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L’eccesso di velocità non è provato dalle sole rilevazioni del cronotachigrafo

Anche il giudice di Pace di Lamezia Terme si pronuncia contro una multa inflitta a un autotrasportatore sulla base dell’esame del cronotachigrafo. Infatti, in assenza di verifiche periodiche di funzionamento e di taratura, che oltretutto vanno provate con apposita documentazione, lo strumento non risulta affidabile e la sola omologazione non è considerata sufficiente

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È ormai da considerarsi una consuetudine giurisprudenziale consolidata quella della non affidabilità del cronotachigrafo come strumento di segnalazione del superamento dei limiti massimi di velocità, specie nel caso in cui lo sforamento sia di pochi chilometri.

Un’ulteriore prova in questo senso giunge dalla sentenza emessa in questi giorni dal giudice di pace di Lamezia Terme, in una causa contro la Prefettura di Catanzaro gestita dall’esperto avvocato Roberto Iacovacci.

Il ricorso riguardava una multa per eccesso di velocità ex art.142, 8° comma, Codice della Strada. L’autotrasportatore ne chiedeva l’annullamento per illegittimità in quanto rilevata tramite tachigrafo e anche per la presenza di vizi formali (mancato rispetto dei termini per l’emissione, redazione del verbale a mano, non indicazione dei limiti di tollerabilità, ma soprattutto mancata omologazione dello strumento di verifica utilizzato). All’udienza la Prefettura non interveniva e nemmeno produceva documentazione.

Secondo il giudice di pace attualmente «la possibilità e/o legittimità di rilevare la velocità tramite le risultanze del tachigrafo è una questione irrisolta». Questo perché – spiega – da un lato esiste un Regolamento europeo che lo vieta, disponendo che anche l’Italia debba adeguarsi, ma dall’altro tale norma non è vincolante in assenza di leggi o regolamenti di recepimento. Tuttavia – aggiunge ancora l’organo giudicante – l’assenza di verifiche periodiche di funzionamento e di taratura del cronotachigrafo può pregiudicare l’affidabilità del dispositivo: “Qualsiasi strumento di misura, specie se elettronico, è soggetto a variazioni delle sue caratteristiche – si legge nella sentenza – e quindi a mutamenti dovute ad invecchiamento delle proprie componenti e ad urti, vibrazioni, shock meccanici e termici”,

Tutto ciò pregiudica non solo l’affidabilità, ma anche «la fede pubblica che si ripone in un settore come quello della sicurezza stradale, di rilevante rilievo sociale». Quello che conta perciò è un controllo di conformità esteso all’intero arco temporale di utilizzazione degli strumenti di misura, per garantire che «il funzionamento e la precisione nelle misurazioni siano contestuali al momento in cui la velocità viene rilevata, momento che potrebbe essere distanziato in modo significativo dalla data di omologazione e di taratura».

Dato quindi che nell’ordinanza della Prefettura manca il rilievo dell’infrazione nel momento in cui questa sarebbe stata commessa, che la Prefettura non si è costituita e che non ha inviato documentazione per comprovare l’eccesso di velocità, «non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente», sulla base dell’art. 23, 12° comma della legge 689/81 (sostituito dall’art. 7, punto 10 D.lgs. n. 150/11).

Quindi la decisione del giudice è stata di accogliere l’opposizione e annullare l’ordinanza prefettizia, compensando le spese tra le parti.

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