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DUC, abbiamo due problemi. Nuova proroga a fine settembre

Le società di leasing nel timore di furti non rilasciano il foglio unico, ma se in Italia vale la fotocopia autenticata (concessa all’ultimo momento) all’estero c’è il rischio di grosse sanzioni. E, intanto, sono ancora troppi i rallentamenti nel rilascio del nuovo documento dovuti alle discordanze tra i due archivi (ACI e ministero) che devono essere riallineati

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Alla fine c’è voluta un’altra proroga: la settima, fino al prossimo 30 settembre, anziché a fine giugno. Il documento unico di circolazione annunciato come una misura di razionalizzazione che avrebbe fatto risparmiare agli italiani al volante tempo e danaro, se per gli automobilisti è già in fase avanzata, per gli autotrasportatori rischia di diventare una specie di incubo burocratico, con il rischio di pesanti conseguenze quando vanno all’estero. Perché nonostante cinque anni di studi, confronti, proteste, correttivi, sperimentazioni, nessuno ha pensato che i veicoli in leasing sono di proprietà di una società (il locatore), ma circolano sotto la responsabilità di un’altra (l’utilizzatore). Prima del DUC, il locatore tratteneva il Certificato di proprietà, lasciando sul veicolo la carta di circolazione. Ma ora che il documento è, appunto, unico chi lo deve trattenere? Se resta alla società di leasing, come può l’utilizzatore circolare senza libretto? E se viene affidato a quest’ultimo chi garantisce il locatore contro l’eventualità di un furto del veicolo?

La toppa l’ha messa il decreto Semplificazioni dello scorso anno: le società di leasing posso effettuare una copia autenticata del DUC e consegnare quella al cliente. Ma è una toppa che lascia scoperta una parte non secondaria di territorio: l’estero, dove la fotocopia autenticata in Italia è carta straccia. E, dunque, gli autotrasportatori italiani che si sono procurati il loro veicolo in leasing rischiano multe pesantissime, appena varcato il confine. È vero che il problema riguarda anche gli automobilisti, ma sono soprattutto i camion che fanno su e giù con l’estero a rischiare grosso, proprio per l’attività che svolgono.

BASTEREBBE UN CODICE

Non sono pochi: il leasing è un metodo di acquisto sempre più diffuso. Se il 2020 non può far testo a causa del Covid, nel solo 2019 – a dati Anfia – i veicoli merci sotto le 3,5 ton immatricolati come leasing di persone giuridiche sono stati oltre 30 mila (30.045) e poco meno di 9 mila (8.811) quelli immatricolati come leasing a persone fisiche: in totale più del 20% del mercato, numeri confermati nelle percentuali se non nelle cifre assolute dalle rilevazioni dei primi sei mesi 2020. Non ci sono dati sui mezzi pesanti acquistati in leasing, ma Assilea, l’associazione delle società di leasing, dichiara un valore complessivo di stipulato per i veicoli commerciali e industriali di quasi 4 miliardi di euro con una previsione di crescita a 4 e mezzo per il 2021.

Per questo gli operatori sono preoccupati. «Eppure», osserva Giancarlo Bartoletti, responsabile del Servizio Legale, Compliance e Antiriciclaggio di Alba leasing, società milanese che lavora da oltre dieci anni con aziende (molte di trasporto) micro, piccole e medie, «basterebbe una cosa minima, come un ologramma, un flag, un codice, un qualcosa che renda incontestabile il fatto che il veicolo è un bene inalienabile». E racconta come, soprattutto in tempo di crisi, è più frequente di quanto si possa credere che un cliente disperato si venda il mezzo e ne denunci il furto. «Quando per un fallimento si fa l’inventario dei beni in leasing», aggiunge, «ci si accorge che spariscono le cose più disparate».

Un problema, insomma, non facile da risolvere. La stessa Assilea sta cercando di capire se attraverso un confronto con i ministeri di Interno e Trasporti è possibile trovare una soluzione. Perché il vero nodo è come conciliare la nostra nuova normativa con la legislazione degli altri Paesi che richiede la carta di circolazione – in originale – a bordo del veicolo. «Forse si potrebbe concedere una deroga per i veicoli in leasing», ipotizza Paolo A. Starace, presidente della sezione V.I. di Unrae, l’associazione degli importatori di veicoli stranieri, «ma la soluzione vera passa attraverso la smaterializzazione dei documenti. I controlli incrociati per via telematica, per esempio, hanno potenzialità straordinarie ancora in buona parte inesplorate. Ma occorre definire uno standard a livello europeo che presume un’unità d’intenti. In questo contesto e senza una cabina di regia sovranazionale, fughe in avanti dei singoli paesi rischiano di complicare il contesto con ricadute negative sugli operatori locali».

Quell’«unità d’intenti», che Unrae ha condiviso con altre associazioni dell’automotive (Anfia, Aniasa, Assilea, Federauto, Unasca) per affrontare il secondo problema del DUC che colpisce gli autotrasportatori e chiedere al governo l’ennesima proroga dell’entrata in vigore del documento per i veicoli cosiddetti «titolati», quelli cioè che richiedono un titolo autorizzativo: conto proprio, conto terzi e bus.

UN DOCUMENTO, DUE ARCHIVI

Perché è vero che il documento è unico, ma gli archivi dove escono i suoi dati sono due: quello – storico – del Pubblico registro automobilistico (PRA) gestito dall’ACI, e quello – nuovo –  del ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile, l’Archivio nazionale dei veicoli (ANV). Il passaggio al DUC prevede che i due archivi «dialoghino» telematicamente. «Ma, a differenza delle automobili», spiega Francesco Osquino, vice segretario nazionale dell’Unasca, associazione delle scuole guida e delle agenzie di pratiche automobilistiche, «i veicoli con titolo sono particolari, hanno allestimenti diversi e omologazioni peculiari. Questo comporta che a volte ci siano discordanze tra i dati dei due archivi».

Ma sono discordanze che pesano. Valutandole in tempo, per un’operazione che telematicamente dura pochi secondi, quando c’è da riallineare una diseguaglianza se ne va qualche decina di minuti. Tra la miriade di operazioni in corso per riallineare i due archivi e la registrazione dei nuovi veicoli è evidente che ogni discordanza diventi una strozzatura che blocca tutto il sistema. «E allora, tutto si rallenta», conclude Osquino, «ma i veicoli con titolo sono strumenti di lavoro e se stanno fermi comincia a esistere un grosso problema: se un autotrasportatore compra un veicolo deve farlo circolare, non può tenerlo fermo in magazzino in attesa della burocrazia».

Per questo la richiesta di proroga. «Sia ben chiaro», precisa Starace, «noi siamo assolutamente favorevoli alla semplificazione delle procedure che passa anche attraverso la digitalizzazione, uno dei pilastri del PNRR.  I benefici per la filiera sono evidenti e abbiamo quindi tutto l’interesse affinché questa transizione possa avvenire nel più rapido tempo possibile. Purtroppo, dobbiamo rilevare che, a tutt’oggi, le procedure abilitanti sono ancora incomplete a discapito dell’accuratezza e la tempestività del rilascio del DUC. Quello che clienti e costruttori si attendono è che il nuovo processo sia più efficace ed efficiente dell’attuale. La proroga serve quindi a concedere più tempo a chi si sta occupando di questo progetto complesso così da poter garantire un livello di servizio in linea con le aspettative e gli investimenti stanziati dall’amministrazione».

Di buono c’è che, insieme alla proroga, sono partiti i primi tavoli di confronto per far sì che anche il settimo rinvio non vada a vuoto. «Non dimentichiamo che il DUC è un sistema nuovo», osserva Osquino, «e dunque va testato anche attraverso un confronto tra chi opera tutti i giorni e la pubblica amministrazione per arrivare a un risultato che sia ottimale per tutti. Quello che abbiamo chiesto, come imprese dell’automotive, è proprio di poter segnalare i problemi e offrire delle possibili soluzioni: abbiamo mandato un documento a ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili e all’ACI con alcune proposte. Ora dovranno vagliarle e verificare la fattibilità». Ci sarà anche la soluzione per il problema del leasing? L’appuntamento per la risposta è al 30 settembre.

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