Le telecamere sui luoghi di lavoro e quindi anche quelle in cabina, a maggior ragione se occulte, non vanno molto d’accordo con la privacy delle persone. Il 17 ottobre scorso la Corte Europea sui diritti umani ha emesso una sentenza che ribadisce questo principio che poi il anche il Garante per la protezione dei dati personali, in Italia, ha fatto proprio. Cosa cambia di fatto? In pratica, ciò che si ribadisce è che in ambiente lavorativo un controllo è giustificato soltanto se esiste un principio di proporzionalità allo scopo per cui viene effettuato. Ragion per cui anche l’installazione di telecamere nascoste sul luogo di lavoro può essere consentita, ma soltanto di fronte al rischio concreto e tangibile che lo scopo per cui vi si ricorre è quella di verificare l’esistenza di furti commessi dai lavoratori ai danni del patrimonio aziendale.
Nel caso di specie si esaminava l’installazione di telecamere da parte del direttore di un supermercato spagnolo in provincia di Barcellona che, riscontrando diffornità tra gli stock di magazzino e le vendite, aveva pensato di aumentare i controlli per evitare perdite negli incassi (circa 82mila euro in cinque mesi). A seguito di quell’installazione i furti furono provati e comportarono il licenziamento per motivi disciplinari di 14 dipendenti tra cassieri o addetti alle vendite.
Non è sufficiente, però, l’interesse a verificare la presenza di possibili furti, ma è necessario che i furti ci siano e la video-sorveglianza rappresenti l’estremo tentativo di scoprire i colpevoli.
In ogni caso le modalità di installazione devono avvenire con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza di controllo sul lavoratore. In pratica, non è possibile usarla in maniera regolare e continuativa. La proporzionalità, cioè, giustifica il ricorso alla telecamera soltanto allo scopo di interrompere il verificarsi di furti.
