaggio indicato, che – a detta del Consorzio – non ne faceva parte; che i conducenti dovevano provare gli orari che pretendevano di avere osservato. Le società intermediarie non comparivano in giudizio.

LA DECISIONE

Diciamo subito che il Tribunale di Roma ha giudicate fondate le pretese degli autisti. Prima di tutto la documentazione prodotta (lettere assunzione, buste paga, estratti contributivi) confermavano che i ricorrenti lavoravano alle dipendenze della società che li aveva assunti come conducenti di furgone di livello G1 a tempo determinato parziale per 20 ore settimanali. Anzi, dalle loro deposizioni univoche risultava che avessero lavorato non solo a tempo pieno, ma prestando 20 ore settimanali di straordinario, mentre non è stato allegato né provato alcun pagamento dalla controparte. «Per cui i ricorrenti – conclude l’organo giudicante – hanno diritto ad essere pagati».
Rimane da stabilire chi debba essere a pagare, ovvero quali siano i rapporti tra il Consorzio e le società appaltate. I ricorrenti hanno tutti sostenuto – come detto – di essere stati sempre diretti nel loro lavoro da persona che diceva di agire per conto del Consorzio e dell’amministratore della stessa e qualcuno di essi ha affermato addirittura di aver visto costui parlare direttamente con l’amministratore. In sua difesa il Consorzio portava a testimoniare un altro dipendente che spiegava di aver lavorato, in quei tre mesi, come coordinatore e gestore dei facchini, alle dipendenze di altra società, che pure operava presso lo stesso capannone della società fallita ed era subentrata ad altra subappaltatrice. In sostanza questo teste sosteneva che ci fossero due società distinte, una che faceva facchinaggi e l’altra che faceva distribuzione con i furgoni. Nel primo caso l’appalto era cessato e il facchinaggio era gestito in appalto diretto, mentre nel secondo affermava di non sapere – ma faceva sospettare – se la società che aveva assunto gli autisti lavorasse come datrice diretta di lavoro o in subappalto per il Consorzio. Tra i ricorrenti ne identificava solo uno senza saper dire se faceva il facchino o il corriere.
Il Tribunale per decidere il rapporto tra Consorzio e società fallita (quella che aveva assunto i conducenti) si affidava allora al rapporto tra i due, da cui si constatava che: esisteva un contratto di appalto, sia per la movimentazione delle merci nei magazzini che per i servizi di trasporto; che il Consorzio si avvaleva di subappaltatori; che il Consorzio cedeva ad altra società solo la parte di appalto con oggetto l’attività di movimentazione delle merci nei magazzini. «Era perciò evidente – deduceva il Tribunale – che alla data in cui gli autisti lavoravano ancora il servizio di trasporto a mezzo furgoni reso alla società fallita faceva capo al Consorzio con rapporto di subappalto».
«È poi vero – sottolinea ancora il giudice – che i conducenti che ricorrono hanno chiamato a testimoniare solo loro stessi e non i tanti altri dipendenti che avrebbero potuto avvalorare la loro tesi, il che potrebbe sollevare qualche dubbio sull’affidabilità nella ricostruzione dei fatti. Ma il Consorzio, da parte sua, ha affidato la prova delle proprie tesi alla sola deposizione del dipendente della sua subappaltatrice del 2019 nel facchinaggio, che tra l’altro si è detto estraneo tanto al Consorzio quanto al settore del trasporto».
«Inoltre – dice ancora il Tribunale – se la società fallita avesse intrapreso da un certo punto in poi un appalto diretto, sottraendosi al subappalto col Consorzio, ci dovrebbe essere un contratto che quest’ultimo avrebbe verosimilmente avuto agio di produrre o far acquisire, dopo aver dato contezza della sua esistenza chiamando magari a deporre i responsabili della società subappaltata coi quali pacificamente aveva avuto rapporti o qualche preposto di questa impiegato nell’appalto; ed invece non ne ha indicato nessuno». E nemmeno il Consorzio ha saputo documentare la pretesa cessazione del suo appalto con la società che ha assunto gli autisti.

LE CONSEGUENZE

In sostanza, da parte del Consorzio non ci sono prove evidenti del distacco della società fallita del Consorzio, mentre da parte dei ricorrenti esistono le deposizioni concordanti di essere stati sempre diretti da un uomo del Consorzio e non della datrice di lavoro. «La più plausibile spiegazione – conclude il giudice – è che, fallita la società che non pagava, venne messa dal Consorzio una persona di fiducia come intermediario per proseguire l’esecuzione dell’appalto nel settore dei trasporti, non essendoci nessuno della società fallita che nel 2019 dirigesse o organizzasse l’attività dei lavoratori impiegati nell’appalto del trasporto».
Il Tribunale romano ha perciò condannato in solido il Consorzio al pagamento in favore dei ricorrenti delle somme dovute e alla rifusione delle spese di giudizio.

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