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L’annosa questione dei controlli periodici sui mezzi pesanti. Revisioni da rivedere

Dal 2019 sono state affidate anche alle officine private, sotto il controllo di un ispettore della Motorizzazione. Ma il personale è insufficiente e gli ispettori privati (formati adeguatamente, slegati dalle officine e inviati dalla Motorizzazione) stentano a decollare. Anche perché non tutti gli uffici li vogliono utilizzare. E i dipendenti del ministero sono scesi sul piede di guerra

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Le attese più lunghe sono in Sardegna. A Cagliari le revisioni di veicoli sopra le 3,5 tonnellate prenotate nel luglio del 2022 sono state assegnate dopo 14 mesi, nel settembre di quest’anno. A Sassari, dove stanno evadendo in questi giorni le prenotazioni di otto mesi fa, ormai c’è da attendere anche due anni: a prenotare oggi, l’appuntamento è per il 2025. A Oristano l’attesa è di dieci mesi, ma è in allungamento. Se la Sardegna piange, il resto dell’Italia non ride, anche se a macchia di leopardo: a Bergamo le attese sono di cinque mesi, a Napoli (e in genere in tutta la Campania) di oltre due, ritardi si registrano anche a Genova, a Firenze, a Livorno, a Mantova. E dove i tempi sono più congrui, spesso lievitano i costi: non solo i classici 45 euro spettanti alla Motorizzazione (più 9,95 di tassa ministeriale), ma cifre che superano i 100 euro e in alcuni casi arrivano a toccare i 200, senza considerare il fermo macchina e i costi per l’autista.

«Abbiamo realizzato il federalismo delle Motorizzazioni», ironizza Patrizio Ricci, presidente di CNA-Fita, una delle associazioni di autotrasportatori che avevano fatto del ricorso alle officine private per le revisioni dei mezzi pesanti un cavallo di battaglia per sopperire alle croniche carenze di personale del ministero dei Trasporti. Le stesse associazioni che avevano esultato quando nel 2019, la legge di Bilancio aveva finalmente sbloccato la situazione, modificando il Codice della strada ed estendendo la privatizzazione dei servizi di revisione ai mezzi pesanti, esclusi però i trasporti di persone, di merci deperibili (ATP) e di merci pericolose (ADR).

Deleghe incrociate

Ma da quel momento, per attuare il provvedimento, è partito un meccanismo aberrante nel quale si sono sedimentate norme contraddittorie, rivendicazioni sindacali, interessi privati che hanno portato, in un clima di conflitto, alla situazione attuale, nella quale si attende un intervento risolutivo del governo che tarda ad arrivare. Anche perché non si sa esattamente chi deve intervenire. «La delega per l’autotrasporto», fa notare Ricci, «l’ha mantenuta il ministro Matteo Salvini, girandola al vice ministro Edoardo Rixi, ma la delega per la Motorizzazione ce l’ha il sottosegretario Galeazzo Bignami».

Questa delle deleghe è solo la complicazione apicale di una vicenda che sta diventando ogni giorno di più un groviglio inestricabile. Dopo la decisione di affidare le revisioni a centri privati autorizzati, ma con la presenza di un ingegnere della Motorizzazione, al ministero dei Trasporti si sono presto resi conto che, nonostante un centinaio di assunzioni, il numero di tecnici interni era ancora troppo insufficiente per rispondere a una domanda di circa 7-800 mila operazioni l’anno, anche perché più d’un ingegnere, dopo aver vinto il concorso, avendo conosciuto il livello salariale, ha rinunciato all’impiego.

«abilitati» vs «autorizzati»

Per questo, nel novembre 2021, con un decreto ministeriale (il DM 446) il ministero dei Trasporti ha permesso che si potessero utilizzare ispettori liberi professionisti, previa formazione ed esame finale, con le uniche garanzie – ai fini della sicurezza – di non essere in conflitto di interessi con l’officina dove effettuano la revisione e di essere scelti di volta in volta dalla Motorizzazione in risposta alle richieste dei centri autorizzati. Data di partenza: il 1° febbraio di quest’anno.

È stato il segnale della nascita di due partiti: quello degli «abilitati» (gli ingegneri dipendenti dal ministero) e quello degli «autorizzati» (i tecnici formati in centri autorizzati dal ministero). Altro che Guelfi e Ghibellini, Bianchi e Neri, Montecchi e Capuleti. I primi sono stati protagonisti di una serie di proteste locali contro l’esternalizzazione dei servizi (non solo delle revisioni, ma anche degli esami per la patente, sui quali sono stati dirottati anche gli ingegneri addetti alle revisioni), con l’obiettivo – ha affermato la Cgil Funzione pubblica di Reggio Emilia – «di assicurare uniformità dei controlli, in favore anche della sicurezza stradale della collettività». Ma oltre alla sicurezza, i dipendenti del ministero lamentano anche la diversità di trattamento: mentre per le revisioni loro ricevono un compenso straordinario di 8 euro (netti l’ora), gli «autorizzati» (che, fanno notare a mezza bocca gli «abilitati», spesso non sono neppure laureati e comunque non hanno dovuto sostenere un concorso) incassano 500 euro (lordi a seduta). E, in sostanza, chiedono di mantenere tutto – revisioni ed esami – nell’ambito pubblico, assumendo il personale necessario.

I secondi replicano che loro sono liberi professionisti, che devono aprire una partita IVA, che hanno l’obbligo di pagarsi un’assicurazione e che il compenso reale a seduta è di 350 euro lordi perché gli altri 150 sono un’indennità forfettaria di trasferta. E che le loro sedute consistono in una giornata di lavoro di otto ore con l’obbligo di revisionare dai 18 ai 24 mezzi al giorno, mentre gli «abilitati» possono dedicare alle revisioni solo tre ore di straordinario pomeridiano. Quanto alla sicurezza, un opuscolo redatto da Diego Brambilla, segretario di Federispettori, ha replicato che sono le proteste dei ministeriali ad aver danneggiato i cittadini «costretti loro malgrado a condividere le strade pubbliche con veicoli pesanti non revisionati».

Nel tentativo di placare gli animi degli interni, a marzo del 2023 – solo un mese dopo il via degli ispettori privati – il ministero ha fatto mezza marcia indietro e ha stabilito un ordine di precedenza: prima gli «abilitati», poi gli ex «abilitati» ora in quiescenza e solo ultimi gli «autorizzati».

I centri di revisione privati

Ma mentre «abilitati» e «autorizzati» non se le mandano a dire, gli autotrasportatori – stretti fra l’incudine e il martello – vedono incepparsi il meccanismo della privatizzazione sulla quale le loro associazioni di rappresentanza avevano puntato per risolvere il problema dei ritardi nelle revisioni. I cui danni sono consistenti: il certificato di prenotazione è valido solo in Italia e, dunque, i veicoli in attesa non possono essere impiegati in viaggi internazionali. E quando, all’inizio del 2022, in alcune province è scattato addirittura il blocco delle prenotazioni per le troppe richieste (con il rischio di dover fermare il veicolo da revisionare o rischiare una pesante multa fino a 679 euro o fino a 1.358 in caso di recidiva), Conftrasporto si era rivolta ai dirigenti ministeriali sentendosi dire che erano stati già formati 2 mila ispettori, in attesa solo dell’esame finale e che per far fronte alle revisioni annuali necessarie sarebbero occorsi almeno 300 centri privati attrezzati e autorizzati. Peccato che dieci mesi dopo, la circolare ministeriale n. 39957 del 20 dicembre 2022 – quella che autorizzava dal febbraio successivo l’impiego degli ispettori privati – ne dichiarasse disponibili soltanto 108 (diventati però in pochi mesi già 350 circa).

Quanto alle officine autorizzate non si sa quante siano, anche perché lo stesso DM 446 ne ha frenato la crescita, chiedendo requisiti scoraggianti: una superficie non inferiore ai 250 metri quadri per ogni linea di revisione, uno spazio esterno di manovra e/o parcheggio non inferiore ai 1.000 metri quadrati, una superficie totale degli uffici non inferiore ai 600 metri quadrati. Che spesso non li hanno neppure i centri della Motorizzazione. Una ricerca di CNA-Fita dell’aprile del scorso anno, su 400 officine che effettuavano revisioni a pesanti e leggeri, ha rivelato che solo il 54,3% degli intervistati è in regola, e che i due terzi degli altri non è in grado di adeguare gli spazi esistenti; percentuali che variano significativamente tra i centri revisori di veicoli leggeri che vorrebbero ampliare la propria attività ai pesanti: già in regola è solo il 14%, mentre tutti gli altri si sono detti impossibilitati ad adeguarsi alle nuove disposizioni. Che, a seguito delle proteste, per il momento sono state per lo meno mitigate facendo rientrare nell’area totale i 600 metri quadrati per gli uffici.

Il caso centro Italia

In questo ginepraio di norme c’è spazio anche per le interpretazioni autonome. Il caos nel quale stanno vivendo gli autotrasportatori sardi dipende proprio da un’impuntatura interpretativa della Direzione generale territoriale del Centro Italia, che è restia a convocare gli ispettori privati perché la legge 870 (quella che nel 1986 ha regolato le revisioni dei veicoli pesanti) prevede che queste possano essere effettuate «esclusivamente dagli impiegati del ruolo della carriera direttiva tecnica della Direzione generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione». E, dunque, dato che un decreto ministeriale come il 446 non può modificare una legge, la Motorizzazione del Centro Italia continua a chiedere a Roma gli ispettori «abilitati», che – come abbiamo visto – si contano sulla punta delle dita e sono richiesti anche per gli esami della patente.

Ma, nonostante le pressanti richieste delle associazioni dell’autotrasporto e dei rappresentanti degli ispettori privati, la linea della Direzione Centro Italia è rimasta la stessa: «Finché ci sono gli ispettori abilitati chiamiamo loro», rispondono. «E chiedono», aggiunge Lino Di Pasquale, vice presidente di Federispettori, «che semmai sia il Direttore generale della Motorizzazione, Pasquale D’Anzi, ad assumersene la responsabilità». Ma D’Anzi è impegnato con la grana delle tariffe e quella delle doppie prenotazioni.

Costi e tariffe

Perché l’ormai famosa circolare 39957 del dicembre scorso – quella che dava la priorità agli «abilitati» e ai «quiescenti» rispetto agli «autorizzati» – prevede anche che ci debba essere una revisione delle tariffe. Una delle obiezioni dei ministeriali, infatti, era che se vengono utilizzati soggetti esterni all’amministrazione, non si vede perché questa debba chiedere comunque i 45 euro per il servizio. La circolare, tuttavia, ricorda – quasi in risposta all’obiezione – il ruolo di «supervisione» delle Direzioni generali territoriali e annuncia «l’adozione di un rinnovato modello tariffario», anche perché quella prevista per le officine private è rimasta a 66,88 euro (più i 9,95 di tariffa ministeriale), come prima che apparissero sulla scena gli «autorizzati» con i loro costi. Ma al momento il provvedimento è all’esame dell’onnipotente ministero dell’Economia e delle Finanze, segno che c’è da mettere mano al portafoglio pubblico.

Nella confusione generale, le officine private protestano: gli si chiedono investimenti sui piazzali, devono attendere l’invio dell’«autorizzato» a discrezione della Motorizzazione (naturalmente preferirebbero averlo in casa e molti già avevano assunto e formato il personale ad hoc), almeno gli si alzino le tariffe. E intanto se le alzano da sole, caricando sui trasportatori i costi degli ispettori (pubblici o privati che siano) e delle loro trasferte e offrendo servizi ulteriori come la prerevisione o il precollaudo ai quali è difficile rinunciare anche perché non tutti li esplicitano nel listino. I più, tuttavia, sono attenti a mantenere nella tariffa il costo della sola revisione, anche se alla fine il totale delle prestazioni va spesso molto oltre, per cui tra revisione pura e semplice, prerevisione, trasferte e quant’altro c’è da pagare fino a 180-200 euro.

Le doppie prenotazioni

Ma per gli autotrasportatori, il problema principale più dei costi sono i tempi. Tant’è che sempre più spesso le imprese, grazie al servizio telematico, si prenotano presso la Motorizzazione, ma per sicurezza, anche presso un centro privato. Questa specie di overbooking in salsa di camion, tuttavia, mette ancora più in crisi la Motorizzazione che rischia di mandare in giro a vuoto i suoi pochi ispettori, «abilitati» o «autorizzati» che siano. E a maggio scorso ha tentato di bloccare il fenomeno con un’ennesima circolare che proibisce una seconda prenotazione per lo stesso veicolo per «rendere più ordinato ed efficiente il servizio erogato all’utenza, in un contesto caratterizzato dalla insufficienza di risorse umane in cui versa l’Amministrazione». Un’ammissione di impotenza, anche se qualcuno maliziosamente sostiene che all’overbooking ricorre chi vuole circolare il più a lungo possibile con il certificato di prenotazione, salvo prenotarsi in vista della scadenza presso un’officina più «amica», riuscendo così ad allungare a dismisura i tempi della revisione che dopo i primi quattro anni diventa annuale. In realtà, la doppia prenotazione serve anche a garantire la presenza del veicolo nei pressi del centro di revisione. «Con gli appuntamenti a 4-5 mesi dalla prenotazione, come faccio a sapere quel giorno dov’è il mio camion?», protesta Ricci.

Ma l’amara conclusione di questo quadro caotico e sregolato tocca a Sandro Concas, presidente regionale di CNA-Fita Sardegna, forte della sua esperienza sul territorio più disastrato d’Italia quanto a revisioni di veicoli pesanti. «Ancora una volta», ha chiosato, «dobbiamo denunciare il paradosso di un’amministrazione che non è in grado di garantire con continuità il servizio pubblico delle revisioni ai mezzi pesanti nei tempi obbligatori per legge, ma si mobilita per evitare che venga svolto dagli operatori economici privati generando così ulteriori impedimenti alle revisioni già programmate e rischi per la sicurezza sugli autotrasportatori».

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