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Un vaccino da trasportare e stoccare a -80°: la sfida ultrafredda della logistica

Bella notizia la scoperta del vaccino. Bruttissima sapere che resiste soltanto a temperature bassissime. Per chi lo dovrà distribuire sarà un bel rompicapo. In ogni caso serviranno ulteriori investimenti sulla catena del freddo. Anche se i tempi di sopravvivenza del vaccino (5 giorni anche a temperatura più alte) forniscono non pochi aiuti

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L’annuncio della statunitense Pfizer (con la tedesca BioNTech) di aver trovato un vaccino contro il Covid aveva appena fatto tirare un respiro di sollievo al mondo (e in particolare a quello della finanza), che un dettaglio logistico rischia di metterlo nuovamente in crisi. Perché, stando a quanto comunicato, le fiale del vaccino in questione possono essere distribuite, trasportate e stoccate soltanto a una temperatura che oscilla tra i -70 e i -80 gradi C. A livello logistico si tratta di un problema di non poco conto, quasi impossibile e soprattutto del tutto inedita, anche perché normalmente la maggior parte dei vaccini viene conservata a circa 4 gradi, temperatura facile da raggiungere per il trasporto refrigerato.

Prova ne sia che la società di investimento JP Morgan, dopo aver individuato i principali ostacoli verso il successo del vaccino nell’approvazione, nell’accettazione e nella distribuzione del prodotto, ha sottolineato che quest’ultimo è di certo il più impegnativo da superare. Per la semplice ragione che nel mondo, e in particolare nelle aree interessate alla distribuzione del vaccino, non esistono al momento attuale congelatori talmente efficaci, così come non esiste una gestione logistica in grado di conservare una catena del freddo a tali temperature. Quindi, non tanto camion con semirimorchi frigo, ma soprattutto infrastrutture di stoccaggio, da sistemare in ogni luogo di scambio o di trattamento del vaccino. Dagli hub degli aeroporti dai quali necessariamente transiteranno le fiale, fino ai magazzini degli ospedali. In Italia, per esempio, non esistono strutture aeroportuali in grado di ricoverare merci a temperature così rigide.

Il problema allora è di duplice natura, una finanziaria, l’altra temporale. Quella finanziaria è presto detta: il fatto che non esistano infrastrutture adeguate a gestire temperature ultra basse in quasi tutti gli hub logistici del mondo occidentale, non significa che non si possano allestire. Molto semplicemente servono soldi. E allora la domanda diventa: chi se ne farà carico? Negli Stati Uniti è stato calcolato che oltre a quanto già speso finora (una cifra intorno ai 13 miliardi di dollari), ne servirebbero almeno altri 8,4 miliardi per sostenere una vaccinazione di massa. Un calcolo però che prende in considerazione l’aspetto organizzativo, ma non tiene conto del necessario investimento in centinaia, se non in migliaia di congelatori e in tutti gli altri strumenti funzionali a gestire la catena del freddo.

Per fortuna, però, c’è il fattore tempo che potrebbe fornire un qualche conforto. Perché il portavoce della Pfizer, Kim Bencker, ha chiarito che il vaccino Covid-19 può essere conservato in un congelatore a temperatura ultra bassa per un massimo di sei mesi, ma che può resistere tra i 2 e gli 8 gradi soltanto per cinque giorni. Di conseguenza, un hub logistico di stoccaggio forse avrebbe necessità di congelatori ad alta efficienza, ma magari un ospedale, che riceve le fiale e le inocula in tutta fretta (o comunque in meno di cinque giorni), potrebbe anche farne a meno.

In ogni caso, va pure detto che molti altri big della farmaceutica, come Johnson e Johnson, Novavax e Moderna, si sono affrettati a comunicare che i loro vaccini vivono tranquillamente anche a temperature più alte.

Semmai, davanti a un tale scenario, se eravate tentati di investire in azioni di un costruttore di congelatori, tenetelo presente.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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