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La digitalizzazione tra realtà e prospettive. Il Medioevo dei trasporti

Nei porti partono i primi protocolli d’intesa per dematerializzare i documenti di dogana e telematizzare accessi e carico/scarico. Sulle strade, cominciano ora le sperimentazioni delle smart road. Solo nel privato la digitalizzazione trova piena applicazione, ma mettere in rete tutto il sistema e far dialogare i singoli soggetti è un traguardo ancora difficile e lontano

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Il camion è già in rete, ma se ne accorge poco. Strumenti come il cronotachigrafo digitale, il navigatore satellitare, il telepass e le sempre più diffuse dash cam, per non parlare di qualunque smartphone, già ricevono e trasmettono ininterrottamente miliardi di dati anche se il loro utilizzo – che potrebbe ridurre enormemente tempo e costi del trasporto – è ancora limitato per motivi tecnici, normativi, sindacali. Il problema principale è che tutto questo immane flusso di dati deve essere raccolto e gestito presso centrali operative che sulla base delle informazioni raccolte decidono il da farsi e trasmettono l’ordine agli apparati collegati. E in Italia da questo punto di vista siamo ancora molto indietro.

Se oggi nel porto di Anversa (che movimenta 12 milioni di teu l’anno) basta l’impronta digitale dell’autista per andare a prelevare il container al terminal (in sostituzione del più lento e insicuro PIN) è perché il processo di digitalizzazione di quel sistema portuale è ormai molto avanzato. Per lo stesso motivo nel porto di Rotterdam (14 milioni di teu l’anno) si incontrano ormai quasi più turisti che portuali, essendo la sua automazione talmente evoluta da diventare addirittura un’attrazione da esibire come se fosse Disneyland, sotto la guida di un centro informazioni che si chiama significativamente FutureLand e organizza visite con giri in battello, manovre alle gru e cene caratteristiche a Katendrecht, il «quartiere dei marinai». Per lo stesso motivo il porto di Singapore (37 milioni di teu l’anno) completerà nel 2040 il più grande terminal automatizzato del mondo che gli consentirà di raddoppiare la capacità di movimentazione.

Protocolli per i porti digitali

Non è un caso che siano i porti a dare l’esempio della digitalizzazione più spinta. È lì che si concentra non solo la maggior quantità di merci movimentate (il 90% delle goodies è trasportato via mare), ma anche il maggior numero di operatori della supply chain da coordinare con rapidità ed efficienza. «Ogni porto», ricorda Alberto Guidi, dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), in un’analisi pubblicata lo scorso marzo, «è caratterizzato da un complesso sistema di movimenti di persone, merci e mezzi di trasporto, che producono e richiedono una grande quantità di dati». Tale concentrazione consente a un insieme coordinato di tecnologie digitali (5G, Intelligenza artificiale, Internet of Things, blockchain) di sostituirsi sempre di più non solo alla manodopera ma alla stessa capacità di progettazione umana. Come? Collegando «in una stessa rete camion, navi, gru e persino gli stessi containercosì che si scambino informazioni digitali tra loro. Le tecniche di analisi di tali Big Data permettono poi di utilizzarli in modelli che, tracciando movimenti e stato dell’oggetto, possono elaborare le migliori combinazioni di percorsi e stivaggio delle merci, e ridurre significativamente il tasso di errori durante le ispezioni merci».
In questo modo, secondo stime Unctad, organo di supporto dell’ONU per il commercio e lo sviluppo, si potrebbero risparmiare, per ogni consegna, 300 dollari in costi di sdoganamento, cioè5,4 milioni di dollari sul carico di una nave di 18 mila teu. Ancora maggiori saranno i risparmi quando il Porto di Rotterdam avrà completato, grazie a Internet of Things, il suo digital twin, una copia virtuale dell’intero scalo con cui potrà controllare in dettaglio l’intero sistema, con risparmi per gli operatori di 80 mila dollari per attracco e riduzione del 20% dei tempi d’attesa.
E in Italia? Qualcosa si muove, ma lentamente. A livello centrale lo Sportello unico doganale continua a segnare il passo. Istituito con la legge finanziaria 2004 per concentrare in un unico punto le 69 istanze rivolte a 19 amministrazioni per ogni operazione di import/export, dovrebbe essere un punto di partenza per dematerializzare le scartoffie, ma soltanto lo scorso anno Agenzia delle Dogane e Assoporti hanno raggiunto un accordo per digitalizzare le procedure doganali e sono già 17 i porti definiti dalla stessa Agenzia, con involontario umorismo, «parte integrante del ‘cantiere nazionale digitalizzazione’ dei porti». Molto di più – è prevedibile – potrà fare l’investimento di 360 milioni per la «Digitalizzazione dei sistemi logistici del Paese», previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), per realizzare «piattaforme di dialogo e interlocuzione con i clienti per gestione/monitoraggio/tracciamento delle singole spedizioni, sistemi di intelligenza artificiale per pianificare, programmare e ottimizzare i carichi, e la digitalizzazione integrale dei documenti di trasporto».
Altrettanto recente la partenza di digITAlog, soggetto attuatore della Piattaforma logistica nazionale, che – raccolta l’eredità di Uirnet, imperniata sugli interporti – ha spostato il baricentro sugli scali marittimi e nei primi mesi di vita ha già firmato due protocolli d’intesa con i porti di Civitavecchia (Autorità sistema portuale del Tirreno centro settentrionale) e di Ravenna (Autorità sistema portuale dell’Adriatico centro settentrionale) per inserirle nel Port Community System della Piattaforma. Ma è solo un inizio. Perché l’intero sistema funzioni tutti gli scali dovrebbero aderire così da avere una piattaforma e – soprattutto – un linguaggio comune che permettano ai vari soggetti di dialogare e scambiarsi informazioni. Agenzia delle Dogane e digITAlog possono coprire i due nodi principali della fluidità dei sistemi portuali: la dematerializzazione dei documenti (lo sdoganamento si può fare mentre la nave è ancora in mare) e il dialogo tra i vettori di terra e i terminal per disciplinare gli accessi ed evitare attese, code e sfasamenti delle operazioni. Ma siamo solo ai protocolli d’intesa. Nel frattempo, i nostri porti procedono in ordine sparso e a piccoli passi.

DigITAlog, soggetto attuatore della Piattaforma logistica nazionale, ha firmato due protocolli d’intesa con i porti di Civitavecchia e di Ravenna (nella foto) per inserirle nel Port Community System della Piattaforma. Lo scopo è quello di far aderire tutti gli scali per avere una piattaforma e un linguaggio comune con cui dialogare lungo la filiera.

A Genova da aprile c’è un’app per gli autotrasportatori «con servizi digitali per l’acquisizione preventiva delle informazioni sia sulle condizioni di carico o scarico della merce, sia per l’accesso alle aree portuali», mentre è solo sperimentale un sistema di controllo ai varchi dell’integrato VIO basato sull’utilizzo di smart glass che leggono in automatico le targhe dei veicoli in transito e i codici ADR, stimano la lunghezza dei mezzi, fotografano e realizzano filmati e memorizzano e trasmettono i dati rilevati a unità esterne. Per quanto a novembre 2020 un comunicato dell’Autorità di sistema definisse «raggiunto» l’obiettivo di «rendere sempre più fluido e smart l’accesso al porto digitalizzando l’interlocuzione tra autisti e uffici merci dei terminal e avviando l’appuntamento intermodale sincronizzando quindi i tempi di arrivo e di partenza per evitare code e blocchi», a luglio 2021 in una riunione convocata dall’assessore allo Sviluppo economico portuale e logistico, Francesco Maresca, la stessa Autorità ha assicurato che si sarebbe fatta promotrice del coordinamento tra i flussi dei terminalisti per razionalizzare e mitigare l’impatto sulla viabilità cittadina. Quando alla dematerializzazione dei documenti soltanto lo scorso settembre l’Autorità ha firmato l’ordinanza che «disciplina le modalità di invio e ricezione delle informazioni e documentazione in formato digitale per tutti gli operatori coinvolti nel processo portuale di importazione ed esportazione» e limitatamente ai bacini di Sampierdarena e di Prà Voltri.
Gli altri scali non stanno meglio. A Trieste è partita solo lo scorso gennaio la sperimentazione delle procedure doganali digitali, mentre il movimento di camion è gestito attraverso la Port Community System, che però blocca i mezzi nell’interporto di Fernetti e li incanala verso il porto, quando è possibile il carico/scarico: la congestione da traffico è evitata, le attese no. A Livorno, da gennaio lo «sdoganamento in mare» è stato esteso alle rinfuse (per i container era già operativo da anni), ma ancora in via sperimentale. Alla Spezia da novembre è partito un progetto di digitalizzazione della logistica dell’ultimo miglio, grazie a un sistema pre e uno post varco gestiti rispettivamente da spedizionieri e terminalisti che – grazie anche a un’app – permetterà ai camionisti di non dover mai scendere dal veicolo, nemmeno per la gestione dei documenti doganali.
Sono alcuni esempi che dimostrano come qualcosa si stia muovendo verso la digitalizzazione e l’automazione, ma la distanza da sistemi portuali come quelli del Northern Range è abissale. E lo stesso dinamismo che degli ultimi tempi sembra soprattutto legato agli ingenti fondi che il PNRR assegna ai porti. «Oltre 4 miliardi sono stati inseriti nel Piano», ha ricordato a fine settembre il ministro per le Infrastrutture e la Mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, «per il potenziamento e la trasformazione dei porti italiani, fondi che non si erano mai visti». Una buona notizia, a condizione che la spesa sia coordinata e che le Autorità portuali non continuino a muoversi autonomamente. Come fanno con gli autotrasportatori che da anni chiedono di aver una card unica per accedere a tutti gli scali del paese, anziché essere costretti ad averne una per ogni porto. Come le fidanzate dei marinai.

Primi test per le smart road

Se nei porti si vede, comunque, una certa animazione, sulle infrastrutture stradali va fatta una distinzione. L’applicazione degli ITS, gli Intelligent Transport System, ha trovato ampio spazio da anni nella gestione del traffico urbano, sia nel privato (indicazioni di percorso e instradamento ai parcheggi, informazioni pre-viaggio, pagamento delle strisce blu ecc.) che nel pubblico (automatizzazione dei depositi, bigliettazione a distanza, servizi a chiamata ecc.), ma si tratta di applicazioni che riguardano la smart city. Per un dialogo tra infrastrutture e trasporto merci, soprattutto quello di lunga distanza – dunque per le smart road – ci troviamo in un deserto digitale, nel quale sta spuntando soltanto ora qualche oasi, anche se solo a livello sperimentale.

È partito da due anni il progetto dell’Anas che dovrà trasformare in una vera e propria smart road gli 80 chilometri della statale 51 «di Alemagna» tra San Vendemiano (Treviso) e Dobbiaco (Bolzano), strada di collegamento tra la pianura veneta e Cortina d’Ampezzo che nel 2026 diventerà una sorta di passerella internazionale del nostro Paese per le Olimpiadi invernali che si svolgeranno tra Milano e la città cadorina. Claudio Andrea Gemme, presidente di Anas e Commissario di governo per l’attuazione del piano straordinario di potenziamento della viabilità per i Mondiali di sci Cortina 2021, ha definito l’iniziativa «il primo banco di prova per la mobilità smart», in quanto si tratta della «prima strada in Italia a essere stata attrezzata con tecnologie che consentiranno lo scambio di informazioni infrastruttura-utenti e il dialogo fra gli utenti».
Con una spesa di 27 milioni di euro, la strada è stata infatti dotata di 336 postazioni di raccolta dati e una control room centrale a Cortina. Quando il sistema andrà a regime l’automobilista potrà avere indicazioni su eventuali deviazioni in caso di incidenti, suggerimenti di percorso alternativi, gestione di accessi, parcheggi e rifornimenti. Che potranno anche essere effettuati presso Green Island, statuate ogni 20 chilometri, dove sarà distribuita energia di fonti rinnovabili, non solo per gli autoveicoli, ma anche per i droni. E in futuro la statale 51 diventerà la prima strada italiana che ospiterà i veicoli a guida autonoma, mentre il progetto Smart Road Anas (1 miliardo di stanziamento) si amplierà nel tempo all’itinerario E45-E55 Orte-Mestre, alla Tangenziale di Catania, alla A19 Palermo-Catania, al Grande raccordo anulare di Roma, alla Roma-Aeroporto di Fiumicino e alla A2 Salerno-Reggio Calabria.
Sul fronte autostradale, Autovie Venete ha effettuato a metà settembre, con due autoarticolati su due tratte alle porte di Venezia, i primi test su strada del sistema che permetterà ai mezzi pesanti dotati di guida assistita di dialogare con l’infrastruttura grazie alla tecnologia wifi e 4G: per ora sono stati testati gli avvisi dei cantieri, la presenza di veicoli nelle corsie d’emergenza o in lento movimento. E l’Autobrennero ha testato con gli stessi due veicoli un livello 4 di platooning (guida autonoma in plotone con autista pronto a intervenire). Entrambi i gestori autostradali partecipano al progetto, denominato C-Roads Italy, che costa 500 mila euro, per metà provenienti da Bruxelles e si concluderà a dicembre, ma ne è previsto il proseguimento su ulteriori tratte.
Poco? Probabilmente. Ma anche qui si attende l’impatto del PNRR, che anche se non interviene direttamente ed esplicitamente sui trasporti, prevede pur sempre 30 miliardi per «Digitalizzazione, innovazione e competitività nel sistema produttivo» (Missione 1, Componente 2).

Solo le aziende corrono

Dove i sistemi più avanzati invece trovano spazio è nella digitalizzazione a uso e consumo delle imprese, sia all’interno delle aziende di trasporto che nel rapporto con i clienti. Gestione della flotta in movimento, manutenzione a distanza, regolazione da remoto della catena del freddo, tracking dei viaggi, borse merci sono espressioni che non descrivono più un futuro lontano, ma un presente attivo e vivace che permette di pianificare l’organizzazione aziendale, programmando i percorsi, riducendo i costi, aumentando i livelli di sicurezza, abbassando i tassi di inquinamento. I navigatori satellitari di ultima generazione non forniscono più soltanto l’itinerario più rapido e meno trafficato, ma lo scelgono in funzione del peso, delle dimensioni e del tipo di carico, pianificano le soste, suggeriscono le pause, segnalano le aree di parcheggio, ricevono istruzioni per l’autista dalla centrale aziendale e permettono finanche, attraverso il collegamento a società di servizio online, la gestione del parco veicoli.
E, nel momento in cui sbarca in Italia il suo primo concorrente, DKV Box Europe, che ha puntato subito sui veicoli pesanti, Telepass espande i propri servizi sfruttando le possibilità offerte dal pagamento digitale e dunque, accanto ai pedaggi (per 14 paesi europei), per i veicoli oltre le 3,5 tonnellate, con i servizi dedicati KMaster e Telepass Truck offre tutte le funzionalità di fleet management, «dalla localizzazione dell’intera flotta al dettaglio dei percorsi per singolo mezzo, comprendendo la gestione delle missioni, comunicazioni da e verso l’autista, nonché la previsione dei costi di pedaggio e carburante», oltre a optional per «la sicurezza del mezzo e delle merci trasportate, il monitoraggio della temperatura del vano carico, la localizzazione del rimorchio e del semirimorchio». E – con apposito pacchetto – anche l’interconnessione con il cronotachigrafo, per scaricarne i dati da remoto.
Ecco, il cronotachigrafo intelligente. È pronta la seconda generazione che diventerà obbligatoria dal 21 agosto 2023: l’apparato in grado di raccogliere (e trasmettere) milioni di informazioni. Tra gli altri, perché consente l’invio in remoto e con il camion in movimento di 19 parametri che permettono alle forze dell’ordine di verificare il corretto funzionamento dell’apparecchio tramite tablet o pc. Ma il produttore VDO si è preoccupato di precisare che questi dati sono raccolti solo per la calibrazione dello strumento e che «non sono, quindi, le informazioni sui tempi di guidae di riposo e neppure sull’autista e quindi non si possono elevare sanzioni in maniera automatica». Quindi il vantaggio per ora sarebbe quello di non fermare i camion risultati in regola con i parametri, evitando inutili perdite di tempo. Per andare oltre, ciò che manca non è il chip appropriato, ma una normativa che consenta controlli a distanza e sanzioni automatiche, bloccati dalle leggi sulla privacy e osteggiata anche dai sindacati degli autisti. Tanto è vero che è già previsto un altro utilizzo – con cui viene attuato un altro aspetto del Pacchetto Mobilità – relativamente al cabotaggio e al distacco degli autisti, con il controllo degli attraversamenti dei valichi di frontiera.

I freni alla digitalizzazione

Insomma, come al solito, è il privato a muoversi più velocemente, là dove non è bloccato dalla burocrazia. Esemplare la questione del CMR elettronico, la «lettera di vettura». Se ne parla dal 2008, è entrato in vigore nel 2011, ma fino a due anni fa i Paesi europei che lo avevano ratificato erano solo una dozzina. Nel 2020 finalmente sono stati approvati i Regolamenti europei. Intanto si continua a procedere con il cartaceo, perché l’Agenzia delle Entrate non riconosce validità legale a quello elettronico e dunque va comunque stampato.

Ma non è solo la burocrazia a frenare la digitalizzazione. Certo, andare avanti a regolamenti e protocolli d’intesa non è un modo per fare presto, ma la materia è complessa e, soprattutto per quanto riguarda le relazioni internazionali, è comprensibile che ci voglia tempo. Quel che preoccupa di più è la capacità della rete che dovrà trasmettere l’immensa quantità di dati prodotti dalla digitalizzazione dei sistemi. «La connessione 5G», ha ricordato Guidi, «caratterizzata da un volume di traffico dati mille volte superiore a quello attuale e da tempi di latenza ridottissimi, è e sarà sempre più un’infrastruttura indispensabile per ogni ulteriore applicazione tecnologica». Secondo uno studio di TIM l’introduzione del 5G dovrebbe portare al settore della logistica nazionale un beneficio di 500 milioni di euro nel 2025 e di circa un miliardo di euro nel 2030, recuperando inefficienze nella gestione della rete – sia sui mezzi che nei magazzini – e abilitando nuovi mezzi di trasporto (tra cui droni e veicoli a guida autonoma), diagnostica remota e manutenzione predittiva, microgestione di magazzini tramite sensori, automazione degli interporti.

Una volta trovate le risorse e partito il 5G (6,71 miliardi di investimenti previsti dal PNRR), tuttavia, c’è un ultimo problema a rendere difficoltoso il dialogo tra soggetti diversi: il linguaggio. In termini tecnici si parla di «interoperabilità» e dagli albori della telematica si cerca – soprattutto nel settore dei trasporti – di far confluire tutti su un’architettura digitale univoca. Ma è difficile convincere un’impresa ad abbandonare il proprio software per condividerne uno con un concorrente ed è complicato (e costoso) formare il personale a familiarizzare con un nuovo sistema. Un linguaggio comune forse è lo step più difficile da superare per la digitalizzazione dei trasporti. Perché è il segno dell’individualismo dei soggetti che agiscono lungo la supply chain, alla faccia della logistica collaborativa. Anche quando viene ammantato da una mano di internazionalismo come l’Autorità di Sistema portuale del Mar Ligure Occidentale (Vado Ligure, Savona, Pra, Genova), che sul suo sito si presenta sotto il nome di «Ports of Genoa». Un’altra lingua.

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