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Le associazioni di categoria in attesa della convocazione della ministra Bellanova. Gli «Eroi» dimenticati

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Il copione è il solito: nuovo governo, nuovo ministro, nuovo delegato il quale, prima di affrontare le questioni dell’autotrasporto, deve ovviamente documentarsi e ogni volta il confronto con le associazioni del settore deve ricominciare da capo. Di buono c’è che questa volta la delega è arrivata a un’esponente di peso: l’ex ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, diventata vice ministra del dicastero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili, e a fine aprile incaricata della delega per l’autotrasporto dal ministro titolare, Enrico Giovannini.

Anche l’attesa è stata più o meno in linea con gli altri precedenti: due mesi e mezzo prima dell’assegnazione della delega. Settantacinque giorni passati in fugaci, quanto inutili, contatti online con Giovannini, lettere rimaste senza risposta e la solita – ormai inevitabile – proclamazione di uno stato di agitazione che non ha smosso più di tanto l’aria di un ministero così concentrato nella preparazione della sua parte del Piano nazionale di ripresa e resilienza (scadenza fine aprile), da far rinviare a maggio ogni possibilità di incontro con le associazioni. Anche se è stata proprio la lettura di quel Piano (per l’autotrasporto sostanzialmente c’è solo l’introduzione del CMR elettronico) a scaldare gli animi della categoria e a portare allo stato d’agitazione.

LA LETTERA ALLA MINISTRA DELEGATA

Per questo, le associazioni non hanno perso tempo. La delega a Bellanova è stata assegnata venerdì 30 aprile e già il lunedì successivo partiva la lettera, senza alcun cenno allo stato d’agitazione già proclamato (una sorta di cortesia istituzionale) ma con richiesta d’incontro ed elencazione di tutte le questioni in sospeso: il fondo per il rinnovo del parco da rinnovare per i prossimi tre anni, la questione delle accise, classificate tra i sussidi ambientalmente dannosi (SAD) ma il cui rimborso nasce a causa del maggior costo del gasolio in Italia, le revisioni dei veicoli pesanti da affidare anche ai privati (come prevede la legge), il contributo all’Autorità per la regolazione dei trasporti da abolire per l’autotrasporto che non è soggetto a regolazione diretta.

Due giorni dopo, a completare il panorama delle associazioni di categoria è partita anche la lettera di Anita, l’associazione confindustriale, firmata dal presidente Thomas Baumgartner. Stessi contenuti, quasi stesse parole, qualche tema in più: in particolare la richiesta che l’incentivazione per Ferrobonus e Marebonus «premi direttamente il vettore stradale che sceglie le modalità alternative al tutto-strada».

Le solite cose, si dirà. Ma in più, in entrambe le lettere, è palpabile l’amarezza di «un settore che ha dimostrato proprio durante la pandemia di essere strategico per l’economia e per l’Italia tutta» e che «oggi sembra quasi essere caduto nel dimenticatoio» (Unatras) e di cui «come succede spesso, passata la prima fase emergenziale, si tende a dimenticare l’importanza». Un’amarezza che sta penetrando nella quotidianità delle singole aziende. «Ciò che deve preoccupare», osserva Alessandro Peron, segretario generale di Fiap, «è la delusione e lo sconforto che gli imprenditori fanno trasparire ogni giorno nel quale il loro lavoro e il loro impegno è considerato scontato».

IL FERMO IN LIGURIA

«Mentre grandi temi come il Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza o i Sussidi ambientalmente dannosi o la transizione ecologica del parco veicolare, giustamente ci impegnano perché toccano il futuro delle nostre aziende», aggiunge il segretario di Assotir, Claudio Donati, «il loro presente è una continua sofferenza, alla ricerca di un equilibrio sempre più precario tra lavoro e tariffe decenti, in cui per avere il lavoro si rinuncia a guadagnare, mettendo a rischio, talvolta, anche la sicurezza».

Perché ogni giorno che passa i nodi esistenti si aggrovigliano e altri se ne aggiungono. Se si risolve quello dell’ART, perché le commissioni Bilancio e Finanze del Senato, con un emendamento al decreto Sostegni, ne hanno deciso la sospensione per il 2021, ecco che esplode la situazione della Liguria. Esasperati dall’ennesima chiusura (quella scattata l’11 maggio sulla A12, tra Lavagna e Sestri Levante, con deviazioni fino a 180 chilometri e maggiori costi di 300 euro) e per i ritardi e le incertezze dei ristori, dopo anni di code, deviazioni, intasamenti cominciati con il crollo del ponte Morandi, gli autotrasportatori liguri hanno proclamato quattro giorni di fermo – dal 15 al 19 giugno – dei servizi di trasporto su gomma nei porti liguri, nelle piattaforme logistiche e al confine di Stato con la Francia.

E, mentre Autostrade per l’Italia e ministero per le Infrastrutture e la Mobilità sostenibili (avete notato che i nomi diventano sempre più lunghi, proporzionalmente ai tempi di soluzione dei problemi?) cercano di mettersi d’accordo – dopo anni di dialogo tra sordi – per trovare procedure standard che riducano al minimo i disagi, accelerino le lavorazioni, garantiscano la sicurezza (e facciano rientrare il fermo), ecco che da un’altra parte scoppia la questione dei divieti.

IL RIPRISTINO DEI DIVIETI

Sospesi dal 15 marzo 2020, per tutta la durata dell’emergenza Covid, per assicurare il trasporto delle merci e l’approvvigionamento delle filiere logistiche, degli ospedali e dei supermercati, i divieti di circolazione per i mezzi pesanti durante i fine settimana sono stati ripristinati dal 1° maggio, per il traffico interno, e dal 7 – dopo un breve periodo di incertezza – anche per quello internazionale.

DISSIDI 1: UN TAVOLO PER CAMBIARE I DIVIETI
Il Covid li aveva sospesi fin da subito, seppure mese per mese. Poi, da maggio i divieti di circolazione per i veicoli pesanti sono tornati e la cosa non è piaciuta alle associazioni di categoria. Ben 14 sigle hanno scritto al ministero per chiedere l’apertura di un tavolo apposito in cui definire un diverso approccio alla materia.

Le proteste delle associazioni di categoria sono sfociate nella richiesta alla direzione Sicurezza stradale del ministero di un tavolo per arrivare a un «diverso approccio delle misure limitative della circolazione dei mezzi pesanti in Italia», secondo quanto afferma una nota di Confartigianato trasporti che chiedeva di sopprimere i divieti per tutto maggio «visto che a causa della pandemia tuttora perdura una limitata circolazione delle vetture private soprattutto nei fine settimana».

L’inquietudine per la mancata risposta è diventata palese irritazione alla notizia che la Germania ha prolungato la soppressione dei divieti per i mezzi pesanti fino al 30 giugno. «La conferma tedesca ci lascia l’amaro in bocca», ha lamentato Baumgartner, «e dimostra che all’estero vi è una maggiore attenzione al settore», aggiungendo una considerazione: «La visione di un Paese più moderno, alla base del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, evidentemente non include il settore dell’autotrasporto e della logistica, condannato a mantenere tutti quei nodi che ne hanno frenato la competitività come appunto i divieti di circolazione».

È il trattamento riservato a quelli che soltanto un anno fa erano additati come gli «eroi» della pandemia. Oggi, invece, altro che «eroi», tra virgolette. Sembra che il governo, rimasticando malamente Bertolt Brecht, voglia lanciare un messaggio: «Beato il popolo che non ha bisogno di autotrasportatori».

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