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Una vita da mediano: la funzione dell’autista nelle relazioni con la committenza

«Stare nel mezzo» non è sinonimo di mediocrità. Anzi, di fatto è l’essenza stessa del trasporto: collegare mittente e destinatario. E gli autisti a loro volta sono nel mezzo: tra trasportatore e cliente, tra destinatario e mittente. Un ruolo scomodo, ma pieno di potenziale. Come interpretarlo? Per prima cosa va eliminata la cultura dell’alibi per sostituirla con quella della responsabilità. Ma a tale scopo serve «fare», non «parlare»

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Arrivo con il carico, in orario come richiesto. Davanti a me altri camion. Mi registro e aspetto il mio turno. Allo scarico il magazziniere dispone la merce, timbra le bolle e mi dice che posso andare. Risalgo in cabina e lascio i documenti sul tunnel: li avrei sistemati a fine turno, perché devo correre dal cliente successivo. Diciassette prese in quindici ore.

Salto i pasti: li recupererò al rientro con una pasta al tonno prima di dormire. Metto in pausa mentre scarico per evitare l’ennesima chiamata dall’ufficio: «Dove sei? Il cliente aspetta». Chiudo la giornata in qualche modo e vado a letto. La mattina dopo, alle otto, il telefono squilla di nuovo. Il turno sarebbe iniziato più tardi, ma insistono. «Laura, ti ricordi se le pedane che hai scaricato ieri erano integre?». Rispondo di sì, allo scarico apparivano perfette. «Eppure, il cliente ha contestato un danneggiamento. A noi, però, non hanno scritto nulla in bolla». Verifico i documenti. «Accettato con riserva di controllo».

«Nel mezzo» non equivale a «mediare»

Tutti pensano che stare nel mezzo sia sinonimo di mediocrità. E in effetti, in latino, mediocritas significa proprio questo: condizione media. Vale a dire, né su un estremo, né sull’altro. In fondo, è l’essenza del trasporto: collegare mittente e destinatario. Eppure, credo che in certi contesti essere nel mezzo possa rappresentare una condizione vantaggiosa. E da autisti stiamo ancora più nel mezzo: tra trasportatore e cliente, tra destinatario e mittente. Un ruolo scomodo, ma anche pieno di potenziale anche se, come dice mio fratello, «Il potenziale è impegnativo».

Perché non basta nominarlo: va stimolato e gestito. E qualcuno dovrà pure farlo. E chi meglio di noi autisti, che siamo quelli pratici per antonomasia? Perfetto in teoria, ma nella pratica come si dovrebbe operare? Risposta: eliminando la cultura dell’alibi. L’«accettazione con riserva di controllo» di fatto è una scappatoia per attribuire ad altri una nostra responsabilità.

La cultura dell’alibi

Julio Velasco lo spiegava rispetto alla pallavolo: quando lo schiacciatore sbaglia, accusa il palleggiatore. Il palleggiatore scarica sul ricevitore. Il ricevitore non può che prendersela con l’avversario che batte troppo forte. È la catena infinita dell’alibi: ognuno trova una scusa, nessuno si prende la responsabilità. Nel trasporto funziona allo stesso modo:

• il cliente contesta ma non scrive nulla in bolla

• il trasportatore firma pur di non perdere la commessa

• l’autista, in quanto anello debole, viene accusato anche in mancanza di prove.

Così gli errori non si correggono, le attese non vengono pagate, le contestazioni restano sospese. Velasco diceva: «Non ne parliamo, risolviamo». È la stessa svolta che serve qui: passare dalla cultura dell’alibi alla cultura della responsabilità condivisa.

Dal concetto alla pratica

Se io avessi preteso il controllo della merce in quel preciso istante, se avessi fatto delle foto alla merce perfettamente integra o se avessi scritto in bolla che allo scarico le pedane erano perfette e avessi rifiutato la riserva di controllo, avrei risolto.

Non è facile, ma è pratico. Ecco perché in questo contesto diventa fondamentale essere nel mezzo, per risolvere, per interrompere un meccanismo senza aspettare soluzioni dall’alto o da altri.

Il personale è politico

Essere nel mezzo non significa essere mediocri, ma avere la possibilità di interrompere una catena che altrimenti non si spezza. Anche se all’inizio sei solo, se vieni deriso, se ti dicono che «tanto non cambia nulla».

Ogni volta che si sceglie di non accettare lo stato di fatto, di mettere davanti il proprio benessere e la propria sicurezza, ogni volta che si decide di difendere la propria professionalità rispettando le normative, di scrivere invece di dire, di denunciare invece di lamentarsi, non si sta compiendo un atto di egoismo, ma si apre uno spazio agli altri e per chi verrà dopo. È così che il gesto personale diventa politico e il bene comune.

Questo articolo fa parte del numero di settembre/ottobre 2025 di Uomini e Trasporti: un numero che racchiude un ampio dibattito sul futuro del settore, animato da tanti osservatori e da tanti lettori.

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